Berrettini ha un piano: "Masters, vengo anch'io" (Cocchi). Berrettini: vinco e non sono perfetto (Semeraro). Una vittoria di squadra. Ora due anni per stupire (Crivelli)

Rassegna stampa

Berrettini ha un piano: “Masters, vengo anch’io” (Cocchi). Berrettini: vinco e non sono perfetto (Semeraro). Una vittoria di squadra. Ora due anni per stupire (Crivelli)

La rassegna stampa di martedì 30 aprile 2019

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Berrettini ha un piano: “Masters, vengo anch’io” (Federica Cocchi, Gazzetta dello Sport)

Da 55 a 37 in una settimana, due titoli Atp conquistati a 23 anni: Matteo Berrettini è passato ufficialmente da speranza a certezza del tennis italiano. La finale vinta in rimonta domenica a Budapest contro Krajinovic è stata la conferma che Matteo è cresciuto, tecnicamente e mentalmente. Merito dell’impegno costante con il tecnico che l’ha cresciuto Vincenzo Santopadre, e della sua determinazione. Da oggi sarà in campo a Monaco di Baviera, lo intercettiamo poco prima di prendere il volo da Budapest, ancora incredulo per la sua impresa. Matteo, come si è svegliato il giorno dopo la vittoria? «Un po’ incredulo, fatico ancora a realizzare di aver conquistato il secondo titolo Atp […] Numero 37 del ranking mondiale: avevate fatto un progetto sulla classifica a inizio stagione? «No, ovvio che avrei voluto entrare nei primi 40, ma il 2018 è stato il mio primo anno completo sul circuito, sto ancora facendo esperienza e per me e il mio team imparare partita dopo partita è la cosa più importante». Nessun obiettivo concreto, oltre all’esperienza? «È un progetto a medio termine. Stiamo lavorando per essere competitivi su tutte le superfici entro un paio d’anni». Un paio d’anni… giusto in tempo per il 2021, anno delle Atp Finals a Torino. «Me l’aspettavo questa domanda!» Dunque avrà già pronta la risposta perfetta. «È chiaro che sarebbe un sogno essere tra i protagonisti a Torino tra due anni. Ma al momento mi accontento di gioire per l’assegnazione di un torneo così importante all’Italia». Si sente un po’ parte di questo traguardo del tennis italiano? «Beh, diciamo che avere tanti italiani che stanno facendo bene sul circuito ha fatto capire che nel nostro paese il tennis è una cosa seria. E con tutti questi eventi, da Roma alla Next Gen al Masters il movimento non può che crescere ancora». La truppa dei ventenni cresce in fretta, con chi si vede alle Finals di Torino? «Prima di tutto bisogna arrivarci… e non è proprio la cosa più semplice. Comunque, se vogliamo sognare in grande, dico che mi vedrei con Zverev, Tsitsipas, Shapovalov, Aliassime. E poi magari ci saranno ancora Federer e i grandi». Mettiamo momentaneamente da parte l’immaginazione e concentriamoci sull’immediato futuro: gli Internazionali. «Il torneo dei sogni. Quello per cui ho deciso di diventare un tennista. Ci andavo fin da piccolo, vedevo tutti quei grandi giocatori e speravo un giorno che sarei stato anche io lì tra i protagonisti». Quest’anno ci arriva con un’altra mentalità e più esperienza. «L’anno scorso ero più spaesato, questa volta ho un po’ di esperienza e conto di imparare ancora di più. Dormirò a casa, andrò al Foro in macchina come quando ero ragazzino e mi portavano ai tornei» […] Servizio e dritto li conosciamo bene, ma a Budapest quello che ha colpito è stata anche la sua forza mentale. «È un aspetto su cui stiamo lavorando molto con Santopadre e anche con il mio mental coach Stefano Massai. Sono uno che chiede molto a se stesso e non si perdona facilmente gli sbagli, ma sto iniziando a migliorare. Contro Krajinovic si è visto». La vittoria porta con se guadagni… e ammiratrici. Si è fatto qualche regalo? «Qualche piccolo sfizio, ma adesso preferisco investire nella professione. Vorrei portare più spesso con me ai tornei il preparatore e il fisioterapista, e magari invece che dormire tutti in una stanza, potrò prenderne due e godermi un po’ di sana solitudine… Quanto alle donne, dopo tre anni sono tornato single. Per me ci sono soltanto mamma e le mie nonne». Per ora.

Berrettini: vinco e non sono perfetto (Stefano Semeraro, Corriere dello Sport)

Matteo Berrettini da ieri è il numero 37 del mondo, il numero 3 di un’Italia che si è scoperta improvvisamente vincente. In campo: con lui, Fabio Fognini, Marco Cecchinato, l’esperienza di Andreas Seppi, la voglia di spaccare di Sonego, le energie verdi di Musetti e Sinner. E fuori: con un rilancio organizzativo che scommette sul futuro con le Atp Finals, in programma a Torino dal 2021. Matteo è l’incarnazione di questo piccolo rinascimento, per il momento purtroppo tutto maschile. Un progetto, molto saggio, molto romano – come Matteo e il suo coach Vincenzo Santopadre – partito anni fa e che negli ultimi 12 mesi ha iniziato a maturare definitivamente. L’anno scorso, a sorpresa, era arrivato il primo titolo a Gstaad. Domenica, a 23 anni e 16 giorni, già il secondo a Budapest. Matteo, più bello il primo titolo o quello della conferma? «Il primo è stato più una sorpresa, anche mia personale: vivevo alla giornata, senza chiedermi più di tanto quello che stava accadendo. A Budapest ho ripercorso con più consapevolezza i momenti dello scorso anno. È stata una vittoria più sentita, anche perché venivo da un periodo non facile». Anche a Doha, a inizio anno, era sembrato più nervoso rispetto al ‘solito’ Berrettini. Come mai? «La sconfitta di Doha contro Bautista Agut era stata proprio una di quelle partite in cui, al di là della vittoria o della sconfitta, in campo non ero riuscito ad essere me stesso: nervoso, non tanto lucido. In campo la vivevo un po’ male, e mi dispiaceva». Come ne è uscito? «Ci ho lavorato. Tanto. Mi sono reso conto che passare attraverso certe fasi è naturale. Ci sono giorni che ti senti in forma, altri meno, gli alti e bassi sono inevitabili, ma per come sono fatto io facevo fatica ad accettarlo. Volevo essere perfetto. Ho dovuto rassegnarmi alle inevitabili imperfezioni, e così mi sono alleggerito di un grande peso» […] Questa settimana giocherà a Monaco, poi in calendario ci sono Madrid e Roma. Dopo il successo di Budapest quanto diventa Importante il Foro? «Roma sarebbe stata comunque importante. Ci arrivo però con una consapevolezza diversa. L’anno scorso ero fuori dai 100, adesso fra i primi 40, le aspettative doverosamente cambiano. Voglio giocare più partite possibile, godermi il pubblico e la grande atmosfera». Con Fognini, dopo i rispettivi successi, vi siete sentiti? «Io ho scritto a Fabio, lui a me, poi ci siamo sentiti con Paolo Lorenzi, Lorenzo Sonego, Andreas Seppi, con gli altri. Siamo tutti amici, e secondo me ci stiamo aiutando a vicenda. Una settimana fa bene uno, quella dopo l’altro. Serve a spartirci la pressione, e poi è stimolante: alla fine il tennis rimane uno sport individuale, quindi se Fabio vince a Montecarlo è naturale pensare: magari io posso farcela a Budapest». Nelle statistiche Atp lei è 11esimo nel rendimento al servizio, davanti a Cllic e Zverev, nell’élite dei grandi battitori. «Sul servizio ho lavorato parecchio nelle ultime settimane. Prima della trasferta americana avevo un dolore alla spalla, mi sono fermato un po’, anche a Montecarlo non ero al 100 per cento. Con Vincenzo abbiamo provato a lanciare la palla più verso destra e questo mi ha aiutato a trovare fluidità. È un’arma che mi dà tanto. E abbinata al diritto fa male». Ce lo descrive? «È parecchio lavorato, non piatto alla Del Potro. Può ricordare un po’ quelli di Thiem o di Sock. Come i loro si adatta sia alla terra sia al cemento». Ecco, parliamo di superfici: fra i tre Slam che rimangono quest’anno dove le piacerebbe fare bene e dove pensa di fare meglio? «Penso di poter far meglio a Parigi o a Wimbledon, e mi piacerebbe fare bene soprattutto a Wimbledon. Anche la settimana di Davis a Calcutta è stata importante per capire l’erba, poi Wimbledon mi piace moltissimo come posto». In Davis ora l’Italia ha una ottima squadra: sufficiente per vincere? «Siamo compatti, solidi, da corsa su tutte le superfici. Nelle finali di Madrid saremo in un girone tosto, con Canada e Usa, le squadre forti sono tante. Di certo possiamo dire la nostra, e non mettiamo limiti alla Provvidenza». II Masters Torino dal 2021: uno stimolo in più? «Ci penserò più avanti…». Ha due anni per pensarci. «Che non sono tantissimi… (sorride, ndr). Però indubbiamente è uno stimolo in più, per tutto il movimento. Sento voci di un possibile Atp 250 sull’erba (a Monza, ndr) ci sono le Next Gen a Milano, il Foro è sempre stracolmo, i Challenger pieni di gente. È positivo che in Italia la gente abbia voglia di tennis» […] Il 2019 per ora è un anno ‘anarchico’: anche dall’interno si avverte che le gerarchie stanno saltando? «Si sente che tutte le partite vanno lottate al 100 per cento. Thiem ha stragiocato a Barcellona, molto meno a Montecarlo contro Lajovic. Ha vinto Indian Wells, ed è uscito subito a Miami: è fisiologico. Piuttosto era strano quando i primi venti non perdevano mai, se la giocavano sempre fra di loro. Ora c’è più di ricambio, e secondo me fa bene a tutti». Ci racconta il rapporto che c’è da tanti anni con Vincenzo Santopadre? «Siamo molto uniti, ed è comprensibile: ho passato più tempo con Vincenzo che con la mia famiglia. Gli basta un’occhiata per capire come sto. Ultimamente non dico che sbarellavo, ma ero un po’ confuso: lui ha saputo indicarmi la strada giusta. A parte la grande competenza tecnica, ha una capacità innata di capire le persone». E lei, cosa ha capito nell’ultimo anno? «Che bisogna lottare sempre. Il 2018 è stato il mio primo vero anno sul tour, ho viaggiato per 10 mesi, capito come sarà la mia vita per i prossimi 10 anni. E che anche ritrovarsi con una palla-break quando servi per il match, è normale. Il tennis è fatto così, bisogna abituarsi».

Una vittoria di squadra. Ora due anni per stupire (Riccardo Crivelli, Gazzetta dello Sport)

Dammi tre parole. Ma non è una canzoncina dell’estate, piuttosto un inno (finalmente) alla credibilità italiana. Lavoro di squadra. La formula magica perché, mutuando le parole della sindaca Appendino, l’impossibile si trasformasse nel possibile, con le Atp Finals assegnate a Torino dal 2021 al 2025, i migliori otto giocatori del mondo sotto la Mole. A Palazzo Madama è un giorno di festa, non solo per la città ma per il sistema-paese. La Appendino, cui va l’enorme merito di aver sempre creduto nell’impresa anche quando la felicità sembrava doversi trasferire in Giappone (a Tokyo), è davvero emozionata nel rivelare i tre pilastri su cui si fonderà il Masters italiano: «Innanzitutto ambiente e sostenibilità. Chiederemo una certificazione di sostenibilità che potrà essere da modello anche per altri eventi. Poi l’innovazione: con “Torino City Lab”, cercheremo di unire le nuove tecnologie con le nuove esperienze. Vogliamo che i match siano accessibili al maggior numero di persone. Infine la città protagonista: Torino deve solo mostrarsi per come è, con il suo potenziale incredibile». E siccome è bello giocare con i numeri, il presidente della Fit Angelo Binaghi si diverte a ricordare come la candidatura italiana abbia avuto successo grazie a sei congiunzioni astrali favorevoli, anche se adesso occorre che si incastri la settima: «Avremo bisogno dell’apporto del territorio, della gente, di tutte le componenti, solo così sarà un grande successo. E stiamo parlando di una manifestazione che in cinque anni dovrebbe superare il record di biglietti venduti dell’Olimpiade invernale di Torino 2006. Allora furono più di 900.000, l’obiettivo sarà quello di superare il milione di biglietti venduti». Un traguardo ambizioso, ma come afferma Chris Kermode, presidente dell’Atp e quindi «padre» delle Finals, «il torneo è il Super Bowl del tennis e abbiamo scelto Torino per la passione che ci ha messo fin dal primo minuto». Grazie alla condivisione di tutte le forze in campo, dalle istituzioni politiche a quelle imprenditoriali, esaltata come atout vincente dal sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Giancarlo Giorgetti: «Il percorso è stato complicato, difficile, e ha richiesto una larga condivisione, non solo all’interno del governo. Questo percorso ha adesso di fronte un’altra tappa importante: la sfida è quella di trasformare e amplificare ulteriormente questo evento e Sport e Salute sarà in prima fila». L’altro sottosegretario Simone Valente rivendica con forza una scelta che valorizza un modo nuovo di approcciarsi ai grandi eventi: «Non è vero che una parte del governo è sempre contraria a prescindere. Quando ci sono modelli virtuosi come questo, che portano davvero beneficio al territorio e al Paese, allora si possono e si devono portare avanti. Con la massima cura dei principi di trasparenza e dell’utilizzo oculato di fondi pubblici» […]

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