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Al femminile

Da Stoccarda a Istanbul

Petra Kvitova e Petra Martic in Germania e in Turchia hanno raggiunto un nuovo traguardo: per Kvitova il primo successo a Stoccarda, per Martic il primo in carriera

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Petra Martic
 

Martic torna a competere nell’aprile del 2017, dopo quasi una anno di pausa: un lungo periodo dedicato alla riabilitazione e ricostruzione del fisico da atleta. Nel frattempo si è trasferita in Germania, a Offenbach (alla Schuttler Waske Tennis-University). La scelta è quella di giocare meno, senza esagerare con i tornei consecutivi per non sollecitare troppo un fisico di cristallo. Ma in questo modo riesce sempre a scendere in campo sana.

Comincia una risalita che parte dal numero 659 del ranking. Successi in serie negli ITF, poi le qualificazioni al Roland Garros e l’exploit inatteso: raggiunge subito la seconda settimana dello Slam (superando Bondarenko, Sevastova, Keys) fermata da Elina Svitolina agli ottavi (dopo aver condotto 5-2 nel terzo set). E subito dopo ripete il quarto turno a Wimbledon, grazie anche a una vittoria memorabile contro Gavrilova al termine di un match-maratona (6-4, 2-6, 10-8).

Nel 2018, a 27 anni, finalmente Petra può disputare una stagione intera senza seri problemi fisici, concludendo l’anno al numero 40 del ranking. E inizia a collaborare con una nuova allenatrice, Sandra Zaniewska. Dopo questo periodo di stabilità è possibile stilare un primo bilancio della sua carriera, ragionando soprattutto sugli aspetti tecnici e tattici, dato che i problemi fisici non sono più determinanti.

Cosa ne è oggi della giocatrice che, appena ventenne, veniva considerata una delle maggiori promesse della sua generazione? Ricordo qualche altra tennista nata nel suo stesso anno, il 1991: Halep, Konta, Vandeweghe, Pavlyuchenkova, Giorgi. Tutto considerato, penso sia difficile immaginare per Petra un futuro di enormi progressi, perché ormai del suo tennis si conoscono qualità ma anche punti deboli. Offre un gioco ricco di soluzioni, di varietà tecnica e di superiore sensibilità di tocco; significa che, quando è in forma, è in grado di essere brillante e creativa.

Ma, a mio avviso, con un fondamentale limite: la posizione di gioco. Per poter sviluppare il proprio tennis, Martic ha dimostrato di aver bisogno di tempo nell’esecuzione dei colpi-base da fondo, e soprattutto per questa difficoltà difficilmente riesce a reggere il ritmo e la pesantezza di palla di certe giocatrici senza cedere campo. La conseguenza è inevitabile: troppo arretrata nella posizione, contro le più forti si trova molto spesso nella condizione di dover subire l’iniziativa avversaria, costretta a un gioco di contenimento poco consono alle sue caratteristiche.

A 28 anni compiuti mi sembra difficile che riesca a cambiare drasticamente l’attuale impostazione tecnica; per questo temo che la posizione di gioco si debba considerare un limite strutturale del suo tennis. Collegato a questo è anche il modo di rispondere non molto aggressivo, che mette poca pressione alle avversarie al servizio, limitando l’incisività nei turni di risposta.
In compenso nel tempo Martic ha sviluppato un servizio di notevole qualità: potente efficace e molto vario. Per questo non è un caso che nel 2018 abbia concluso come quinta di tutto il circuito per punti vinti con la seconda di servizio: perché dispone di una battuta lavorata (slice o kick) efficacissima, che sulla seconda mette in difficoltà le avversarie quasi come la prima.

Considerando questi pro e contro, a oggi Martic si è conquistata un posto stabile fra le prime 50 del mondo, ma per il momento non è ancora riuscita a sfondare la barriera del numero 30 (best ranking 31 nel gennaio 2019). Di sicuro però già con l’attuale livello di gioco era del tutto alla sua portata la vittoria in tornei di livello International, una vittoria invece mai ottenuta malgrado la prima finale raggiunta nel 2012. Dopo aver perso lo scorso anno la finale a Bucarest contro Sevastova, Petra è riuscita a sfatare il tabù la scorsa domenica, superando 1-6, 6-4, 6-1 Marketa Vondrousova a Istanbul.

Durante il cammino in Turchia ha sconfitto nei quarti Mladenovic nel match più lungo della stagione: 7-6(4), 4-6, 7-6(2) in 3 ore e 17 minuti. Poteva essere un problema per il proseguo del torneo, ma in semifinale è stata aiutata dal ritiro di Gasparyan dopo il primo set (Margarita si è fermata per capogiri, per fortuna nulla a che vedere con i cronici problemi al ginocchio). E così Petra ha risparmiato preziose energie per la finale contro Vondrousova, che sin lì non aveva lasciato nemmeno un set per strada. Sulla carta Martic era favorita, visti i precedenti (3 vittorie a zero, 6 set vinti nessuno perso); e dopo l’avvio molto difficile ha rispettato il pronostico. Ha così colmato un vuoto che risultava particolarmente doloroso, perché la sconfitta di sette anni fa a Kuala Lumpur era stata eccezionalmente sfortunata, frutto di circostanze quasi irripetibili. Che devo per forza raccontare.

Kuala Lumpur è un torneo che oggi non si disputa più, ma che in passato si era distinto per essere forse l’International con le condizioni climatiche più estreme e faticose: alte temperature unite a un tasso di umidità quasi insopportabile. In più in quel 2012 si era vissuta una settimana complicatissima, perché aveva piovuto per giorni interi sconvolgendo il programma di gioco. E quando questo accade, spesso entra in crisi anche l’equità della programmazione.

Infatti in finale erano approdate due giocatrici in condizioni fisiche opposte: una riposata (Hsieh) e una distrutta dal calendario (Martic). Hsieh non aveva giocato i quarti di finale per il forfait di Radwanska (testa di serie numero 1, che viste le condizioni ai limite a un certo punto aveva pensato bene di rinunciare), e poi vinto la semifinale disputata regolarmente il sabato. Martic invece, a causa della pioggia, aveva dovuto affrontare la propria semifinale la domenica mattina e l’aveva vinta nel derby serbo-croato contro la testa di serie numero 2 Jelena Jankovic al termine di un match durissimo, durato oltre tre ore e terminato per 6-7(5), 7-5, 7-6(5).

Obbligata a scendere in campo per la finale subito dopo, senza il minimo riposo, Petra aveva vinto il primo set e condotto di un break nel secondo; ma a due game dalla vittoria era stata vittima dei crampi. Per capire in che condizioni fosse: i crampi non l’avevano nemmeno colta durante l’esecuzione di colpo, ma per un semplice movimento all’indietro compiuto per evitare una palla lunga di Su-Wei.

Era il segno che le ultime energie erano finite, sul 6-2, 4-2 a favore. Da quel momento non c’era stato più nulla da fare: per Petra era diventato pressoché impossibile tenere gli scambi, letteralmente distrutta dalla fatica. Ricordo anche che nel terzo set a ogni cambio campo entrava un sanitario che le misurava la pressione, per controllare che non superasse i limiti di guardia, rischiando qualcosa di più della semplice sconfitta.

Non era più uno spettacolo di tennis, ma una situazione preoccupante: a mio avviso il suo coach di allora avrebbe dovuto consigliarle il ritiro già nel momento in cui aveva perso il secondo set, dato che era evidente che non avrebbe avuto alcuna chance di vincere il terzo. Invece Petra era rimasta in campo ancora per cinque game, prima di dire definitivamente basta, tra le lacrime, sul 2-6, 7-5, 4-1 per Hsieh.

Allora sembrava che per Martic il primo successo in un torneo WTA fosse una questione imminente, semplicemente rimandata. Ma poi tutte le traversie successive avrebbero trasformato quel match in un enorme rimpianto, quasi una ferita mai del tutto rimarginata. Dopo il successo di Istanbul credo che a Petra sia tornata in mente la partita di Kuala Lumpur; di sicuro è accaduto a qualche appassionato: alcuni membri di Tennisforum (forum in inglese dedicato al tennis WTA), hanno sentito l’esigenza di tornare nella pagina dedicata a quella finale in Malesia per completare i commenti e segnalare dopo tanto tempo che Petra aveva vinto il suo primo torneo WTA. La ferita, finalmente, si è chiusa. Sette anni dopo.

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