Napolitano si affida al Team Piatti: "Voglio entrare nei Top 100 entro l'anno e rimanerci"

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Napolitano si affida al Team Piatti: “Voglio entrare nei Top 100 entro l’anno e rimanerci”

Cambio di tecnico per Stefano Napolitano: “Non è stata una mia scelta, ma il Team Piatti mi dà tutto quello che mi serve”

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Stefano Napolitano a Ilkley 2019 (foto Vanni Gibertini)
 

Fresco di cambio d’allenatore, abbiamo incontrato Stefano Napolitano (n. 177 ATP) dopo il suo esordio stagionale “effettivo” sull’erba del Challenger di Ilkley (€137.500 di montepremi), dopo che il maltempo lo ha costretto lontano dai prati durante il torneo di Nottingham. A Ilkley Stefano ha passato il primo turno contro l’inglese Liam Broady ed è uscito al turno successivo contro la testa di serie n. 2 Ugo Humbert (n. 64 ATP) cedendo 4-6 6-4 6-0. Alle qualificazioni di Ilkley a Roehampton invece ha superato un buon primo turno contro il tedesco Bachinger, testa di serie n. 15, e proseguirà il suo cammino verso il tabellone principale contro il giapponese Sugita.

Abbiamo avuto modo di parlare con lui, tra le altre cose, della sua annata fino a questo momento, del suo passaggio al Team Piatti e della riforma ormai fallita del sistema di punti da parte dell’ITF.

Qual è il tuo rapporto con l’erba?
Non ho giocato moltissimo sull’erba. Più quando ero junior, mi piace abbastanza, ci ho anche vinto abbastanza, riesco ad adattarmi bene, riesco abbastanza in fretta velocemente. Anche se la stagione è molto breve mi preparo sempre molto bene, soprattutto perché io sono uno anche troppo perfezionista da questo punto di vista.

E come ci si prepara?
Dal punto di vista tattico l’approccio alla partita è abbastanza diverso, bisogna cambiare gli appoggi, soprattutto per uno alto come me, bisogna correre in maniera diversa, perché non si può certo muoversi come ci si muove sulla terra. Purtroppo non è semplicissimo trovare strutture con campi in erba per poter effettuare la transazione, per cui ho provato ad adattarmi giocando sul veloce nello stesso modo nel quale avrei giocato sull’erba e poi sono venuto in Inghilterra qualche giorno prima per potermi allenare su questi campi, anche se purtroppo a Nottingham è stato abbastanza inutile perché abbiamo giocato quasi tutto il torneo sul cemento indoor a causa della pioggia.

La stagione è arrivata quasi a metà. Che cosa ti è piaciuto e cosa non ti è piaciuto di questi ultimi sei mesi?
Credo che la mia stagione sia stata abbastanza positiva, non estremamente positiva, ma nemmeno una cattiva stagione. Ho fatto una finale, cinque quarti di finale, ho vinto partite buone, ne ho perse alcune lottate, come per esempio quella della settimana scorsa [a Nottingham] contro Karlovic. Sono abbastanza contento del mio rendimento, ma c’è da fare qualcosa in più per poter raggiungere i miei obiettivi, questo non mi basta.

Quali sono i tuoi obiettivi?
Vorrei arrivare nei primi 100 e rimanerci stabilmente. Questo è ciò che ci siamo posti di raggiungere l’inverno scorso durante la preparazione con il mio team. Tra le altre cose ho da poco smesso di lavorare con Johan, [Ortegren] l’allenatore svedese che mi ha seguito fino a tre settimane fa. È stata una sua decisione, ma fortunatamente ora ho l’appoggio dei ragazzi del Piatti Tennis Center: i ragazzi che sono lì per me sono tutti validissimi, oggi al mio angolo c’era Christian (Brandi), lavoro anche con Andrea Volpini. Dal momento che posso contare su un gruppo di persone così competenti, non credo che cercherò un coach a tempo pieno prima della fine della stagione, perché credo di avere il supporto di cui ho bisogno dal team di Piatti a Bordighera, perché quando Christian non è disponibile riescono a mandarmi qualcun altro, oppure un preparatore atletico quando ne ho bisogno. Per il momento non cercherò nessun altro. Quest’inverno vedremo che scelte fare, ma se le cose dovessero rimanere così penso che continuerò in questo modo anche oltre questa stagione.

All’inizio di quest’anno ci sono state molte polemiche causate dal nuovo sistema di ranking introdotto dall’ITF: con la posizione di classifica che sei riuscito a costruirti probabilmente l’impatto che hai sentito è stato molto più lieve rispetto a quello che è capitato ad altri giocatori, ma come hai vissuto questo passaggio?
Questo cambiamento è stato un disastro per molti, ha tolto motivazione a tanti giocatori che avevano un ranking comunque molto buono, perché se sei n. 300 a livello mondiale vuol dire che qualcosa di buono l’hai fatto, e non è giusto che tu venga tagliato fuori. Probabilmente le intenzioni erano giuste, perché si voleva provare a dare un tennis più professionale a livello più alto, ma con quella formula che hanno introdotto si è tolta qualunque possibilità a quelli che venivano da dietro in classifica, come i ragazzi giovani che provano a partire. In tanti hanno sentito l’impatto di questo cambiamento, molti hanno smesso di giocare a tennis. Ora torneranno i punti nei Futures, ma c’è stato un periodo di tempo piuttosto lungo che ha coinvolto un numero elevato di persone.

Secondo te quindi ci sarà un gap creato da questo tentativo di riforma che non verrà colmato dalla correzione che arriverà in agosto?
Beh, è matematico: ci sono stati dei punti che non sono stati assegnati, e quindi il gap a livello di punti tra i tennisti del livello superiore e quelli che normalmente frequentano i Future sarà più elevato.

Ma credi che quelli che hanno smesso di giocare a tennis a causa di questa riforma torneranno a farei i professionisti?
Non lo so. Alla fine è anche una questione di selezione: quelli che hanno smesso non hanno avuto la forza di andare avanti dopo l’introduzione della riforma. Però per chi volesse rientrare si tratta di ripartire da zero, ed è tremendamente difficile ripartire da zero, ci vuole una grandissima motivazione.

Parlando di ripartire da capo: secondo te i meccanismi attualmente in vigore per aiutare i giocatori che devono sospendere l’attività per un infortunio, come il ranking protetto, sono sufficienti oppure vorresti avere qualche protezione in più? Qualche giocatore parla di ranking a due anni invece di uno, per poter conservare i punti 24 mesi anziché 12: tu cosa ne pensi?
Credo si tratti di un discorso molto ampio, bisognerebbe vedere se avendo un ranking basato su due anni di risultati si conserverebbero comunque quelle fluttuazioni che ci sono ora quando un giocatore consegue dei buoni risultati. Penso che il ranking attuale a 12 mesi sia migliore, perché credo si debba premiare la stagione, ma fortunatamente non ho mai subito infortuni gravi e quindi non mi sono mai trovato in una situazione del genere, quindi forse non ho la giusta prospettiva sulla faccenda.

Il momento attuale del tennis italiano è molto positivo: Fognini Top 10, Berrettini Top 20 con due tornei vinti. È una cosa che si sente tra voi oppure non cambia il tuo lavoro quotidiano?
Certo che si sente, perché con questi ragazzi ci ho giocato non troppo tempo fa. Con Berrettini ho giocato la finale a Bergamo lo scorso anno, per esempio. E in semifinale ho giocato con Sonego, che sta facendo molto bene. È molto motivante vederli al vertice, mi piacerebbe arrivare lassù dove sono loro e fare quello che stanno facendo loro, ma loro non lo faranno per me. Posso provare a prendere l’esempio e seguirlo perché… Fogna ha vinto Montecarlo… Montecarlo… non capita proprio a tutti! Comunque qualche settimana fa c’erano 20 italiani nei primi 200, quindi il 10% di tutti i tennisti, è molto bello.

Ultima domanda: il ranking, quel numero di fianco al tuo nome, lo vivi come un obiettivo oppure è soltanto una misura di quello che fai nel tuo lavoro quotidiano?
Noi siamo atleti, e viviamo di risultati, perché è attraverso quelli che veniamo valutati. Però quando il risultato diventa un’ossessione si perde il focus sulla performance, su quello che c’è da fare per raggiungere il risultato. Ovviamente mi valuto anche con i risultati che ottengo, ma so quello che faccio giorno per giorno e quando dopo i primi sei mesi dell’anno mi guardo allo specchio e mi chiedo se ho fatto tutto quello che potevo fare per raggiungere i miei obiettivi, mi posso dire sì o mi posso dire no. I risultati possono arrivare anche per fortuna o per caso, ma se non c’è un buon processo è difficile mantenere i buoni risultati nel tempo.

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