Lorenzi entusiasma. Djokovic preoccupa. Federer si irrita. Impazza la Coco Gauff Mania

Editoriali del Direttore

Lorenzi entusiasma. Djokovic preoccupa. Federer si irrita. Impazza la Coco Gauff Mania

US OPEN – Evans protesta per i favori a Federer. “Imbucato” in ottavi un qualificato tedesco. Doppio francese Mahut/Herbert KO e ai ferri corti. Furibondo il manager di Coco Gauff. Anche Townsend alla ribalta in America. Berrettini ottavi in vista?

Pubblicato

il

Novak Djokovic - US Open 2019 (foto via Twitter, @usopen)
 

da New York, il direttore

Tutta la mia più sconfinata ammirazione va a Paolo Lorenzi. Ha giocato una delle migliori partite che io gli abbia visto fare, anche se l’ha persa 6-4 7-6(9) 7-6(4). Di certo non si sono proprio manifestati i 111 posti che lo separano da Wawrinka. Andrea Pellegrini Perrone, con la sua puntualissima cronaca nella quale ha sottolineato come lo svizzero campione qui tre anni fa, abbia servito in modo straordinario nei tiebreak e in tutte le situazioni a rischio. Nei punti non importanti gli entrava la prima una volta sì e una volta no, nei tiebreak e nelle palle break quando non era ace era servizio vincente 8 volte su 10. Sono davvero pochi i giocatori che sanno tirare fuori il meglio di sé nei tornei e nei punti che contano. Wawrinka è sicuramente uno di questi. Non lo scopro io, non lo si scopre oggi. Non ha stupito quindi neppure Lorenzi, del quale avrete letto e sentito l’intervista post-match, ma anche lui che già lo sapeva si è accorto cosa significhi trovarselo di fronte.

Mi sarebbe piaciuto che Paolo vincesse il secondo set, anche se non ha poi – al di là del set point comunque annullato da Stan The Man con il servizio – avuto tutte queste occasioni. Wawrinka aveva dato segni di nervosismo quando si era fatto breakkare sul 4-2 nel primo set. Un suo lancio di racchetta verso la propria panchina avrebbe potuto colpire inavvertitamente un giudice di linea, invece di sfiorargli un piede, e in quel caso la sua squalifica sarebbe stata inevitabile… con Lorenzi qualificato per gli ottavi.

 

Ma se dico che Lorenzi ha giocato una gran partita, al di là dell’equilibrio che ha saputo dare al punteggio per tutto i tre set, è perché mi è piaciuto come ha impostato la partita, come ha spinto sempre anche di rovescio, il colpo che quando gioca sulla terra rossa lui gioca maggiormente per non sbagliare e non per aggredire. Ormai direi – ma sembra concordare anche lo stesso Lorenzi – il suo tennis è più efficace sul cemento che sulla terra rossa. Serve meglio, attacca bene, a rete non è male, deve remare meno che sulla terra dove tende a farsi cacciare troppo dietro la riga di fondocampo.

Davvero chapeau per lui. A quasi 38 ha un fisico spaziale. Avrebbe potuto giocare altre due ore, lui che ne aveva giocate più di nove nelle ultime di partite. Non sono sicuro che avrei potuto dire la stessa cosa per Wawrinka. La classifica non è ancora quella che Paolo vorrebbe, oscilla intorno al centoventesimo posto, quindi un posto nel tabellone dell’Australian Open non è ancora garantito. Per questo motivo, mentre l’altra sera Thomas Fabbiano si congratulava con se stesso perché “questo dovrebbe essere il mio primo anno senza che io sia stato costretto a giocare neanche un challenger… vuol dire un po’ aver svoltato!”, Paolo invece tre o quattro challenger li giocherà certamente. Al momento dovrebbero essere Siviglia, Biella, Firenze e Barcellona. Magari se fosse riuscito a conquistare punti sufficienti nei primi tre, potrebbe scapolare il quarto.

Nella giornata di venerdì l’attesa maggiore era per verificare le condizioni di Djokovic. C’è stata un po’ di suspense perché il serbo che doveva farsi gli ultrasuoni aveva fissato il campo per allenarsi prima alle 17, poi lo ha rinviato alle 18, quindi ha chiesto un ulteriore spostamento alle 19. Fino alle 19:20 Nole non era ancora in campo e al National Tennis Center si stava spargendo l’allarme nei media: vuoi vedere che è davvero seriamente infortunato e non gioca ma si ritira? Sulle prime, poi, chi l’ha visto arrivare contribuiva a spargere tensione sostenendo che gli era sembrato piuttosto corrucciato. Poco dopo sul campo d’allenamento P1, invece, Nole sembrava invece rilassato (episodio con il tifoso escluso), come tutto il suo team.

Anche se, con la vittoria abbastanza rapida, in due set di Keys su Kenin, c’era poco più di mezz’ora prima della sua discesa in campo per il match con Kudla. Il servizio, che non ha mai perso, è sembrato normale. Ma insomma il braccio sinistro più che per far rimbalzare la palla e lanciarla in alto non doveva fare. Invece con il rovescio mi è apparso prudente. Ha evitato di forzarlo quando non era proprio necessario. Al 100 per 100 non m’è sembrato. Poi, si sa, i doloretti a volte vengono ingigantiti nella testa se le cose non si mettono bene. E con Wawrinka potrebbero anche non mettersi bene, sebbene lo svizzero dopo l’operazione non sia sembrato più esattamente quello di prima.

Nel resto della giornata non c’erano state sorprese: nella metà bassa del tabellone femminile sono arrivate agli ottavi tutte teste di serie, dall’alto in basso Svitolina 5 vs Keys 10, Konta 16 vs Pliskova 3, Serena W. 8 vs Martic 22, Wang Qiang 18 vs Barty 2. Martic era testa di serie più bassa rispetto a Sevastova 12, ma insomma quasi tutto è andato secondo le previsioni anche se Pliskova con Jabeur e Barty con Sakkari hanno impiegato tre set. E fra gli uomini ha perso Nishikori numero 7 da De Minaur in 4 set e Basilashvili 17 da Koepfer. Dall’alto in basso sono arrivati ai quarti Djokovic e Wawrinka, il qualificato tedesco Koepfer numero 118 e Medvedev, Federer e Goffin, Dmitrov e De Minaur.

Federer era contento per aver giocato un match senza perdere un set e ancor più per aver sperimentato in tre round tre diverse situazioni: “Ho giocato un primo match di notte outdoor, un secondo indoor con il tetto, il terzo all’aperto in pieno giorno. Quel che non mi va è che ci sia chi continua a diffondere voci di m… (shitty) sul fatto che sarei io a chiedere orari, campi etcetera. Io non chiedo mai proprio nulla”.

“Sono stufo di sentire che chiedo e ottengo. Decidono i tornei”

Il suo avversario Evans era però furibondo perché non gli avevano dato più di 18 ore di riposo dalla conclusione del suo match di secondo turno, mentre Roger aveva avuto un giorno in più per aver potuto giocare sotto il tetto mercoledì. Ma non ce l’aveva con Roger bensì con la USTA.

Non credo che le cose sarebbero granché cambiate se fosse sceso in campo quattro ore più tardi. Federer non l’ha detto così, ma si è capito che lo pensava. Roger prima e Serena poi hanno incontrato uno dei grandi giganti del basket, Kobe Bryant. Roger sul campo, lei nel corridoio che porta alla sala conferenze. I due si sono intrattenuti a lungo e abbracciati con grande affetto. Lui le ha regalato il suo libro, con copertina verde “Legacy and the Queen” in cui si parla anche di tennis, di Coco Gauff e di come lui è diventato “addicted” al tennis. È davvero un grande appassionato. Ma con Serena hanno parlato anche di figli… e lei non la finiva più di parlare della sua bambina!

Roger Federer, Kobe Bryant e Daniel Evans – US Open 2019 (foto via Twitter, @usopen)

Simpaticissimo, l’ho incontrato anch’io. Gli ho chiesto un autografo per uno dei miei più stimati collaboratori, nonché vice, Luca de Gaspari che stravede per lui al punto di avere la sua immagine sul proprio indirizzo Skype e non solo, e lui mi ha chiesto chi era ed è stato poi disponibilissimo a farmi un autografo, dopo di che gli ho ammollato una cartolina di Ubitennis.com e una di Ubitennis.net. Mi ha detto che ci leggerà. Ci farebbe piacere. Adesso Luca dovrà scrivere da premio Pulitzer e poi faremo in modo di farli incontrare.

Tornando al tennis giocato in campo maschile ovviamente l’”imbucato” è il tedesco Koepfer, 25 anni e n.118 del mondo emerso dalle qualificazioni: a fine 2016 era n.1000 del mondo! E fino a due mesi fa aveva guadagnato in carriera 230.000 dollari. Adesso in due mesi ne ha fatti 350.000. Prima ha vinto il challenger di Ilkley, poi ha ottenuto una wild card a Wimbledon, il resto è arrivato qui con gli ottavi. Niente male. Il suo idolo pare sia Hewitt, cui un pochino come stazza e tipo di gioco somiglia. Contro Basilashvili ha vinto in 4 set, ma nei turni precedenti aveva battuto lo spagnolo di Maiorca Munar e Opelka, il giustiziere di Fognini. Nel 2017 Shapovalov era stato l’ultimo a emergere dalle qualificazioni fino agli ottavi. Prima di allora nessuno ce l’aveva più fatta dal 2008.

Un risultato a sorpresa ma con dei retroscena è venuto dal doppio: Herbert e Mahut hanno perso 6-3 6-1 da Bopanna e Shapovalov. I quali hanno certo giocato benissimo, ma al contempo qualcosa pare essersi incrinato nella coppia francese che ha vinto quattro Slam. I due non sono più così amici come erano prima. Mahut se l’è presa con Herbert che all’inizio dell’anno gli aveva detto di non voler giocare il doppio a Wimbledon per puntare al singolare. Ma poi però quando Andy Murray gli aveva chiesto di giocare il doppio con lui, Herbert non ha resistito all’idea di farsi un po’ di sana (?) pubblicità e ha cambiato idea. Solo che a Wimbledon l’inedita coppia è uscita al secondo turno e così a oggi Herbert per Tokyo sarebbe messo malissimo. Gli converrebbe… riconquistarsi Mahut. Infatti Mahut è arrivato comunque in finale con Roger-Vasselin: i due hanno perso 6-3 al quinto dal duo Cabal/Farah dopo 4 set decisi dal tiebreak.

Ora dopo la sconfitta odierna e quella di Wimbledon Herbert non ha punti utili a conquistare un posto alle Olimpiadi. E la prima coppia francese potrebbe essere un’altra per Tokyo. Se, ad esempio, Roger-Vasselin fosse primo nella classifica di specializzazione dopo il Roland Garros dell’anno prossimo toccherebbe a lui scegliersi il compagno e quasi certamente sarebbe Mahut. Poiché una nazione potrà schierare due coppie soltanto se ne avrà due coppie classificate fra le prime dieci, al momento Herbert è a rischio. E un po’… ben gli sta.

Per la giornata di oggi, beh in America si parla soltanto di Coco e Taylor, le due eroine mediatiche dei giorni scorsi. Le possibili eredi delle due fenomenali sorellone Williams che però hanno ormai 37 e 39 anni. Il New York Times ha scritto, fin dal titolo, che se fin qui Coco Gauff ha vinto sulla gente adesso… deve battere Naomi Osaka. Chiama e rispondi si direbbe in Italia.

La ragazzina di 15 anni ha già fatto miracoli, battesse la campionessa dell’anno scorso, e d’Australia, anche se Osaka non si è più esibita a quei livelli, sarebbe molto più che un miracolo. Di sicuro, mentre la ragazza della Georgia Taylor Townsend resta un po’ un’incognita perché dopo essersi fatta notare nel 2012 poi per sette anni ha avuto più bassi che alti, e anche se qui partecipa per la quinta volta all’US Open lo ha potuto fare o grazie a wild card oppure emergendo dalle qualificazioni come quest’anno. A 23 anni è n. 116 del mondo. È diverso essere 140 a 15 come Gauff che pare in grado di garantirsi una decina di anni da protagonista.

È più divertente guardare giocare Townsend che batte e vollea, reincarnazione americana di Martina Navratilova (106 discese a rete contro la sconvolta Halep, di cui 68 diretti serve&volley come non si vedevano dai tempi di Martina, di King e di Court) che non Coco che rema a fondocampo e con grinta inesauribile recupera tutto e lotta palla dopo palla come se fosse questione di vita o morte. E le smorfie, gli autoincitamenti che si fa piegandosi quasi a terra dopo ogni punto combattuto e vinto, trascinano la folla – e il folto, foltissimo clan che la sostiene dal suo box.

Taylor – pensate un po’ se un’italiana fosse stata battezzata… Sarta! – è riuscita finalmente a calare di peso, una dozzina abbondante di chili, da 90 a 77 pare, e avrà ripetuto mille volte in conferenza stampa quanto è stata dura per lei in tutti questi anni, con tutti che dubitavano delle sue possibilità pur dicendo – e pareva una contraddizione – che aveva grande potenziale. Un pochino, per la questione del peso, dei chili di troppo, mi sono ricordato della prima Navratilova, quando ancora con Chris Evert perdeva più partite di quante ne vinceva.

Poi Martina si affidò al dottor Haas, stesso dietologo anche di Ivan Lendl, dimagrì, si affinò, imparò a mangiare come si deve, e le sue discese a rete diventarono molto più rapide e incisive, i suoi balzi per smecciare e volleare assai più agili. Con Cirstea per Taylor Townsend sarà una prima prova del nove, come avrebbe detto Rino Tommasi. Si vedrà di che panni davvero si veste. Certo il pubblico sarà tutto per lei, come già contro Simona Halep cui proprio è mancata l’abitudine al passante. E quando mai sono costrette a tirarli le ragazze d’oggi?

Quanto a Coco vs Naomi, di certo chi sarà più nervosa, e chi ha più da perdere, è Osaka. Ma sarà sufficiente a Coco per riuscire ad approfittarne? Se vanno sulla lotta secondo me sì. Ma Naomi – che fu così disponibile e carina da far giocare una Coco tredicenne alla Pro World Academy di Delray Beach dove Coco è nata, potrebbe anche vincere 6-2 6-3 e rimandare Coco ad una vera sfida fra un annetto o due. Quando Coco potrebbe aver terminato quegli studi che, a differenza del tennis, spesso le fanno socchiudere le palpebre.

Ho parlato con il suo manager Tony Godsick riguardo a molte critiche che sono piovute sulla sua gestione per il troppo clamore che si è fatto per lanciare il personaggio Gauff e lui si è rivoltato come punto da una vespa. Si vede che avevo toccato un punto dolente.

“Siete voi giornalisti che scrivete di tutto e di più di Gauff, e poi dite di essere preoccupati che una ragazzina di 15 anni possa cadere preda di eccessive pressioni, possa risentirne psicologicamente, subire dei traumi e via dicendo. Tutti vi rifate al caso Capriati, ma quello è successo più di 20 anni fa! Troppa gente nel suo box? Cosa si deve fare se ha un padre, una madre, uno stuolo di parenti, due coach, il manager… devo impedire a qualcuno di sedersi lì? Se si consentisse ai suoi fratelli di saltare la scuola per vedere le sue partite… allora sì che sarebbe diseducativo! Ma i suoi genitori, pur entusiasti e molto estroversi ed espansivi, non lo permetterebbero. Ti assicuro che stiamo facendo di tutto per proteggerla, ma riceviamo 80 richieste di giornali, radio e tv che vogliono intervistarla e ti assicuro che facciamo di tutto perché non venga sovra esposta, soverchiata. Coco è la più giovane tennista ad aver raggiunto il terzo turno dai tempi di Anna Kournikova nel ’96. Sono trascorsi 23 anni”.

Una volta c’erano molte più enfant-prodiges. Sono 25 le tenniste under 16 che hanno vinto un match di singolare all’US Open dacché Tarcy Austin a 14 anni centrò i quarti nel ’77. Ma solo tre ragazze hanno raggiunto il terzo turno negli ultimi 22 anni e due non hanno poi fatto granché: Alexa Glatch nel 2005 e Cici Bellis nel 2014 (Cici però ha avuto gravissimi problemi di salute).

Gli dico allora: “Ma c’era proprio bisogno di vestire tutto il box con la maglietta con su scritto ‘Call me Coco’?”. E lui, prima di scusarsi per il tono insolitamente aggressivo (“Oggi mi hai preso in una cattiva giornata!”), spiega: “Quella, certo, è anche una questione di marketing: se la si deve promuovere come Coco Gauff e c’è gente che continua a chiamarla Cori come il padre, non si può restare inerti”. Beh, insomma, la CocoMania ha anche degli ispiratori commerciali. O no?

Cori Gauff – US Open 2019 (foto via Twitter, @usopen)

Tutto chiaro adesso? Sono curioso di vedere come si comporterà il pubblico. Chiaro che fossero tutti con Coco quando ha giocato con l’ungherese Babos. A Wimbledon quando batté Venus sul centre court ci fu più equilibrio sugli spalti. Venus aveva vinto lì cinque corone. E poteva dispiacere tifarle contro. E comunque non si era in America. Vero che Naomi è figlia di un haitiano e di una mamma giapponese, e che rappresenta il Giappone – questo è sicuramente un fattore – però ha vissuto a lungo in Florida e per diverso tempo sembrava dovesse giocare per gli Stati Uniti.

Last but not least, come direbbero da queste parti, come ignorare che stasera, quarto match sul campo 17, ma i primi tre sono doppi e quindi potrebbe giocare intorno alle 17-18 di New York, 23 o mezzanotte in Italia – suvvia è sabato, potete anche sintonizzarvi su Eurosport e sostenerlo – l’ultimo italiano superstite, Matteo Berrettini.

Dopo aver visto soccombere Sonego con Andujar sarà meglio non illudersi per via del ranking inferiore del giovane australiano Alex Popyrin, 20 anni e n.105 del mondo ma tipo tosto, gran servizio e gran dritto. Potrebbe essere, quello sul campo 17, un match giocato… allo specchio. Le caratteristiche sono simili ma il nostro è più esperto e insomma è il favorito. È la prima volta al terzo turno qui per tutti e due, ma Matteo ha raggiunto gli ottavi a Wimbledon. Ed è approdato qui al terzo turno senza giocare benissimo. Si dice sia un buon segno.

Io ieri l’ho visto sereno, insieme a suo padre che mi ha detto che per via del nonno i Berrettini hanno ancora una casa a Firenze nella zona di Bellariva, non lontana dall’Arno. Si è allenato con Vincenzo Santopadre per un’oretta defatigante, credo che non gli dispiaccia giocare verso l’imbrunire, quando farà meno caldo. Gli australiani sono più abituati a temperature estreme. Ci si augura non ci sia troppo vento. “I giocatori con le leve lunghe sono più svantaggiati dei brevilinei quando c’è vento, e poi può essere un fattore che innervosisce anche se ci si arriva mentalmente preparati… Contro Thompson nei primi set ho fatto un sacco di steccate”, aveva detto venerdì sera Matteo.

Sono certo, per il resto della giornata, che la redazione vi consiglierà di non perdervi Kyrgios-Rublev, un match che promette scintille. Ma lì dovrete essere probabilmente un po’ più nottambuli che per Berrettini.

Continua a leggere
Commenti

Editoriali del Direttore

Berrettini e Musetti. È vera crisi? No, ci sono troppi “becchini”. Perché io li difendo. Una fiducia motivata

A 27 anni Matteo Berrettini e a 21 anni Lorenzo Musetti non possono essere vittime di uno “stallo” duraturo. Aliassime, Rublev, Alcaraz, Ruud non hanno regalato i loro duelli. Il computer ATP non è stato manipolato per issarli n.6 e n.18 del mondo. Pioli, Inzaghi e Allegri…

Pubblicato

il

Lorenzo Musetti (sinistra) e Matteo Berrettini (destra) - Napoli 2022 (foto Riccardo Lolli - Tennis Napoli Cup)

Che Matteo Berrettini e Lorenzo Musetti stiano attraversando un bruttissimo periodo è purtroppo indiscutibile. A me dispiace molto per loro e confido che si riprendano abbastanza presto perché – sic et simpliciter – non mi risulta che abbiano conquistato vittorie e classifica mondiale manipolando avversari e financo il computer dell’ATP.

E’ inevitabile che le loro recenti ripetute sconfitte con avversari assai peggio classificati suscitino critiche e commenti severi. Giudizi che riflettono la delusione di quanti si erano affezionati all’idea complessiva e suggestiva di un vero “Rinascimento” del tennis italiano e si ritrovano invece oggi a potersi rallegrare soltanto per i risultati conseguiti da Jannik  Sinner e, in misura minore, da Lorenzo Sonego.

E’ comprensibile che ciò accada, nondimeno mi dispiace che troppa gente scriva commenti cattivi e gratuiti su Matteo e Lorenzo. Avverto una sorta di sadismo in alcuni, di invidia in altri. Ma forse soprattutto di estrema superficialità.

 

Certo è che quando leggo questo genere di commenti sinceramente mi dispiace sia per loro duesia – in tutta onestà – per chi li scrive perché a mio avviso non fanno bella figura. Mi dispiace – egoisticamente – anche per Ubitennis perché quel tipo di commenti vengono scritti anche qui su questo sito, sebbene non siano censurabili in quanto frutto di libere opinioni.  Anche se non le condivido… non sarebbe infatti giusto cassarle solo perché non sono in sintonia con loro. Però mi piacerebbe invece sempre leggere commenti sereni e obiettivi di lettori intelligenti e come tali equilibrati…Sì, perché vorrei che quest’ultimo genere di commenti, appunto intelligenti ed equilibrati, ispirasse quelli di un numero sempre maggiore di lettori, in modo da fare crescere il livello di discussione e quindi di partecipazione a Ubitennis.

Ho già scritto molte volte che occuparsi di moderare centinaia, migliaia, decine di migliaia di commenti in capo a un anno, è una fatica improba e non solo perché porta via un sacco di tempo. E’ un lavoro complesso che richiede grande attenzione, equilibrio, aspirazione concreta all’oggettività pur nella inevitabile soggettività di ciascun moderatore. Una fatica ingrata che sarà sempre soggetta a critiche, talvolta per una mancata tempestività nella pubblicazione, talvolta per un atto censorio che può apparire discutibile, talvolta per disomogeneità di interventi quasi impossibile da combattere, ma certo mai preconcetta nei confronti di alcuno se questi si sia in genere ben comportato, espresso con toni educati e civili e in tema con l’argomento trattato…

Non è però certo un caso che una gran parte dei siti abbiano rinunciato alla pubblicazione dei commenti dei lettori. Da direttore-editore a me piacerebbe che Ubitennis si affermasse sempre più per un sito che raccoglie pareri e opinioni intelligenti, stimolanti. Non sono tantissimi coloro che commentano, ma sono tantissimi coloro che li leggono.

Dopo questa lunghissima e noiosa premessa vorrei tornare a ribadire in toto la mia fiducia nel prossimo futuro di due ragazzi, Matteo e Lorenzo, che hanno 27 e 21 anni. Con ancora – e proprio per via sia della loro anagrafe, nonché dell’impegno che mettono loro e i loro qualificati team, coach, fisio, mental coach etcetera – tantissimi margini di miglioramento.

Mi picco di essere stato fra coloro che hanno creduto nelle loro qualità quando molti sembravano dubitarne. Non credo di averlo fatto da tifoso.

A differenza di Lorenzo Musetti che già da junior aveva rivelato qualità non comuni, sotto i miei occhi vincendo da sedicenne il torneo junior di Firenze vent’anni dopo un certo Roger Federer su quegli stessi campi e all’incirca alla stessa età prima di laurearsi campione under 18 anche all’Australian Open, Matteo Berrettini nel 2016 _ a 20 anni e 8 mesi – era ancora n.433 ATP.

Era più difficile profetizzare per lui, piuttosto che per Musetti un grande futuro. Un futuro da top-ten. Figurarsi se da top-6.

Fui criticatissimo da molti lettori su questo sito quando, dopo aver visto diversi parecchi duelli fra primavera e autunno 2019 di Matteo – in gran parte vittoriosi ma anche taluni persi con una decina di giocatori  “termometro di ottimo livello” quali Bautista Agut, Zverev, Aliassime, Rublev, Khachanov, Schwartzman, Monfils, Murray, Dimitrov, Nadal e poi Thiem più volte- mi sbilanciai sull’avvenire di Matteo.

Proprio dopo una partita persa di un soffio a Vienna con Thiem, con Dominik sospinto alla vittoria anche dall’entusiasta pubblico di casa, scrissi che secondo me Matteo non era così inferiore all’austriaco che pure aveva già colto importantissimi exploit al Roland Garros, ma aveva a mio avviso il potenziale per diventare a dispetto di quella sconfitta – se non top 3 o top 5 come Thiem era già stato – però uno stabile top-ten.

Oggi che Federer è andato in pensione, che Nadal è uscito dai top-ten dopo 18 anni, che Djokovic si batte contro i vaccini e l’anagrafe, dovrei aver cambiato idea solo perché Matteo ha perso una serie di partite di fila? Non la cambio, anche se ho sempre ammesso che il suo rovescio – salvo che sull’erba – è e resta (nonostante qualche progresso) il più debole rovescio dei top 20, forse dei top 30…anche perché paga anche una mobilità francamente non al livello dei migliori del mondoUna mobilità che lo penalizza in fase di risposta al servizio, e via via quando lo scambio si prolunga, ma quando si è alti un metro e 96 cm e si pesa sugli 85 kg, non è facile da conquistare. Soprattutto nei cambi di direzione e, in difesa, per via del rovescio bimane sul quale tutti cercano di attaccare, si deve superare anche l’handicap di quei 25 cm in meno di allungo. Chi si muove benissimo recupera (già Sonego è un esempio), chi invece non riesce paga dazio.

Ma altrettanto mi sento di dire che il suo servizio resta da top-3 e il suo dritto da top-5, purchè la percentuale di “prime” torni ad essere quella che è stata fra il 2019 e il 2021, purchè il lavoro atletico lo riporti a riconquistare la stessa agilità di quel suo miglior biennio in modo che lui possa riprendere a girare attorno alla palla per colpirla con un furioso dritto dei suoi, ma senza troppo scomporsi. E’ anche fondamentale il ritorno della fiducia, certo. Ma questa torna appena si sistemano quei primi due aspetti appena citati e arrivano i primi inevitabili risultati. Se non si è sofferto per uno straordinario infortunio fisico quale quello patito da Thiem – e forse anche da Zverev – a 27 anni non si può essere finiti.

Io almeno non ci credo, anche se nello sport ne ho viste accadere tante. A parte il caso Bjorno Borg, consumato e prepensionato a 26 anni, anche John McEnroe dopo il magico 1984, dai 26 anni in poi non è più riuscito a giocare come prima. Ma nel suo caso cambiarono le racchette, il tennis subì una profonda trasformazione, diventò molto più potenza che tocco, molto più fisicità che varietà, le battute superarono tutte i 210 km orari e in massa salirono alla ribalta sul circuito oltre a “Robot-Lendl” anche i vari  “BoomBoom” Becker, i “Serve&Volley Edberg prima dei “Corri e Tira” Agassi, Courier, Chang o “Big Big Serve” “Sweet Pete” Sampras e “Mister Ace” Ivanisevic…

Non mi sembra, salvo che per il fenomeno Alcaraz e direi anche per il nostro Sinner – mi auguro! – che si stia profilando una tale irruente ondata di campioni capace di rendere impossibile il rientro di Berrettini fra i top-ten.

LEGGI A PAGINA DUE: Le chance e i meriti di Berrettini, e le critiche immeritate verso Lorenzo Musetti

Continua a leggere

Editoriali del Direttore

È morto Roberto Mazzanti, per 20 anni direttore di Matchball, la Bibbia dei veri appassionati di tennis

Tennis e giornalismo i suoi grandi amori. Sotto la sua guida saggia ed equilibrata hanno lavorato Rino Tommasi, Vittorio Piccioli, Viviano Vespignani, un giovanissimo Scanagatta. un imberbe Stefano Semeraro, il boy Luca Marianantoni e tanti altri. Era impossibile litigarci

Pubblicato

il

Aveva 82 anni, era stato colpito da un malore a gennaio. Purtroppo non si più ripreso Roberto Mazzanti, uno dei pochi, pochissimi giornalisti davvero signori, con i quali era impossibile litigare. Un uomo per bene. E non lo scrivo perchè ci ha lasciato, ma perchè è vero. E lo può dire e confermare chiunque lo abbia conosciuto.

Roberto era stato negli anni Settanta il direttore di Matchball (in edicola dal 1970 al 1996), la seconda rivista di tennis – dopo “Tennis Club” diretta da Rino Tommasi – per la quale poco più che ventenne avevo cominciato a collaborare, spinto dalla mia inesauribile passione per il tennis e per il giornalismo, gli stessi due grandi amori di Roberto. Per lui, come per me, era una passione romantica, senza mai l’ambizione di arricchirsi, ad alimentare quei due eterni amori.

Lui, bolognese, era cresciuto all’interno del Resto del Carlino dove era stato assunto inizialmente come correttore di bozze. Infatti, diventato poi redattore professionista del quotidiano bolognese, dividendosi fra le pagine della cronaca cittadina come dello sport – come sarebbe successo anche a chi scrive –  non avrebbe mai sopportato i refusi.

 

Non l’ho mai visto arrabbiato, mai perdere il controllo, mai alzare la voce. Un gentiluomo con aplomb british, mascherato da un moderato accento emiliano. Adorava guardare il tennis, non solo quello dei grandi – venne anche a vedermi giocare la finale di doppio dei campionati italiani di Seconda Categoria al Circolo Tennis Giardini Margherita, lui che frequentava la Virtus del presidente (anche FIT) Giorgio Neri – ma gli piaceva anche giocarlo. E lo ha fatto da dilettante fino a tempi anche recenti, sebbene avesse scoperto anche il golf e, negli anni, gli fosse venuta anche la passione per le automobili, la tecnologia, il loro evolversi.

Lavoravamo per lo stesso gruppo editoriale, la Poligrafici, ma io – più giovane e scapolo mentre lui era sposato – ero più  disponibile a sacrificare ferie e vacanze (a caccia di ospitalità o alberghi a due stelle) per andare a seguire il tennis nel maggior numero possibile di tornei.

Quindi per Nazione e “Carlino” accadeva che lui mi lasciasse il passo per gli Slam e che io lo lasciassi a lui per la Coppa Davis …che allora era una cosa seria, ma si esauriva in alcuni long-weekend e che potevano essere anche 5, 6 o 7 in un anno se l’Italia andava in finale come accadde per quattro anni su cinque fra il ’76 e l’80. Accadde anche che con quei ripetuti exploit dei nostri 4 moschettieri azzurri io mi ritrovassi a seguire insieme a Roberto anche quegli eventi a squadre.

Non esisteva Internet, né la composizione digital-elettronica e Matchball optò, anche per contrapporsi a “Il Tennis Italiano” che era un mensile, una cadenza quattordicinale. Usciva in edicole (sì, esistevano ancora…) ogni due martedì e sotto la guida di Roberto scrivevamo i nostri articoli Roberto, Rino Tommasi, Vittorio Piccioli, il sottoscritto, Paolo Francia, Viviano Vespignani e (diversi anni dopo) si sarebbe aggiunto, fra i tanti, anche Luca Marianantoni con tutti i numeri che si portava appresso. In redazione due giovani di belle speranze, Stefano Semeraro e Enrico Schiavina., Al lunedì mattina Matchball doveva essere “chiuso” in tipografia. La domenica sera…si finiva per scrivere editoriali, pagelle, statistiche, a notte inoltrata. Sempre facendo le corse, perché magari le partite, ai più diversi fusi orari, finivano tardissimo e la copertura era massiccia.  Per merito di tutto il team Matchball diventò ben presto la rivista leader e tale restò fino a che l’avvento di Internet, delle notizie on line, delle coperture televisive di più network, fece strage di gran parte delle riviste cartacee, impossibilitate a reggere la concorrenza sul piano della tempestività dell’informazione.

Roberto, giornalista elegante ed equilibrato, prediligeva i tennisti dal bel braccio, McEnroe, Panatta, Bertolucci (e più recentemente inevitabilmente Federer), Rino era prima innamorato di Rosewall e poi di Edberg, io stravedevo per l’arte e l’imprevedibilità di Nastase, per la grinta e i limiti tecnici di Connors oltre che per Boris Becker (per far da contraltare a Rino), quando sarebbe arrivato Luca avremmo annoverato nel team di Matchball anche un grande fan di Lendl.

Vabbè, vedete, anche adesso che Roberto ci ha improvvisamente lasciato affiorano nella mia mente tanti ricordi, tanti amichevoli dibattiti e lui che, con fare quasi ecumenico, mi diceva: “Dai Ubaldo scrivi le tue pagelle, falle un po’ tecniche, un po’ironiche, senza infierire mai troppo…anche se lo sappiamo tutti che se devi scrivere di promossi e bocciati, ai lettori piaceranno sempre più i voti bassi che quelli alti, quelli più critici che quelli pieni di elogi. Il mondo va così” diceva chiaramente dispiacendosene. E a quei tempi non esistevano ancora i leoni da tastiera, gli “webeti”. Che la terra ti sia lieve caro amico. E che tua moglie Anna, tuo figlio Luca, la tua nipotina adorata, sopportino con forza e coraggio il vuoto che lasci a loro e a tutti quelli che ti hanno stimato e voluto bene.

Continua a leggere

Australian Open

Australian Open: Il fenomeno Djokovic è di un altro pianeta. Tsitsipas non poteva fare di più. Non è la parola fine sul GOAT

I fenomeni non sono stati solo tre, Djokovic, Federer e Nadal. Perché se si dà peso primario ai titoli Slam, Rosewall e Laver non possono essere ignorati. E perchè un solo anno, e non sempre, laurea il vero n.1

Pubblicato

il

Il resto del video, che qui potete vedere in anteprima, è disponibile sul sito di Intesa Sanpaolo, partner di Ubitennis.

Clicca QUI per vedere il video completo!

Non ho mai pensato che potesse finire diversamente. L’unico momento di dubbio l’ho avuto – insieme a Djokovic – quando entrambi abbiamo temuto che il suo problema alla coscia fosse un problema serio.

Così come gli altri due fenomeni, Federer e Nadal (elencati, a scanso equivoci, in ordine alfabetico), Novak Djokovic è di un altro pianeta rispetto a tutti gli altri contendenti. Come fenomeni sono stati nello sport più popolare – se cito soltanto i fenomeni del calcio, anziché altre discipline sportive, è perché è più facile che quasi tutti capiscano di che cosa parlo – Pelè a cavallo degli anni 60/70, Maradona un ventennio dopo, Messi e Cristiano Ronaldo nel terzo millennio.

 

Djokovic, Federer e Nadal (ancora in ordine alfabetico) hanno lasciato le briciole a tutti gli altri tennisti loro contemporanei. E l’hanno fatto con una continuità spaventosa, in un arco temporale inimmaginabile che ha spaziato fra i 15 e i 20 anni. Davvero incredibile.

Mentre i campioni Slam del passato una volta superati i 30 anni difficilmente riuscivano a restare competitivi per più anni,– salvo rarissime eccezioni: Rosewall, Connors, Agassi su tutti – mentre  qualche straordinario campione come Borg o McEnroe ha smesso di giocare o di vincere già a 26 anni – questi tre hanno continuato a dominare il resto della concorrenza come se fosse la cosa più normale del mondo. E tutti a sorprendersi, a meravigliarsi con infinito stupore quando ciò, a uno dei tre, ma mai a tutti e tre insieme, non succedeva.

Nel conquistare il meritato appellativo di “fenomeni” i tre supercampioni non si sono limitati a registrare un record dopo l’altro pur dovendosi affrontare fra le 50 e le 60 volte in pazzeschi testa a testa, dopo essersi inseguiti come i celebri duellanti di Conrad ai tempi di Napoleone ai 5 angoli/continenti del mondo sulle più varie superfici. Ma tutti e tre hanno dato dimostrazione di formidabili e superiori doti tecniche, atletiche, caratteriali, intellettuali, morali, umane. Ho forse dimenticato un qualche aspetto?

A trovar loro un vero difetto, come campioni e come uomini, personalmente ho sempre fatto fatica. Anche perché li ho conosciuti tutti da vicino e fin da quando hanno cominciato a cogliere i loro primi stupefacenti successi, quasi imberbi, a 16 e 17 anni. Quando anche un “parvenu” del tennis avrebbe intravisto le loro eccezionali qualità. Personalità intelligenza, simpatia, resilienza, determinazione, avevano tutto fin da subito. Le si potevano scorgere a occhio nudo, senza farsi condizionare dalla semplice precocità.

Forse proprio Djokovic, il più giovane dei tre e colui che sembra destinato a restare sulla breccia più a lungo degli altri, è quello – anche per le sue posizioni NOVAX (peraltro coerenti al massimo, diversamente da chi ha presentato certificati falsi assolutamente imperdonabili) – che ha sollevato più casi controversi. Talvolta nemmeno interamente per sue responsabilità. Il background della sua famiglia, l’educazione, lo stile di vita, sono stati diversi da quelli di Federer e Nadal.

Eppoi lui è arrivato dopo di loro, quasi un intruso, in un mondo che tennisticamente si era diviso all’80% fra federeriani e nadaliani. Per conquistarsi un posto, ha dovuto farsi spazio fra loro, impossessandosi di quel 20% che era rimasto ai neutrali. E dovendo giocare dappertutto con folle di tifosi più ostili che amiche. In patria è diventato un simbolo, un eroe, un semiDio. Fuori no. E’ stata dura, molto più dura che per gli altri due fenomeni conquistarsi un suo pubblico, un suo status internazionale. Lo ha potuto fare nel solo modo che lo sport consente: i risultati. Risultati assolutamente straordinari. Pian piano ha battuto i suoi leggendari rivali più volte di quanto di avesse perso. Pian piano ha autorizzato i suoi estimatori a inserirlo nell’eterno dibattito sul GOAT, sul più forte giocatore di tutti i tempi.

Non si metteranno mai d’accordo i tifosi dei tre fenomeni. Tutti avranno buoni motivi per sponsorizzare il loro fenomeno d’elezione. Chi privilegerà un’epoca ad un’altra, una strong era a una weak era (e qualche vuoto pneumatico al top dei competitor c’è stato per tutti e tre), chi lo stile e l’eleganza, chi la forza e la garra, chi la completezza, chi una superficie o un’altra. E qualunque conclusione verrà raggiunta sarà sempre ingiusta. Anche perché se in uno stesso anno possono cambiare in maniera pazzesca le cose – pensate solo al 2016 con i primi 6 mesi di Djokovic e i secondi 6 mesi di Murray – e figurarsi da un anno all’altro – pensate al 2017 e ai 4 Slam divisi fra i “risorti” Federer e Nadal che molti avevano già dati per finiti – se si dovessero confrontare pacchetti di più anni, in cui sono magari cambiate le attrezzature, le superfici, ogni paragone fra epoche diverse condurrebbe a emettere verdetti assolutamente discutibili, comunque superficiali.

Oggi, e chiudo questo lunga premessa, i fan di Djokovic ebbri di gioia per i 22 Slam che hanno consentito a Nole di eguagliare i 22 di Rafa Nadal e di “staccare” definitivamente i 20 di Federer sembrano aver buon gioco a sostenere che chi vincerà più Slam a fine carriera potrà tappare la bocca a tutti gi altri pretendenti al GOAT.

Ma non è così. Ken Rosewall, cui abbiamo dedicato un bell’articolo in questi giorni, ha vinto 8 Slam ma ne ha dovuti saltare – perché professionista per 11 anni – ben 44. E Rod Laver, unico campione ad aver realizzato due volte il Grande Slam (1962 e 1969, a sette anni di distanza, i suoi migliori 7 anni…), ha vinto 11 Slam dovendo saltare 20 Slam fra il 1963 e il 1967. Non potevano essere loro i GOAT? I fenomeni del tennis non sono stati solo tre.

Quelle ultime due lettere, A e T,  stanno per ALL TIME. Se allora ALL TIME, per i motivi su esposti, non si può dire, limitiamoci allora a dire chi sia stato il miglior tennista del mondo anno per anno. E solo in quel caso è più probabile che non ci si sbagli, anche se – ripetendo l’esempio fatto poc’anzi – se si prende in esame un anno come il 2016 nel quale Novak domina i rimi sei mesi, Andy Murray i secondi sei, e il computer ATP assegna il numero uno year-ending a Murray perché vince la finale del Masters…beh anche in quel caso siamo così sicuri che il verdetto fosse così inequivocabile, inappellabile? Una sola partita può decidere chi sia il miglior tennista di tutto l’anno, solo perché lo dice un computer che – cito per l’ennesima volta Rino Tommasi – “sa far di conto, ma il tennis non lo capisce?”.

Vabbè, torno sulla finale e sulla superiorità disarmante di Djokovic perfino al termine di un match non immune da pecche, da errori evitabili, da nervosismi quasi inesplicabili come quello che lo ha colto a metà del secondo set quando avrebbe potuto continuare a gestire tranquillamente il match come aveva fatto fino ad allora.

Tsitsipas non poteva far molto di più, salvo che – nel tiebreak del secondo set – evitare quei quattro errori di dritto, il suo colpo migliore andato improvvisamente…in barca.

Ma Djokovic, che è indiscutibilmente da anni il miglior ribattitore del mondo – e qui, su questo giudizio, credo possano essere d’accordo perfino i tifosi di Federer e Nadal – era stato ingiocabile sui propri servizi. Fino a quel game in cui Tsitsipas è riuscito – sul 4-5 del secondo set-  a conquistarsi contemporaneamente sia la prima palla break che l’unico setpoint Djokovic, aveva lasciato al più temibile dei suoi avversari la miseria di sei punti nel primo set in cinque turni di battuta (la sola volta che Stefanos era arrivato a 30 però Novak era avanti già 3-1 e 40-0) e nel secondo set 5 punti nei quattro turni di servizioMai Tsitsipas era ancora arrivato a 40.

Ok? Bene: c’è arrivato in quel frangente e sulla pallabreak-setpoint che fa Djokovic? Prima di servizio e dritto vincente.

Poi un tiebreak giocato maluccio da entrambi, perché sul 4-1 per Nole frutto di tre minibreak seguiti a 3 inattesi errori di dritto di Tsitsipas Nole ha prima regalato un insolito rovescio per lui banalissimo e poi ha fatto anche il secondo doppio fallo del suo match. Ma sul 4 pari ecco di nuovo Tsitsipas, evidentemente teso come una corda di violino, sbagliare un quarto dritto! Djokovic non se l’è fatto dire due volte e dal 4 pari al 7-4 è stato un gioco da ragazzi.

Qualcuno poteva illudersi che dopo il toilette break e l’unico servizio perso da Nole all’inizio del terzo set le cose potessero cambiare? Forse neppure l’irriducibile Tsitsipas. 

Dal 2 a 2 in poi Djokovic – che ribadisco essere il miglior ribattitore del mondo – tiene per 4 volte consecutive il servizio a zero: 17 punti di fila (contando l’ultimo che gli aveva dato il 2-1 in un game vinto a 15). Cui seguiranno gli altri primi tre del tiebreak che decide l’ultimo tiebreak in cui, giusto per non illudere Tsitsi e le migliaia di fan greci che non smettevano di gridare “Tsitsipas, Tsitsipas” – mentre fuori dal centrale la stragrande maggioranza nel garden davanti al mega schermo era invece serba (mica facile procurarsi i biglietti…) – Djokovic sale sul 5-0, subisce dopo 20 punti conquistati con il servizio un mini-break, ma poco dopo chiude con un dritto vincente sul terzo matchpoint.

Sì, mi scuso, ho riscritto una cronaca che Cipriano Colonna aveva già scritto brillantemente chiudendola su Ubitennis nei 5 minuti successivi alla conclusione, ma solo per sottolineare come oggi perfino un Djokovic che ha giocato senza fare troppe cose straordinarie, è stato assolutamente ingiocabile in 12 turni di servizio su 14 (salvo che sul 4-5 e sul primo gae del terzo set) ed è sempre stato fortissimo – sì, proprio come sempre – quando doveva rispondere.

I suoi record li abbiamo già ricordati dappertutto. Non credo serva scriverli ancora, prima di cominciare a pensare a che cosa potrà accadere nel regno di Nadal al Roland Garros. Novak ha perso un solo set nel torneo, ma perché con Couacaud al secondo turno gli faceva male la coscia sinistra. Però se fossi stato a Melbourne tutti i suoi dieci trionfi, i 22, i 93, le 374 settimane da n.1 (verso le 377 di Steffi Graf) magari avrei trovato un modo per ricordarglieli in conferenza stampa.

Qua dico soltanto….davvero not too bad! carissimo fenomeno Djokodiecivic.

Continua a leggere
Advertisement
Advertisement

⚠️ Warning, la newsletter di Ubitennis

Iscriviti a WARNING ⚠️

La nostra newsletter, divertente, arriva ogni venerdì ed è scritta con tanta competenza ed ironia. Privacy Policy.

 

Advertisement
Advertisement
Advertisement
Advertisement