Matteo doppietta magica. Semifinale e nuovo top ten (Crivelli). Berrettini sulle orme di Panatta (Semeraro). Più vicino a tutto (Azzolini). Berrettini supera la prova del nove (Frasca). "Lui è l'evoluzione della specie" (Semeraro)

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Matteo doppietta magica. Semifinale e nuovo top ten (Crivelli). Berrettini sulle orme di Panatta (Semeraro). Più vicino a tutto (Azzolini). Berrettini supera la prova del nove (Frasca). “Lui è l’evoluzione della specie” (Semeraro)

La rassegna stampa del 26 ottobre 2019

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Matteo doppietta magica. Semifinale e nuovo top ten (Riccardo Crivelli, La Gazzetta dello Sport)

C’era un ragazzo che come lui amava il judo e l’Nba. Il tennis era una semplice passioncina, coltivata soprattutto per imitare Jacopo, il fratello più piccolo. Poi, attorno agli otto anni, di fronte alle scarse soddisfazioni che sgorgavano dal tatami, Matteo ha compiuto la scelta definitiva. Giusta, giustissima, se è vero che lunedì Berrettini diventerà il quarto italiano dell’Era Open a raggiungere il paradiso della top ten, dopo Panatta (il più giovane, a 23 anni e un mese nel 1973, cinque mesi in meno di Berretto), Barazzutti e Fognini, prolungando così il momento magico dell’Italia delle racchette[…] Punto di partenza. La realtà invece racconta della fenomenale ascesa di Matteo, numero 54 nel primo ranking di gennaio e tra due giorni almeno numero 9, con una costanza di risultati, dalla fine di aprile a oggi, che meriterebbe il premio delle Finals di Londra per sublimare un percorso straordinario. Così bello, esaltante e sorprendente da strappargli, alla fine del match vinto contro Rublev che gli ha regalato l’incrocio di oggi con l’idolo di casa Thiem, una battuta rivelatrice dello stato d’animo e del momento: «Spero di non abituarvi troppo bene». Avresti dovuto pensarci prima, Matteo, e non dopo l’ottava semifinale del tuo 2019, anno che ti ha regalato due vittorie (Budapest e Stoccarda, terra e erba), un’altra finale (Monaco di Baviera), l’esaltante avventura newyorkese stoppata solo da Nadal a una partita dall’appuntamento per il titolo e il sogno ancora vivissimo del Masters. Il successo di ieri contro Rublev è un nuovo episodio della solidità tecnica e mentale del Berrettini odierno: servizio dirompente, dritto che spacca gli scambi, back di rovescio a spezzare il ritmo di un picchiatore come il russo, cui si aggiunge la lucida freddezza nei momenti chiave, come le tre palle break su tre salvate (una nel primo e due nel secondo set) o il tie break condotto con il piglio di chi non vuole pericolosamente allungare partita e fatica. La top ten, per un giocatore così, è un punto di partenza e non certo l’approdo miracoloso di una carriera: «Per adesso – ammette Berretto — cerco di non pensarci, spero di avere ancora davanti un po’ di partite da giocare da Vienna a Bercy, provando a centrare il grande traguardo delle Finals. È una situazione cui mi devo abituare, l’anno scorso a novembre la mia stagione era già finita, devo gestire la stanchezza. Certamente entrare tra i primi dieci del mondo è un sogno, da ragazzo mi immaginavo forse top 20, perciò sto facendo qualcosa di speciale. Ma voglio continuare a migliorare, crescere ancora, nel gioco e in classifica». La serenità Non è sicumera, ma la sicurezza di chi crede nel lavoro, ritrovando nell’allenamento le sensazioni per ripartire dopo un inizio di primavera povero di risultati (quattro uscite al primo turno). È lì, secondo coach Santopadre, che si è accesa la scintilla: «Doveva solo metabolizzare la nuova dimensione, da quelle sconfitte è uscito più forte e con la rabbia giusta». E ora, a dargli tranquillità, c’è anche la fidanzata Tomljanovic: «Palleggiare con lei mi sta portando bene, peccato non possa portarla sempre…Quando siamo insieme, però, non parliamo di tennis e cerchiamo solo di goderci l’istante». Romanticismo da top ten.

Berrettini sulle orme di Panatta (Stefano Semeraro, Il Corriere dello Sport)

Il tennis italiano ormai dà assuefazione: ogni giorno un successo, un record, una data da annotarsi sul calendario. E la “droga” (emotiva) più pesante è quella che spaccia in dosi massicce Matteo Berrettini, che con il successo in due set sul russo Andrey Rublev nei quarti dell’Atp 500 di Vienna è certo di diventare lunedi il quarto Top 10 azzurro nella storia del ranking computerizzato. Eguagliando al n.9 Fabio Fognini, che dopo 40 anni di carestia fin li si era issato lo scorso 15 luglio, e piazzandosi appena dietro Corrado Barazzutti (n.7 nel 1978) e Adriano Panatta (n.4 nel 1976). Al traguardo che Fabio ha inseguito per tutta una carriera, insomma, “Matte” ci è arrivato ad appena 23 anni, e la sua irresistibile ascesa, iniziata a fari spenti ma trasformatasi quest’anno in uno sprint quasi surreale, non può non ricordare quella di Adriano Panatta. L’Adriano nazionale – che non ha mai nascosto una simpatia per l’erede fin da quando gli capitò di palleggiarci anni fa – alle Atp Finals, che allora si chiamavano Masters, ci arrivo a 25 anni, nel 1975; Matteo, romano pure lui e con lo stesso “physique du role”, lo stesso volto da divo dell’illustre antenato, rischia di togliergli anche questo record: oggi è saldamente numero 8 della Race, la classifica che decide chi saranno gli otto maestri di Londra, una posizione rafforzata anche dalla contemporanea sconfitta di Roberto Bautista Agut, il suo concorrente più pericoloso, stoppato ieri a Basilea dal pivot made in Usa Reilly Opelka. Aritmeticamente i giochi si chiuderanno però a Bercy la prossima settimana. AMATO. Berrettini intanto picchia duro e piace a tutti, proprio come accadeva a Panatta. […] Poi ci sono risultati. I trofei e il rendimento di Panatta sono ancora lontani, non paragonabili né per quantità né per qualità, ma Matteo è un `work in progress” di successo, il cui merito va anche al suo staff, a partire dall’allenatore Vincenzo Santopadre e dal mental coach Stefano Massari. Con quello di ieri Berrettini è a 19 successi negli ultimi 26 incontri. Nel 2019, dopo il centro dello scorso anno a Gstaad, ha vinto due “250” (Budapest e Stoccarda) e messo i piedi fra i `fast four” agli US Open (come non capitava dai tempi di Barazzutti), raggiungendo complessivamente otto semifinali Atp. «Spero di non abituarvi troppo bene», ha scherzato a Vienna dopo il match. «E soprattutto di non abituarmi mai io, continuando a divertirmi. L’anno scorso di aver vinto a Gstaad l’ho realizzato a novembre, ora sto macinando partite su partite e accumulando esperienze che mi serviranno nei tempi più difficili. Nel 2018 non ero mai arrivato nei quarti di un “500” e a questo punto della stagione fisicamente ero finito. Ora mi sento bene, sto alzando il livello, anche perché con il mio team abbiamo gestito bene la programmazione». L’ostacolo di oggi (ore 14, diretta Sky Sport) è il n.5 del mondo, Dominic Thiem, che Matteo quest’anno ha già battuto a Shanghai dopo averci perso l’anno scorso al Roland Gamos. Se dovesse saltare anche lui, e vincere il torneo, Matteo salirebbe addirittura al n.8 Atp. Meglio però pensare a un match alla volta. Carpe Thiem, la classifica seguirà

Più vicino a tutto (Daniele Azzolini, Tuttosport)

Vi sono dei tennisti oltre i quali c’è un mondo da scoprire. Sono quei giocatori che, per loro natura, danno la misura delle cose, dei progressi compiuti come del tragitto ancora da percorrere. Tennisti che se li batti, la vista si allarga fino a vedere la meta successiva. Andrey Rublev ha tutto per diventare uno di essi, perché per riuscire a superarlo obbliga a fare tutto meglio di come lo faccia lui: colpire il servizio con maggiore veemenza, regalare il meno possibile, avere sempre chiaro che cosa vi sia da fare sul campo e non dimenticare mai di tenere ben viva la fiamma che arde dentro e spinge e motiva, anche perché lui è fatto di fuoco, a cominciare dal colore dei capelli. Matteo Berrettini l’ha battuto agli Us Open e l’ha ribattuto ieri nei quarti aVienna, garantendosi un bel po’ di futuro da giostrare con le proprie mani: la prima semifinale in un Atp500 (che vale, ma forse meno per uno che è già salito al penultimo atto degli Us Open), la certezza di un posto in Top Ten, vedremo poi se sarà il nono o il decimo, e un passo avanti più che significativo nella corsa alle Atp Finals di Londra. […] Ieri ha utilizzato tonalità poderose solo quando gli è servito farlo, trovandole però con incantevole scelta di tempo, mentre si è riservato le note più acide (acidissime, alcune) nella gestione del match, quando ha mostrato al russo di potersi prendere l’intera sporta in un battibaleno. Sul 6-5 del primo set, quando gli ha sfilato con destrezza un game di servizio e insieme il set, poi nel tie break della seconda partita, quando se n é andato via subito, quasi avesse un bi-turbo a spingerlo lungo le strade abbastanza contorte che aveva ormai preso il match. In gara fino a un secondo prima, Rublev sé accorto il secondo dopo di essere a mani vuote. In realtà il match ha visto Matteo spavaldo nel primo set e invece a lungo confinato nell’angolo del rovescio nel secondo, costretto a sfruttare assai meno il drittone miracoloso. Eppure se l’è cavata anche sotto assedio. Con quell’aria un po’ così, da mejo figo der bigonzo, direbbero gli amici del giro di Roma Nord, un’espressione che si attaglia al valore attuale di Berrettini per il nostro tennis, dato che nasce dai venditori di fichi di una volta che portavano i frutti a Roma nelle bigonce sulle quali poi li presentavano, disponendo sopra gli altri i fichi migliori. Non è ancora un “all in; ma quasi. Con tanti ringraziamenti al gigantesco Reilly Opelka che ha liberato Berrettini, per questa settimana, di due competitor per le Atp Finals, prima David Goffin, ieri addirittura Bautista Agut spolpandolo a suon di ace. Così, Matteo si è portato a 2670 punti nella Race e lo spagnolo è rimasto a 2540. Vero, il “1000” di Parigi Bercy della prossima settimana può capovolgere tutto, dando spazio anche a inseguitori più lontani. Ci sono 1000 punti in palio, perdinci. Matteo però sa che i 130 punti che lo dividono da Bautista Agut obbligano lo spagnolo a puntare molto in alto nel 1000 parigino (se Beretta va agli ottavi, l’altro dovrebbe raggiungere la semifinale) e può intascare qualcos’altro a Vienna dove oggi (ore 14, su Sky) affronta Dominic Titiem, che ha già battuto (per meglio dire, stracciato) nei quarti a Shanghai.

Berrettini supera la prova del nove (Guido Frasca, Il Messaggero)

Fino a qualche mese fa il semplice accostamento metteva i brividi. Matteo Berrettini è romano come Adriano Panatta, è cresciuto nel quartiere dei Prati Fiscali ed è innamorato della cacio e pepe, quella giusta fatta con la pasta lunga e la crema di pecorino. Il paragone prima irriverente, ora ci sta tutto […] Un gigante non solo per l’altezza, che supera il metro e 90: da lunedì sarà top ten (n.9). Il suo illustre concittadino aveva 23 anni e un mese quando centrò per la prima volta il traguardo, il più giovane italiano dell’era open: era il 23 agosto 1973. Berrettini ha appena 5 mesi in più ed è il quarto italiano a riuscirci dall’avvento del computer (1973). Prima di lui, oltre a Panatta, Corrado Barazzutti sempre in quei fantastici anni ’70, e lo scorso giugno Fabio Fognini. OBIETTIVO LONDRA Dopo averlo battuto con una prestazione maiuscola agli US Open lo scorso settembre, l’azzurro ha ritrovato Andrey Rublev sul veloce indoor nei quarti di Vienna e lo ha sconfitto nuovamente in due lottati set: 7-5 7-6 (4). La sfida non valeva solo la semifinale nella capitale austriaca, ma era di grande importanza per la corsa alle Atp Finals di Londra. Grazie ai 90 punti già intascati, Berrettini occupa al momento l’ottavo posto disponibile per il Masters di fine anno e mette uno scudo tra lui gli inseguitori. Il più vicino, lo spagnolo Bautista Agut, è a 130 punti ed è stato eliminato nei quarti a Basilea. Decisivo sarà l’appuntamento di Parigi-Bercy della settimana prossima, ultimo Masters 1000 della stagione. IMPLACABILE Senza brillare più di tanto è riuscito comunque a spuntarla superando di tigna l’avversario, cosa che di solito fanno solo i campioni. Lucido nei momenti importanti del match: lo confermano i 30 vincenti di Matteo, attentissimo quando ha dovuto annullare le 3 palle break concesse in totale. In particolare il servizio (8 gli ace collezionati) lo ha salvato dal 15-40 del terzo game del secondo parziale. A rompere l’equilibrio nel primo è stato il break sul 5-5, quando dal 30-15 per Rublev, il romano ha infilato uno slice di rovescio, una risposta fulminante e una morbida volée bassa che hanno sorpreso il russo. Il secondo set si è deciso al tie break in cui Berrettini è volato sul 6-2 grazie al solito ace. Non ha sfruttato il primo match point e neppure il secondo, ma sul terzo ha chiuso con l’amata combinazione servizio-diritto. Nona semifinale in carriera, seconda consecutiva dopo Shanghai, ottava di una stagione da urlo in cui ha conquistato due titoli (Budapest sulla terra e Stoccarda sull’erba) e giocato gli ottavi a Wimbledon e soprattutto la semifinale agli US Open. Da metà stagione in poi ha avuto una continuità di rendimento eccezionale. «Spero di non abituarvi troppo bene», ha detto. Oggi sfida il padrone di casa Dominic Thiem, n.5 Atp. Matteo ormai è a suo agio nel club esclusivo dei migliori e ha già superato l’austriaco un paio di settimane fa a Shanghai. Si attende la replica.

“Lui è l’evoluzione della specie” (Stefano Semeraro, Il Corriere dello Sport)

[…] Se la ride Paolo Bertolucci, numero 12 Atp nel 1973, oggi autorevole commentatore di Skv, che per decenni è stato `l’altra metà” tennistica di Adriano Panatta ed è quindi è l’uomo giusto per giudicare se davvero Matteo è l’erede del campione romano. Bertolucci, Berrettini è il nuovo Panatta? «Beh, sono romani e bellocci tutti e due, ben piantati, e tecnicamente i punti forti di Matteo sono servizio e diritto, gli stessi di Adriano. Però ci sono anche tante differenze. A partire dai risultati: Berrettini è bravo ed è cresciuto moltissimo negli ultimi due anni, però come risultati siamo ancora lontani. E’ in corsa per le Atp Finals, e in futuro magari vincerà anche di più di Panatta, ma non esageriamo…». Due campioni solari, che piacciono al pubblico. E alle ragazze. «Matteo è il classico bravo ragazzo, ad Adriano piace ancora essere personaggio» “Si, ma caratterialmente sono diversi. Matteo è il classico bravo ragazzo, ora è anche fidanzato con una tennista, non mi sembra che ami troppo i riflettori. Adriano invece è sempre stato, e gli è sempre piaciuto essere, un personaggio. Anche adesso che ha una certa età». Tecnicamente sono avvicinabili? «Il tennis in questi decenni come tutti gli sport è cambiato tantissimo, nei materiali, nella tecnica, nello stile di gioco. Anche nella struttura fisica dei tennisti. Adriano all’epoca era considerato uno alto, ma è alto dieci centimetri meno di Berrettini». Però “menava” anche lui con il diritto… «Adriano era essenzialmente un giocatore di tocco, che alla bisogna poteva diventare “violento”. Matteo picchia e spinge sempre da fondocampo, è “cattivo” vero. Pensiamo poi al rovescio in back: Adriano lo usava come il jab dei pugili, per pungere, disturbare, prepararsi all’attacco con una smorzata o un attacco profondo. Quello di Berrettini, come si è visto contro Rublev è più difensivo: il russo lo aveva messo nell’angolo e lui è stato bravo a usarlo per uscirne senza rischiare troppo. E se vuole attaccare Matteo lo fa tirando delle botte tremende». Anche lui però, usa con efficacia la smorzata, un colpo tornato di moda ma che ai vostri tempi era fondamentale. «Sì, ma anche in questo caso c’è una differenza. Panatta il “dropshot” lo giocava di tocco. Matteo non ha bisogno di essere perfetto, perché ogni volta che si avvicina alla palla l’avversario fa un passo indietro, aspettandosi uno “scaldabagno’ di diritto». Berrettini è anche un buon doppista: intorno a lui e Fognini può crescere una squadra di Davis forte come la vostra? «Il problema è che Fabio ha dieci anni di più. Però anche la Davis non più quella di una volta, si gioca al meglio dei tre set, quindi Fabio ancora per due o tre anni può dare il suo contributo» Più le somiglianze, alla fine, o le differenze? «Come personaggi rimarranno diversi, il carattere non lo cambi. Tennisticamente, invece, possiamo dire che Berrettini rispetto a Panatta rappresenta l’evoluzione della specie”

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