Finali Davis: perché le scelte di Barazzutti non mi hanno convinto

Coppa Davis

Finali Davis: perché le scelte di Barazzutti non mi hanno convinto

Non avrei spremuto fino all’osso un Matteo Berrettini già provato a dismisura da un grandissimo finale di stagione. Il capitano non doveva, dopo i tre durissimi set persi con Shapovalov, metterlo in campo anche nel doppio contro il Canada. Non si invochi la sfortuna. Sono i dettagli a fare la differenza

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Corrado Barazzutti - Finali Coppa Davis 2019 (photo by Corine Dubrueil / Kosmos Tennis)
 

da Madrid, il direttore

Può forse consolare il fatto che il Canada, primo team giustiziere degli azzurri, sia andato oltre la vittoria nel proprio girone e abbia battuto anche l’Australia che, orfana dell’infortunato Kyrgios, ha conquistato soltanto il punto di De Minaur a spese di Shapovalov, ma ha subito le sconfitte di Millman con il sempre più sorprendente, nonché triplice vincitore di tre singolari Pospisil (che mi viene sempre fatto di chiamare Prinosil per assonanza… farmaceutica), e nel doppio. E certo non sarà questa eliminazione al primo turno della nuova e discussa Davis, con il terzo posto su tre squadre, a far dimenticare che questo 2019 resta un anno di grandissime soddisfazioni per il tennis italiano. Quali siano state le conoscono ormai tutti, perché le abbiamo celebrate in tutti i modi possibili e immaginabili.

Il tennis non è il calcio, gli appassionati di tennis non corrispondono esattamente a quelli che seguono il calcio nelle curve, anche se ci sono sempre più tifosi dell’uno e dell’altro sport. E anche i giornalisti che seguono il tennis non si muovono e scrivono con gli stessi toni, e principi, di quelli che seguono prevalentemente il calcio. Nel calcio l’allenatore della nazionale che fosse favorita per affermarsi nel proprio girone e arrivasse ultima, verrebbe massacrato dalla critica sempre e comunque, sebbene tutti sappiano che sono i giocatori e non gli allenatori a scendere in campo, a realizzare prestazioni negative (come positive).

Quando si perde nel calcio per i tifosi e i media l’allenatore ha quasi sempre sbagliato formazione, ha lasciato in panchina i migliori, ha sbagliato le sostituzioni, non si è reso conto che il tal giocatore non era in forma, non ha indovinato la tattica e, con il senno di poi, chiunque avrebbe fatto meglio. Nel tennis siamo tutti un tantino più discreti, educati, rispettosi e civili, anche se poi un titolo giornalistico è un titolo, deve sempre forzare un pochino la mano per stimolare la lettura dei lettori… più pigri.

Dopo tutta questa lunga premessa, devo però per prima cosa ricordare quello che ha detto Nadal a proposito delle difficoltà che hanno anche le squadre più forti nell’affermarsi come tali. “I due set su tre, il doppio che rappresenta un punto che vale il 33% dei tre punti per i quali si lotta e non più il solo 20% della vecchia Davis, fanno sì che basti pochissimo per spostare l’ago della bilancia da una parte o dall’altra”. Le ho volute ricordare perché quando il filo su cui si regge l’equilibrio è così sottile, basta anche un piccolo, piccolissimo dettaglio trascurato a trasformare una possibile vittoria in una bruciante sconfitta.

Arrivo solo adesso a dire che non ho per nulla approvato – e fin dall’inizio e non con il senno di poi, perché ad alcuni amici colleghi l’ho detto subito – la scelta di Corrado Barazzutti di schierare Berrettini in doppio contro il Canada nella prima giornata di Davis dopo che Matteo aveva appena perso in tre set durissimi (sotto tutti i profili) con Shapovalov. Quella con Shapovalov era stata una bellissima partita, persa sul filo di lana dopo un grande, grandissimo dispendio di energie fisiche e mentali. Fognini e Bolelli hanno vinto uno Slam contro tali Herbert/Mahut in una finale australiana, sono amici e fortemente affiatati e anche se Bolelli non ha avuto recentemente troppe occasioni di mettersi in mostra, beh non ha certo disimparato a giocare il doppio, né si è dimenticato tutte le esperienze che ha avuto in Davis e nei tornei ad alti livelli.

Vero che il miglior Berrettini oggi come oggi dovrebbe poter garantire prestazioni di livello superiore rispetto a Bolelli, ma tutti sapevano – e avrebbe dovuto saperlo anche Barazzutti – che quello di questi ultimi tempi non è e non poteva essere il miglior Berrettini. Inoltre, se anche fosse stato comunque considerato un tantino più affidabile di Bolelli, Barazzutti sapeva bene che avrebbe avuto bisogno di un Berrettini riposato il giusto per affrontare gli Stati Uniti. Invece ha schierato Matteo anche in doppio. E anche quel match non è stato né facile né corto né riposante, non è finito presto… (seppur non così tardi come quello conclusosi alle 04:30 del mattino) e contro l’amico Fritz, buon giocatore ma non un fenomeno, si è visto subito che quello in campo non era il miglior Berrettini, a dispetto di qualche bella cannonata di dritto, di diverse battuta sui 130 km l’ora e vari ace.

Dalla fine del secondo set in poi si è visto tutti che contro Fritz Matteo era in apnea, che faticava tremendamente a mantenere il pallino del gioco contro un tennista come l’americano che, soprattutto di dritto, faceva fatica a tenere i ritmi alti. Non era facile, sullo 0-2, tenere fuori dal doppio un n.8 del mondo, anche se decisamente più singolarista che doppista come Berrettini – che peraltro di doppi con Fognini non aveva davvero grandi esperienze – però l’allenatore è lì apposta per vedere quel che l’appassionato non può vedere, c’è apposta per rendersi conto delle situazioni, per accorgersi – magari insieme ad un medico che testi le condizioni di chi sta per scendere in campo – se un giocatore è in grado di sopportare fisicamente ma anche mentalmente un certo tipo di sforzi.

Il coraggio, diceva il Manzoni nei Promessi Sposi riferendosi a Don Abbondio, “se uno non ce l’ha non se lo può dare”, e io proprio per questo ho sempre apprezzato particolarmente chi avesse quelle doti di personalità che consentissero di fare anche scelte difficili. Ad esempio ho sempre molto apprezzato chi avesse il coraggio di contraddire anche le classifiche ATP sia nel momento di provvedere alle selezioni dei giocatori che nel momento di mandarli in campo.

Corrado Barazzutti e Fabio Fognini – Finali Coppa Davis 2019 (photo by Jose Manuel Alvarez / Kosmos Tennis)

Devo dire al proposito che Adriano Panatta è stato un grande capitano di Davis proprio perché ha spesso preso anche dei rischi, come quando – è solo il primo esempio che mi viene in mente, ma ce ne sono diversi altri, se voleste li cercherò… oppure ricordatemeli anche voi lettori più agéeripescò Camporese dalla naftalina per battere nel 1997 la Spagna di Moya a Pesaro, ben sapendo che tutti gli italiani meglio classificati di Omar secondo lui non avevano chance di farcela mentre Omar avrebbe potuto indovinare una giornata: e lui la indovinò rimontando due set di handicap e vincendo al quinto (6-7 6-7 6-1 6-3 6-3) contro il finalista dell’Australian Open di pochi mesi prima e che sarebbero diventato campione del Roland Garros l’anno dopo.

Selezionare e mettere in campo il miglior classificato lo sanno fare un po’ tutti. Scegliere a seconda delle circostanze, delle situazioni che possono verificarsi nel corso di un match e che richiedono speciali contromisure, è meno facile. Oltretutto buttando in campo un già stanco Berrettini al fianco di Fognini c’era – insieme al rischio di logorarne la resistenza – anche il rischio di sfiduciare Bolelli, convocato in nazionale giustappunto per giocare i doppi e consentire ai singolaristi di godere un meritato riposo fra un incontro e l’altro.

Come sempre quando si discutono le scelte degli allenatori mancano le controprove. Di sicuro Berrettini ha finito il suo secondo singolare contro Fritz, e la sua terza partita consecutiva al terzo set, che era alla canna del gas. E se l’Italia avesse strappato la qualificazione ai quarti, di nuovo al Berrettini singolarista Barazzutti avrebbe dovuto rivolgersi. Quella sì che era una scelta praticamente obbligata, non quella del doppio. E dopo i quarti ci potevano essere le semifinali… e la finale! Non aveva detto proprio Barazzutti che questa squadra era fortissima – concetto ribadito anche dopo l’eliminazione – e che con un po’ di fortuna questo team avrebbe potuto addirittura vincere anche questa Coppa Davis?

Purtroppo, mentre ci sta tutto di poter perdere un doppio contro due super specialisti quali Sock e Querrey, il punto determinante che ci avrebbe potuto (dovuto?) dare la vittoria, dopo che Fognini aveva fatto più del suo dovere vendicando la sconfitta dell’US Open con Opelka, era quello di Berrettini contro Fritz che, ribadisco, non è un mediocre giocatore come testimonia il suo ranking di n.32 del mondo, ma era un avversario da battere se si nutrivano ambizioni importanti quali quelle espresse.

Ho letto sul sito che le dichiarazioni del capitano azzurro post match con gli Stati Uniti si sono appuntate principalmente sui difetti del nuovo formato, sull’inaccettabile ora tarda cui si sono conclusi i match (verissimo, intollerabile anche se non era semplice in sette giorni allestire tutti quei match che dovevano essere giocati in tre soli stadi – ce ne sarebbero voluti quattro – ma l’ora tarda c’è stata per tutti, non solo per gli azzurri). E poi anche sul mancato rispetto nei confronti dei giocatori costretti a giocare a quelle ore da thè e croissant (ma, ripeto, valeva per tutti i giocatori, non solo i nostri che non possono pretendere di essere trattati diversamente dagli altri), sulla sfortuna in diversi episodi delle partite perse.

Fra le varie lamentele e giustificazioni, sottolineando un po’ demagogicamente che “Berrettini e Fognini si sarebbero meritati di più per il loro impegno” – e l’aspetto demagogico sta nel fatto che anche gli avversari si sono impegnati al massimo, perché mai loro avrebbero dovuto meritare di meno? -, Barazzutti ha segnalato anche i ritiri nei doppi di Canada e Australia che hanno falsato – o potevano falsare – la corsa alle qualificazioni per quelle squadre che sconfitte già una volta miravano ad essere fra le due seconde migliori squadre dei sei gironi.

Sono pienamente d’accordo con Corrado – e l’ho scritto subito – che quella regola è assurda, sbagliata, ingiusta e va modificata, tant’è che ho proposto al comitato organizzatore – se dovesse permanere il concetto dei gironi all’italiana che si presterà sempre a situazioni equivoche come ai Masters di fine stagione che hanno sempre procurato discussioni a non finire e anche diversi match farlocchi (vedi mio articolo al riguardo di qualche giorno fa) – di considerare le vittorie a tavolino per il ritiro di un avversario come vittorie per 7-6 6-7 7-6, cioè con il minor vantaggio possibile (un game e non dodici con due set in più come il 6-0 6-0) per chi goda di un forfait altrui. Ciò detto però, va anche precisato ad evitare equivoci, che le due squadre che si sarebbero avvalse di quella regola assurda sono state Stati Uniti e Belgio che sono state però entrambe eliminate. La giustizia a volte discende dal cielo. Quella regola sbagliata – sia anch’esso chiaro – non ha inciso minimamente sull’eliminazione dell’Italia. Quindi chiunque vi si riferisse direbbe cose pretestuose.

Ecco, qui Barazzutti mi ha ricordato i Conte, i Mazzarri, i tanti allenatori di calcio che si soffermano sempre – soprattutto nei dopo partita delle partite perse o meno felici – sulla sfortuna, sugli episodi infausti che a loro dire hanno determinato il risultato (senza loro colpe, ovviamente). Ma quando si perdono due partite su due, quattro incontri su sei, come è successo qui a Madrid, imputare il tutto alla sfortuna, alle carenze organizzative, non può convincere del tutto. Si sono persi quattro incontri, non uno o due. Li ricordo: due singolari contro il Canada e due giocatori peggio classificati (Pospisil 150, Shapovalov 15), un singolare contro gli Stati Uniti (con un giocatore, Fritz, 24 posti più giù nel ranking ATP). A ben vedere forse solo nel doppio l’esito ha rispettato il pronostico.

A volte si gioca bene, a volte meno bene, a volte si vince, a volte si perde se gli avversari sono stati più bravi dei nostri. Ma i nostri bisogna cercare di metterli nelle migliori condizioni possibili perché, sia singolarmente sia come team, possano dare il meglio di se stessi. Secondo il mio modesto e opinabilissimo parere non è stato fatto.

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