Non è da Nadal subire dodici minibreak in tre tie-break

Editoriali del Direttore

Non è da Nadal subire dodici minibreak in tre tie-break

Dominic Thiem ha tremato, ma ha fatto 22 punti contro 13. Sarà lui il vincitore n.150 degli Slam? Djokovic vincendo l’Australian Open n.8 tornerebbe n.1. Federer non molla. Zverev: “Tutti i premi di mio padre andavano allo Stato, quindi se vinco io…”

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Rafael Nadal e Dominic Thiem - Australian Open 2020 (foto via Twitter @AustralianOpen)
 

Dodici minibreak subiti nelle fasi decisive: non è da Nadal, più lento del solito. La sconfitta di Rafa Nadal, che già all’US Open del 2018 aveva sofferto Dominic Thiem oltre ogni dire, vincendo 76 al quinto, è la notizia del giorno perché a) si tratta del k.o. del n.1 del mondo, b) perché non aveva mai perso 3 tiebreak in un solo scontro, per l’appunto come tre tiebreak aveva perso Roger Federer in finale a Wimbledon contro Djokovic, c) perché apre la strada a una semifinale di Slam Thiem-Zverev che per i due è la prima in assoluto sul cemento. Thiem ancora sul campo rispondendo a Jim Courier ha detto: C’è un po’ di differenza con Federer e Djokovic che giocheranno qui la loro quindicesima semifinale…!”.

Se Djokovic vincerà il torneo detronizzerà Nadal. Federer non aveva prenotato campi di allenamento. Se si è allenato ugualmente non lo so, ma chi lo ha incontrato lo ha visto sereno, rilassato e sorridente. Niente quindi lasciava pensare che avrebbe mollato la presa su Djokovic e il torneo. Di certo Nadal tiferà per lui. Quella vinta da Thiem è stata l’ennesima partita molto bella di questo Australian Open che ha riservato serate quasi incredibili a chi aveva comprato il biglietto per la sessione notturna. Quasi sempre sulla Rod Laver Arena, ma non solo.

C’è stato un Federer-Millman memorabile, con Federer che rimonta nel tiebreak finale a 10 punti da 4-8 per aggiudicarsi 6 punti di fila, c’è un Kyrgios-Khachanov che finisce 7-6 al quinto ancora 10-8 nel tiebreak finale, c’è un’altra maratona Nadal-Kyrgios che va avanti per 3h e 38 minuti e con Rafa che vince terzo e quarto set al tiebreak. In sessione diurna ecco che tocca a Federer contro Sandgren (che ci aveva dato il dispiacere di far fuori sia Berrettini sia Fognini dopo due gran lotte) e succede di tutto nell’arco di 4h e 3 minuti prima che Roger, annullati 7 matchpoint, mostri di avere 7 vite come i gatti. Infine – ma il torneo è tutt’altro che finito alla vigilia di due semifinali intriganti come quelle che ci attendono con Thiem-Zverev (6-2 per l’austriaco i precedenti) e il “classico” Djokovic-Federer al 50mo duello (26-23 per Novak su Roger) – l’ultima serata australiana offre uno straordinario duello al penultimo sangue di 4h ore e un quarto fra Thiem e Nadal, con Nadal che avrebbe potuto vincere il primo set per essere stato avanti di un break e aver servito per il set sul 5-3 con un setpoint.

Era avanti di un break anche nel secondo – leggi la cronaca di Vanni Gibertini – ma ha perso anche quello. Vince il terzo ed è indietro di un break nel quarto, dopo aver mancato lui 3 pallebreak per salire sul 2-0, ma a Thiem viene un incredibile braccino – da pollo… eh eh – quando serve per il match sul 5-4: un doppio fallo di fila, un dritto facile in rete e un altro dritto fuori (che non aveva praticamente mai sbagliato così facili in tutto il match in così rapida successione). Così sul 5 pari nel quarto la partita è riaperta. Molti si aspettano anzi che alla fine Rafa agguanti il quarti set e diventi il favorito nel quinto. Ma di nuovo Rafa perde il tie-break, per la terza volta come non gli era mai successo in tutta una vita.

Gli chiedo: “L’anno scorso abbiamo visto una grande finale, un match molto equilibrato e Federer lo ha perso perdendo tre tie-break. Oggi si è visto un altro grande match e tu hai perso tre tiebreak cosa che non accade spesso (in quel momento non sapevo ancora che non era mai accaduta). Puoi spiegarlo? Una coincidenza” (averli persi…). Rafa Nadal: “Come l’altro giorno non ho una grande spiegazione quando ho vinto due tiebreak contro Kyrgios, oggi non ce l’ho per i tie-break che ho perso. Probabilmente perché ha giocato meglio di me. Normalmente questa è la ragione per cui vinci o perdi i tiebreak”. Vabbè, io capisco non avesse, in quella situazione, gran voglia di rispondere.  A nessuno piace perdere. E venire a parlare con i giornalisti subito dopo aver perso un match di più di 4 ore e così importante. Però la sua risposta… la potrebbe dare per ogni partita, non solo per ogni tiebreak.

Domanda teorica: “Ci spieghi perché secondo te hai perso?” Risposta teorica: “Perché lui ha giocato meglio di me”. Grazie al cavolo, mi viene da dire. Pur capendo benissimo, ripeto ancora, che se a uno gli girano le scatole può non avere alcuna voglia di rispondere. Pochi minuti prima una collega inglese gli diceva di averlo visto oggi particolarmente agitato già sul campo (o irritato? Lei ha usato la parola agitated… che non si traduce esattamente in agitato…). Lui ha naturalmente negato di esserlo. Se non lo avessi visto così anch’io, durante il match e dopo, mi sarebbe piaciuto chiedergli se avesse una spiegazione su un dato che non può essere meramente statistico: nel primo tiebreak, vinto 7 punti a 3 da Thiem, ci sono stati 6 minibreak, nel secondo, vinto 7 a 4, i minibreak sono stati  ancora 6, nel terzo vinto 8 a 6, sono stati 7. 19 minibreak in 3 tie-break di complessivi 35 punti. Un’esagerazione. Ovviamente Rafa ne ha persi di più di Thiem: ben 12.

Al di là dei numeri che magari qualcuno di voi lettori proverà a spiegare in base alle sue conoscenze, la mia impressione è stata che Thiem fosse molto più agile e scattante, riuscisse a girare attorno alla palla per colpire di dritto anche nelle fasi finali del match, mentre Nadal in diverse occasioni mi è parso lento e in ritardo. Soprattutto quando, dopo essersi spostato molto sulla sua sinistra veniva preso d’infilata dal rovescio lungolinea di Thiem che lo sorprendeva sulla sua destra. Non poche anche le situazioni in cui Thiem lo attaccava dalla parte del dritto, con il suo dritto e Rafa arrivava troppo tardi per riuscire a uncinare la palla con la chele mancina e giocare il cross e allora tentava dei lungolinea che finivano troppo spesso in corridoio. Anche qualche volée in rete di Rafa mi è sembrata, a tratti però perché ne ha fatte anche di bellissime e straordinarie, frutto di un attimo di ritardo.

Queste, credetemi, erano osservazioni che mi venivano di fare mentre guardavo il match. Non sono frutto del senno di poi. Peraltro anche a queste occorre darci un peso relativo – e infatti io glielo do – perché il match si è deciso comunque su pochissime palle, anche se i tre tiebreak hanno visto Thiem fare 9 punti in più… che non sono pochi. Quante volte si è detto che i punti valgono quasi il doppio degli altri?

Ovviamente la sconfitta di Nadal è quella che fa titolo, però appunto anche il traguardo finalmente raggiunto da Sasha Zverev merita attenzione. Il tedesco figlio (e fratello) d’arte ha finalmente centrato una semifinale di Slam e non è detto che si fermi lì. Adesso è soprattutto tutta l’Australia a fare il tifo per lui, perché come ha detto e ribadito già sul campo, dovesse vincere lui questo Slam regalerebbe tutto il primo premio, oltre 4 milioni e 120.000 dollari australiani in beneficenza a chi ha perso case e terra per via degli incendi che hanno funestato questo continente. Nessun tennista ha mai promesso (e fatto) tanto. Intanto Sasha aveva subito garantito che avrebbe dato alla stessa causa 10.000 dollari per ogni turno passato…e così sono già 50.000. Vero che 50.000 dollari sono poco più che noccioline per uno che di soli premi ha già guadagnato a meno di 23 anni oltre 20 milioni di premi ufficiali (lordi, perché vanno detratte tasse, spese di viaggio per sé e il suo team… ma al contempo non figurano ingaggi per lucrose esibizioni, Laver Cup, federtedesca, sponsor), ma 4 milioni è invece tanta tanta roba anche per un ragazzo straricco come lui oggi e con un avvenire che promette tanti bei soldoni che lui, risiedendo a Montecarlo, non devolverà al fisco tedesco.

Sulle prime, quando Zverev annunciò il suo bellissimo proposito, i maligni si erano detti: “Bella forza, tanto è convinto di non poter vincere questo Slam, ha giocato male quasi tutto il 2019 – un solo torneo vinto – non ha brillato nell’ATP Cup, ha voluto fare il bel gesto certo che tanto non gli sarebbe costato nulla”.Con il passare dei giorni Sascha ha spiegato sempre meglio il perché del suo gesto al quale ormai mancano solo due vittorie perché lo possa mettere in pratica.Ma prima di riferire quel che ha detto anche oggi Sascha, con parole e concetti belli ed apprezzabili, vorrei ripercorrere un attimo le ragioni per le quali sembrava proprio che nei confronti di uno Slam Sasha Zverev nutrisse un vero complesso. E vi invito ad arrivare in fondo all’articolo perché in effetti lui aveva cominciato a farselo e ha spiegato tutto le sensazioni che provava.

Aveva cominciato a partecipare agli Slam quasi da enfant-prodige, anno 2015, perdendo al secondo turno a Wimbledon e al primo all’US Open. Ma aveva 18 anni, proprio come Sinner oggi per il quale si chiede ad alta voce di non avere fretta. Quindi era quasi inevitabile che perdesse presto.  Così come è chiaro che anche il 2016 dovesse essere interlocutorio: dall’inizio dell’anno nei 4 Majors infatti i risultati furono un primo turno, due terzi, un secondo.Nel 2017 era invece un po’ meno scontato che non potesse andare oltre un terzo, un primo, un ottavo (a Wimbledon) e un secondo. Infatti a maggio aveva già trionfato a Roma, ad agosto a Montreal (Canadian Open), insomma in due Masters 1000. Ma anche in altri tre tornei (Washington, Monaco e Montpellier). In un sacco di partite, negli Slam, si faceva trascinare al quinto anche da avversari piuttosto modesti, e lo sforzo – fisico certo ma anche psicologico – per recuperare dopo quelle maratone, finiva per costargli caro. Tuttavia per uno che chiudeva l’anno a n.4 del mondo, subito dietro i celeberrimi Fab 3 (Murray era alle prese con i suoi guai) – e che a un certo punto della stagione, il 6 novembre se n’era pure lasciato uno alle spalle avendo raggiunto il best ranking a n.3 – beh, pareva proprio che gli Slam fossero per lui un territorio maledetto. Ci si dimenticava tutti un po’ dei suoi 20 anni.

Anche nel 2018 Sasha vince un Masters 1000, Madrid, e fa un’altra finale, Miami, più un paio di semifinali. Soprattutto chiude vincendo le finali ATP a Londra: però, vallo a capire, negli Slam non va oltre – sempre nell’ordine del calendario – un terzo turno, un quarto di finale (finalmente, è il primo! Accade a Parigi), altri due terzi turni deludenti per chi nuovamente chiude l’anno da n.4… senza aver conquistato tutti i ricchi punti che distribuisce uno Slam. Buon per lui che ha rivinto Washington e Monaco, e ha fatto finale a Miami e Roma. Arriviamo all’anno scorso, un anno quasi disastroso, un solo torneo vinto e di modesta caratura, Ginevra, salvato appena dalla qualificazione all’ultimo tuffo (fino a Bercy non era certo) per le finali ATP di cui era il campione in carica. Arriva in semifinale, chiude l’anno a n.7 davanti a Matteo Berrettini per il quale chiudere a n.8 è come toccare il cielo con un dito.

Comincia il 2020 e nell’ATP Cup non brilla. Quel che è accaduto all’Australian Open, dove con Wawrinka ha perso il primo set del torneo prima di dominare Stan The Man nei tre set successivi, è storia di questi giorni.A fine match gli ho ricordato la profezia di Rafa (“Entro due anni Sascha farà bei risultati anche negli Slam…”) e poi gli ho chiesto quanto fosse impaziente di raggiungere la sua prima semifinale (al 19mo Slam…): Sì ero molto impaziente, forse anzi davo troppa attenzione agli Slam. Giocavo meglio a tutti gli altri tornei. Roma, Madrid, gli altri Masters 1000, le finali ATP. Gli Slam contavano troppo per me. Quest’anno sono venuto qui senza alcuna aspettativa, giocavo in modo orribile. All’Atp Cup, le settimane precedenti. Poi nel torneo è stato un processo con vari progressi. Spero di continuare in semifinale e magari in finale. Ma non giocherò contro gente che gioca peggio…”.

“Ci parli del tuo impegno a dare tutti i soldi del primo premio, eventualmente, in aiuto di chi ha sofferto per il fuoco che ha devastato l’Australia?”

I MIEI GENITORI IN UN PAESE COMUNISTA… IO NON SONO ROGER O LEBRON JAMES!

“I miei genitori sono cresciuti nell’Unione Sovietica, dove se eri un tennista professionista, come mio padre, dovevi dare i soldi che guadagnavi allo Stato se li facevi nel tuo Paese. E non avevano mai soldi. Ora che li abbiamo si potrebbe pensare che dovremmo tenerli per noi. Ma loro mi hanno sempre detto che i soldi dovrebbero servire a cambiare il mondo. Essere investiti in qualcosa di buono, e non per metterli in una banca senza farci niente. Naturalmente se vincessi 4 milioni sarebbe un sacco di soldi, non sono Roger o LeBron James. Tuttavia so che in questo Paese, questo bel Paese, c’è gente che ha perso la sua casa e ha bisogno di questi soldi. Dipendono da questi soldi per ricostruire le loro case, ricreare la natura che c’era, animali compresi. Credo siano soldi molto più utili a loro che a me”.

Il discorso di Sascha, super apprezzabile, mi ha fatto tornare in mente l’epoca in cui intervistai Andrei Chesnokov ex n.9 ATP, a Firenze (vinse il mio torneo nell’87, lo allenava una donna Tatiana Naumko, vinse anche Montecarlo e Montreal), quando sia lui sia Natalia Zvereva (finalista con Steffi Graf al Roland Garros 1988) giocavano ma non vedevano neppure i soldi che teoricamente guadagnavano. Non ci fosse stato un grande appassionato di tennis come Boris Yeltsin, presidente russo, che, spinto dal sempiterno capitano di tutte le squadre russe di Davis e Fed Cup, Shamil Tarpishev che aveva nominato ministro dallo sport, i loro soldi li prendeva tutti lo Stato comunista.

Al Roland Garros, quando nell’89 Chesnokov battè Wilander campione in carica, raccontò: “A Mosca io e la mia famiglia stiamo in una casa che è più piccola dell’hotel dove sto qui a Parigi”. Papà Zverev ha vissuto tutta quell’epoca. E lo ha raccontato a Sascha. Chiudo riportando una frase di Dominic Thiem che ovviamente si augura di “infrangere la barriera che fin qui ha visto vincere gli Slam ai soliti tre”, a proposito della sua amicizia con Zverev: “Sarà la prima volta che in una semifinale di Slam affronterò un giocatore più giovane di me. Siamo buoni amici, sono contento per lui e per il suo risultato in uno Slam. Non esistono segreti fra noi, abbiamo giocato così tante volte (6 su 8 volte ha vinto Dominic). È una sana rivalità. Sarà un altro match equilibrato, come sempre quando si affrontano due top-ten”.

Sono stato troppo lungo ancora una volta. Sulla tristezza di Garbine Muguruza, irriconoscibile rispetto ai primi tempi quando era sempre allegra, sorridente, estroversa, scriverò un’altra volta. 

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