La vittoria di Sofia Kenin agli Australian Open (Scanagatta, Crivelli, Semeraro). Finale mai vista (Cocchi). Francesca contro il tumore: «Mamma mi dà la forza» (Piccardi)

Rassegna stampa

La vittoria di Sofia Kenin agli Australian Open (Scanagatta, Crivelli, Semeraro). Finale mai vista (Cocchi). Francesca contro il tumore: «Mamma mi dà la forza» (Piccardi)

La rassegna stampa di domenica 2 febbraio 2020

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Sofia Kenin, in Australia è nata una stella (Ubaldo Scanagatta, La Nazione)

Stamattina alle 9,30 Novak Djokovic cercherà di battere l’austriaco Dominic Thiem, giustiziere di Nadal e Zverev, per vincere l’Australian Open per l’ottava volta, conquistare lo Slam n.17 (due meno di Nadal, tre meno di Federer) e tornare n.1 del mondo davanti a Nadal, Federer e Thiem. Se invece vincesse il suo primo Slam il ventiseienne Thiem, che ha battuto Djokovic in 4 delle ultime 5 sfide, Nadal resterebbe uno, Djokovic due e Thiem scavalcherebbe Federer. Intanto il primo Slam della carriera lo ha vinto una ragazzina di 21 anni e 80 giorni, Sofia Kenin, figlia di emigranti russi che hanno seguito l’American Dream, ispirati dalle storie di Anna Kournikova e Maria Sharapova i cui genitori avevano varcato l’Oceano con poche centinaia di dollari in tasca ma con una irriducibile voglia di emergere. Ieri Sofia, n.15 WTA e la più giovane a vincere qui proprio dai tempi di una Sharapova ventenne (2008), si è prodotta nell’ennesima rimonta (46 62 62) con la più esperta Garbine Muguruza, che aveva al suo attivo 7 tornei vinti fra cui due Slam, Roland Garros 2016 e Wimbledon 2017. Ma la ragazzina nata a Mosca ha una grinta degna del grande Jimmy Connors e un timing sulla palla da far invidia a Martina Hingis. Come le campionesse degli ultimi 4 Slam, Barty, Halep, Andreescu, anche la Kenin non supera il metro e 70. Un game in particolare, sul 2 a 2 nel terzo set, nel quale la spagnola era avanti 0-40 sul servizio della Kenin meriterebbe infiniti replay: la Kenin ha sparato 3 vincenti di fila pazzeschi, ai limiti dell’incoscienza, poi ha messo a segno un ace, quindi un altro vincente. Il pubblico che fino ad allora tifava più per la Muguruza – anche perché la Kenin con i suoi continui autoincitamenti (fastidiosi quando a sbagliare sono le avversarie) non suscitava grandi simpatie – si è riversato tutto dalla sua parte. Ora è n.7 del mondo e n.1 d’America, davanti a Serena Williams che lei aveva sorpreso all’ultimo Roland Garros.

Kenin è la nuova padrona (Riccardo Crivelli, La Gazzetta dello Sport)

Piccola, ma d’effetto. Sofia, la nuova regina d’Australia, raggiunge a malapena il metro e 70, ma ha carne e sangue impastati del carattere e della sana arroganza della ragazza cresciuta in un mondo che non le apparterrà mai del tutto. Diabolica Kenin, l’americana di Russia figlia di Alexander e Lena, tornati negli Stati Uniti nel 1998 con 286 dollari in tasca dopo la nascita della bambina a Mosca: alla prima finale Slam, non può avere l’esperienza della rivale Muguruza, già campionessa di Parigi e Wimbledon, e all’inizio nemmeno le armi tecniche per contrastarne la potenza, ma non appena la spagnola cala, risale con la tenacia della lottatrice, gioca alcuni punti splendidi sulle palle break più delicate, fino a portare tutta la Rod Laver Arena dalla sua parte. Una meritata apoteosi: «Il sogno di una vita è diventato realtà. I sogni si possono rea1izzare, se ne avete uno, provateci! Ho vissuto le due settimane più belle della mia vita». Solo il tempo ci dirà se Sofia, l’11^ vincitrice diversa negli ultimi 13 Slam, apparecchierà una carriera di lusso come quel fenomeno tascabile di Arantxa Sanchez oppure tornerà presto nel limbo come la desaparecida Ostapenko. Intanto, diventa la più giovane sovrana di Melbourne dal 2007 e la più giovane statunitense per la prima volta in top ten (da domani numero 7) dopo Serena Williams (1999). Paragoni ingombranti, ma con il trionfo degli antipodi la Kenin ha semplicemente completato un cammino iniziato a cinque anni con la prima racchetta in Florida, a sei con i capelli intrecciati alla Cljisters al torneo di Miami, a sette con l’ironico battibecco con Roddick e la previsione che avrebbe rimandato indietro pure il suo servizio, a dieci con la vittoria nei campionati nazionali giovanili e la risposta secca a chi le chiedeva perché giocasse a tennis («Per diventare la numero uno del mondo»). Ricky Macci, che prima di lei scopri nientemeno che le Williams, la paragonò addirittura alla Hingis, ma dopo una brillante carriera juniores il passaggio tra le grandi l’ha sottratta un po’ alle luci della ribalta, mentre gli stessi che l’avevano osannata da ragazzetta spostavano le attenzioni sulla Gauff e la Anisimova. Battere Coco negli ottavi, perciò, deve averle provocato più di un brivido di piacere, anche se papà Alexander, da sempre suo allenatore, smorza ogni fuoco polemico: «Era giusto che si parlasse delle altre, ma io la conosco meglio di tutti e sapevo che sarebbe tornata dove le spetta». […]

A Sofia l’Australia e anche l’America (Stefano Semeraro, Corriere dello Sport)

La finale fra le due reaparecide alla fine l’ha vinta la più giovane: Sofia Kenin, 21 anni, un passato da baby prodigio, che dopo gli articoli sui giornali, gli allenamenti da cucciola con Venus Williams, Jim Courier e Martina Navratilova pareva essersi incagliata nel passaggio al circuito delle grandi. Ha battuto in tre set 4-6 6-2 6-2 Garbine Muguruza, la ex numero 1 dal fisico da wonder woman e dal cuore fragile, vincitrice a Parigi nel 2016 e a Wimbledon nel 2017, riapparsa in una finale che conta dopo due anni di dubbi e delusioni. Da domani Sofia sarà la numero 7 del mondo, la migliore americana nel ranking Wta davanti anche a Serena Williams. Garbine nel torneo era entrata da numero 32, in cerca di riscatto dopo due stagioni opache e di posti ne scalerà 16. Storie interrotte, rallentate, sospese. Ma se hai le qualità giuste, alla fine un modo per riallacciarle lo trovi: la lezione è semplice, e l’ha riassunta Sofia nel suo primo ‘speech’ da campionessa. «Voglio solo dirvi che il mio sogno oggi è ufficialmente diventato realtà. Non riesco neanche a descrivere quello che sento. Però posso dire che se anche voi avete un sogno, cercate di realizzarlo, perché potrebbe succedere». Nel primo set Garbine ha spinto al massimo, usando le sue leve lunghe e potenti. Lo sforzo però le è costato caro, non è riuscita a piegare la ragazza Sofia e ha finito per scivolare lontana dalla palla, sbattuta da una parte all’altra del campo dal tennis lineare dell’americana. Rick Macci, il suo primo coach – lo stesso della Williams – quindici anni fa in Florida aveva incollato a Sofia l’etichetta di nuova Hingis. Non ci aveva visto male, anche se la distanza con l’originale resta siderale. Per trasformarlo in risultati ci è voluto più del previsto. Se Sofia però non si è spenta come tante baby promesse lo deve a se stessa, alla fede assoluta che aveva nelle sue possibilità, ma anche a suo padre, che non ha mai voluto prendersi troppi ruoli («io sono il padre, ma so che lei ha bisogno di un coach professionista»). La scintilla è scattata l’anno scorso, con i tre tornei vinti e la vittoria illuminante con il suo idolo, Serena Williams, al Roland Garros. Garbine per tornare in alto a fine 2019 invece ha dovuto scalare una montagna vera. «Sali sulla montagna e sei solo tu, nel mezzo del nulla, senza nessun premio da inseguire, senza foto da fare, senza niente. Mentre scalavo sentivo che dovevo ripulire tutti i miei pensieri per arrivare in cima». […]

Finale mai vista (Federica Cocchi, La Gazzetta dello Sport)

Rinnovamento o tradizione? La storia del tennis aspetta, la finale degli Australian Open che va in scena oggi è una cosa mai vista. Per i protagonisti, perché mai Novak Djokovic si era trovato Dominic Thiem come rivale in una finale Slam. Djokovic, il «re d’Australia» con la sua ottava finale nell’Happy Slam contro Dominic l’austriaco, possibile nome nuovo nell’albo d’oro australiano. L’inizio di una nuova era? L’idea è golosa ma per essere realizzata non può prescindere dalla collaborazione di Nole, che arriva sul campo con una certezza statistica granitica: sette finali, altrettante vittorie e un doppio, importante obiettivo, allungare il suo record a otto successi all’Australian Open e riprendersi il numero 1 al mondo. Firmare l’ottava sinfonia potrebbe non essere così scontato per il serbo perché Thiem, pur sotto nei precedenti (4-6) lo ha battuto in quattro delle ultime cinque partite. Liberatosi dell’ex allenatore Bresnik e della fidanzata Mladenovic in rapida successione, ora vola leggero e picchia sempre più forte. Ora, con Nicolas Massu, olimpionico cileno, la musica è cambiata. Soprattutto sul veloce, dove nel 2019 ha sollevato i trofei di Indian Wells, Pechino e Vienna. E Alle Finals di Londra, dopo aver battuto lo stesso Nole nella fase a gironi, si è arrampicato fino all’ultimo atto, fermato solo da Tsitsipas. Ma è stata la primavera di Indian Wells, con la vittoria su Roger Federer, l’iniezione di fiducia più potente: «E’ stata fondamentale, anche se i campi non troppo veloci erano perfetti per il mio gioco. Poi, la stagione indoor mi ha dato altre conferme importanti e sono diventato sempre più aggressivo. Mi sono detto “se riesco a far bene indoor come sono stato in grado di fare a Londra, perché non posso riuscirci anche sui campi in cemento?”». Il ragionamento funziona. […] Un eventuale trionfo dell’austriaco sarebbe la scintilla di una piccola rivoluzione. «Questa è la seconda casa di Nole — ha messo le mani avanti Thiem — quindi non è per niente facile. L’unica soluzione è rischiare molto, ma senza essere avventato. Ho riguardato un po’ le ultime due partite vinte contro di lui l’anno scorso nella semifinale del Roland Garros e alle Finals. Dovrò cercare di ripetere gli schemi che hanno funzionato in quelle occasioni». […]

Francesca contro il tumore: «Mamma mi dà la forza» (Gaia Piccardi, Corriere della Sera)

Ti trovo bene, Franci. «Hai visto? Sto riprendendo peso, i capelli ricrescono. Pian piano, sto tornando…». il ritorno di una leonessa nella giungla metropolitana è sempre una buona notizia. Sotto le volte dei bei chiostri della Società Umanitaria, è Francesca Schiavone l’ospite mai banale di un sabato speciale in vista della giornata del malato (11 febbraio). Toglie la mascherina sanitaria e sotto ci trovi il solito spiazzante sorriso. «Ho vissuto la malattia sulla mia pelle. Ci sono giorni in cui ti senti a terra, stramazzata. Ma poi la forza la trovi. E ricominci», racconta al convegno «Stare insieme fa bene» organizzato da Casa Amica, da 35 anni accoglienza e solidarietà per i malati che migrano per curarsi (6 case, 7.500 presenze, 45 mila posti letto offerti). Parlano il professor Filippo De Braud e la dottoressa Laura Gangeri, esperta di psico-oncologia, poi parla — per la prima volta in pubblico — lei, Francesca Schiavone, 40 anni a giugno, la campionessa di tennis del Roland Garros 2010 che sui social, lo scorso 13 dicembre, ha rivelato di avere combattuto il linfoma di Hodgkin con un video che ha fatto il giro del mondo in un secondo, scatenando un’onda di affetto. Rompe il riserbo, Francesca, perché è giusto dare speranza a chi è ancora in mezzo al guado. «I sintomi sono la prima cosa che percepisci, una grandissima stanchezza e un mal di pancia continuo. Ti chiedi: cosa mi sta succedendo? — racconta la Leonessa tra la commozione generale —. La prevenzione e fondamentale, va ricordato; ma la malattia ti porta a contatto con te stesso. Entri in uno stato improvviso, nessuno ti avvisa. E a quel punto sono molto importanti le persone che ti stanno accanto nelle cure: medici, infermieri, psicologi, famiglia… Diventi una squadra. Cure e affetti. L’unione fa sempre la forza». Francesca usa poche parole ma le seleziona bene. «Dopo le cure devi fare delle scelte: io adesso non posso giocare a tennis, non posso correre. Per me ex atleta sono sacrifici. Però a quel punto inizia qualcosa di nuovo, di altro: impari della vita e di te cose che non pensavi di sapere». Una sortita in palestra dopo Natale, si è rivelata prematura. All’entusiasmo della prima cyclette è seguita troppa fatica, con tempi di recupero lunghi. Allora la Schiavone, in attesa di poter tornare ad allenare, sta scrivendo un libro sull’esperienza della malattia. Prima di salutare, svela un particolare intimo e importante: «Ho avuto la fortuna/sfortuna che si ammalasse mamma prima di me. Papà naturalmente è impazzito: la moglie, poi la figlia… Ma a me la malattia di mamma ha insegnato tanto. Attraverso di lei mi sono resa conto di quanto importante fosse la mia presenza e, quando è toccato a me, la sua durante la mia malattia. Ci siamo sentite interconnesse. Questa esperienza mi ha aiutato ad affrontare la situazione con coraggio e a vedere le cose più chiaramente: bisogna investire sulle strutture, servono più letti. Tante volte per la chemioterapia stai dentro cinque ore, anche dieci, da sola. Servono più infermieri, più opportunità di curare e, quindi, dare vita». I jeans neri le stanno ancora larghi, ma il messaggio arriva dritto a segno. Un ace al centro (del cuore).

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