Wimbledon cancellato con il sorriso: spunta la polizza da 100 milioni (Frasca). Senza Wimbledon (Mecca). Panatta: "La volta in cui fui davvero libero" (Burreddu)

Rassegna stampa

Wimbledon cancellato con il sorriso: spunta la polizza da 100 milioni (Frasca). Senza Wimbledon (Mecca). Panatta: “La volta in cui fui davvero libero” (Burreddu)

La rassegna stampa del 4 aprile 2020

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Wimbledon cancellato con il sorriso: spunta la polizza da 100 milioni (Guido Frasca, Il Messaggero)

Fortunati? No, meglio lungimiranti. Wimbledon salva i conti grazie a una clausola nel contratto assicurativo contro la cancellazione per pandemie virali del valore di circa 1,6 milioni di curo all’anno. l.a notizia circolava da mercoledì scorso, quando è stata ufficializzato l’annullamento, ed è ora una certezza confermata da Richard Lewis, direttore generale dell’All England Club: «Siamo fortunati ad avere l’assicurazione e questo ci aiuta. Gli assicuratori, i broker e tutti quelli che sono stati coinvolti hanno svolto un lavoro eccellente», ha sottolineato. Nelle casse dell’AELTC entreranno oltre 100 milioni di curo di risarcimento, con oscillazioni che dipendono dagli incassi. Il torneo più antico e famoso del mondo cadrà sul morbido, che a Church Road vuol dire sui prati, dopo aver già dato appuntamento agli appassionati di tutto il mondo al 2021. […] UNICO TRA I QUATTRO MAJOR L’idea di estendere la copertura assicurativa risale al 2003, in seguito ai timori per l’epidemia da Sars. Da allora l’organizzazione l’ha sempre rinnovata di anno in anno, unico tra i quattro Slam e in generale tra i tornei del circuito mondiale. F probabilmente tra gli eventi sportivi in generale. Va da sé che si tratta anche di uno dei pochi che poteva permettersi di stipularla. I Championships lo scorso anno hanno generato introiti per circa 260 milioni di curo, mentre gli US Open ne hanno incassati oltre 300 stravincendo la sfida della biglietteria (110 a 43). Gli Australian Open nel 2019 hanno fatto registrare introiti per circa 210 milioni di curo, mentre il Roland Garros è stato costretto al rinvio da maggio a settembre proprio per scongiurare perdite stimate in 240 milioni. Il coronavirus avrà un impatto duraturo: cosa potrà accadere ai tornei più piccoli?

Senza Wimbledon (Giorgia Mecca, Il Foglio)

E il maggio 1940, i nazisti sono ovunque in Europa, la Francia ha smesso di esistere: “Abbiamo perso la battaglia”, scrivono da Parigi al primo ministro britannico Winston Churchill, i tedeschi stanno arrivando anche da voi. Mentre l’Europa cade a pezzi, alla fine del mese l’All England Lawn Club dirama una nota: “Siamo spiacenti, dobbiamo posticipare Wimbledon, ma soltanto di qualche giorno. Non si giocherà più il 21 giugno, ma il 19 luglio”[…] Da quel momento il campo centrale diventerà sterpaglia, deposito di macerie, i tedeschi proveranno a raderlo al suolo gettandoci sopra le bombe ma non ci riusciranno. Mercoledì pomeriggio, dopo settimane di discussioni, annunci rimandati, occhi tappati ed evidenze impronunciabili, il presidente del torneo Ian Hewitt ha dovuto ammettere che Wimbledon quest’anno non si giocherà per l’ottava volta nella sua storia: “È una decisione che non abbiamo preso a cuor leggero, ma con il più grande rispetto per la salute pubblica”. Salta così tutta la stagione sull’erba, il luglio vestito di bianco, l’inchino ai reali, l’immancabile pioggia, le fragole, il tennis come cattedrale, silence please. Subito dopo l’annuncio, da New York la federazione statunitense ha dichiarato che gli Us Open continuano a essere in programma dal 31 agosto al 13 settembre, nel frattempo però a Flushing Meadows sta per essere allestito un ospedale da campo per i malati di coronavirus. Roger Federer, che aveva programmato la sua riabilitazione per essere presente a Londra, ha scritto su Twitter di essere devastato dalla notizia dell’annullamento di Wimbledon. Gli rimarrà il rimorso di quei due match point sprecati per un altro anno, mentre il tabellone del Centrale, come vuole la tradizione, continuerà a indicare il punteggio dell’ultima partita della scorsa stagione: Djokovic batte Federer 7-6 1-6 7-6 4-6 13-12 in quattro ore e 57 minuti. Un messaggio lanciato nel vuoto, rivolto a nessuno. Oggi il campo è rimasto senza rete e così rimarrà, con i sedili coperti dal nylon per proteggerli, l’erba tagliata inutilmente e inutilmente perfetta, come sempre il primo giorno. “Una croce sopra”, ha titolato l’Equipe, “Torneranno giorni migliori”, ha ribadito l’account di Wimbledon costretto a chiudere le porte all’estate, ai pomeriggi di tutti, tennis negli occhi finché non cala la sera, al sabato e alla domenica della finale, alla nostalgia del giorno dopo, a quel total white fuori dal mondo, inappropriato ovunque tranne che lì, così reazionario e così perfetto su sfondo verde. Non ci sarà nessuna celebrazione per i quarant’anni della finale tra Björn Borg e John McEnroe, quel tie break che ci ha fatti innamorare del tennis. Sarà un luglio vuoto

Panatta: “La volta in cui fui davvero libero” (Giorgio Burreddu, Il Foglio)

La libertà sta in una palla tagliata, in una volée. Magari in una veronica. “Quella no, la mia veronica non è mai stata un gesto di libertà, mi usciva e basta. Il perché non lo so. La colpivo, e la pallina andava sempre a finire lì. Liberamente”. Adriano Panatta è stato libero sempre. Nella volontà e nella rappresentazione. “Sognavo di vincere tre cose: Roma, Parigi e la Davis. Ci sono riuscito”. […] Ironia e saper vivere. “Sono nato nel ’50, praticamente durante il boom, la guerra era finita da poco, non c’era una lira, ma io ricordo di aver avuto un’infanzia bellissima, libera, sono stato figlio unico per dieci anni, mio fratello Claudio è arrivato dopo, e io giocavo da solo, e la mia libertà era quella: organizzarmi come poteva fare un ragazzino a quel tempo”. Prigioniero ce lo fece diventare il tennis, in un certo senso. […] Adesso che c’è il virus a condizionare le nostre giornate, la libertà è qualcosa su cui riflettere, qualcosa che possiamo misurare. “Essere veramente liberi sarebbe bello. Secondo me la piena libertà non esiste per nessuno, saranno almeno mille, un milione, le volte in cui non mi sono sentito completamente libero di dire o di fare qualcosa. A volte ti freni anche per buona educazione. Però forse in queste settimane la stragrande maggioranza degli italiani ha capito una cosa: la responsabilità. Il rinunciare a una parte di libertà per gli altri. Quelli che non l’hanno capito sono scemi. Ma quella è ignoranza, non puoi farci nulla”. Lo sport ha rinunciato a tutto, ai gesti e all’aggregazione, e se questa non è una mancanza di libertà, allora cos’è? “Lo sport ha cercato di resistere, ogni singolo atleta ha fatto un programma con il suo allenatore, ma tutto è andato per aria. È giusto che sia così. Non si può fare un evento importante come l’Olimpiade in queste condizioni. Anche il tennis si deve adattare. Ad agosto magari sarà tutto finito, ma ci sarà uno strascico, forse la normalità la riavremo a settembre. Lo sport dà un grande senso di libertà. Parlo dello sport nel campo di gioco, quando gli atleti sono lì dentro, dentro al campo, quello per loro è il vero senso di gratificazione, di libertà. Quello che sta intorno all’improvviso non conta più, che sia industria o politica, quando sono lì gli sportivi sono liberi”. Lui fu libero di indossare una maglietta rossa contro il regime, contro Pinochet, nel ’76, in Cile. “Quello fu un segnale contro un delinquente, perlomeno doveroso. Il vero gesto di libertà lo feci nel mio ultimo match di Coppa Davis, perdendo. Fuori dal Foro Italico c’era un ragazzino, io stavo andando alla macchina, mi fermò: “Mi regali la racchetta?”. No, te le regalo tutte. Mi ricordo ancora i suoi occhi, quel senso di sorpresa e gratitudine. Ecco, quello è stato un momento in cui mi sono sentito veramente libero”. Esce poco, il tempo della spesa. “Una volta a settimana, quindici minuti. La cosa che mi colpisce di più sono le persone che ti scansano, si scansano, e sono tutti irriconoscibili, le mascherine, le sciarpe, gli occhiali, siamo un gruppo di anonimi che gira, vaga, si sbriga, e va a destra o a sinistra a seconda di dove vai tu. C’è un po’ di paranoia purtroppo”. In casa, Panatta scivola tra la cucina e il letto, è da letto che fa tutto: legge, scrive, telefona, guarda la tv. Retaggio degli anni Settanta, quando la casa la condivideva con Paolo Bertolucci, che stava fisso in salotto. “Io non soffro tantissimo, sono sempre stato un casalingo, non mi sento soffocare”. Il concetto di libertà cambia nel tempo e nello spazio. “La mia generazione non ha fatto la guerra, però abbiamo passato il terrorismo, gli anni di piombo. Io abitavo in Toscana, mi ricordo i posti di blocco quando tornavo, i sacchi di sabbia a Roma Nord. Mio nonno mi raccontava del Ventennio, di quando la libertà non c’era. Faceva il marmista, è diventato cieco con una scheggia. Ha contribuito a tirare su il Colosseo quadrato, all’Eur. Lui era amico di Nenni, i fascisti lo avevano menato due o tre volte, a casa mia si parlava di socialismo, io sono sempre stato di sinistra. Comunista mai, perché il comunismo l’avevo visto: andavamo due o tre volte l’anno nei Paesi dell’Est, e i miei coetanei non potevano venire a giocare da noi, non potevano neanche bere la Coca-Cola. Non c’era libertà”. Qualcuno adesso sente la mancanza della libertà che c’era prima. “Il nostro è un grande popolo, che trova il meglio di sé quando le cose sono scappate un pochino di mano. Però reagisce. L’italiano è per bene. Quelli sui balconi li ho visti cantare, liberi di farlo. E poi ci sono quelli come me, a cui girano i coglioni”

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