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Opinioni

Si può ridurre tutto a Thiem l’avaro e Kyrgios il generoso (o Kyrgios cicala e Thiem formica)?

La polemica sul fondo di sostegno ai tennisti impazza, ma è tutto bianco o nero? Andiamo più a fondo e vediamo se c'è una ragione

Last updated: 06/05/2020 8:56
By Tommaso Villa Published 01/05/2020
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12 Min Read
Nick Kyrgios - Roma 2019 (foto Roberto Dell'Olivo)


📣 Guarda il torneo ATP di Shanghai in streaming su NOW! 

Kyrgios è Kyrgios, e in tempo di quarantena non sembra aver fatto progressi nel campo della diplomazia, intervenendo più o meno su ogni questione sotto il cielo, dalla proposta di fusione ATP/WTA…

Did anyone ask the majority of the ATP what they think about merging with the WTA and how it is good for us?

— Nicholas Kyrgios (@NickKyrgios) April 22, 2020

…al torneo virtuale di Madrid:

Play CALL OF DUTY OR FORTNITE SO PEOPLE ACTUALLY WATCH OR FIFA https://t.co/HmqXtVz0kB

— Nicholas Kyrgios (@NickKyrgios) April 21, 2020

La sua ultima polemica, però, potrebbe essere la più rilevante per il futuro del tennis al termine della crisi, poiché riguarda il Player Relief Fund, pensato da molti dei migliori giocatori (non tutti, come si vedrà…) in comunione con l’ATP, l’ITF e gli Slam, arrivando a raccogliere 9 milioni di euro per i giocatori compresi fra la duecentocinquantesima e la settecentesima posizione del ranking.

Kyrgios si è detto favorevole alla proposta, intimando anzi alle parti in causa di darsi una mossa (“hurry up” ha twittato), una posizione tutto sommato in linea con altre iniziative benefiche attuate da lui stesso dall’inizio della pandemia.

E allora da cosa scaturisce la polemica, se addirittura abbiamo trovato un tema che mette d’accordo Nick Kyrgios e Novak Djokovic? La polemica scaturisce dalle parole di Dominic Thiem, che nei giorni scorsi ha criticato aspramente l’idea del fondo.

Ubitennis ne ha già scritto qui, ma sembra utile riportare nuovamente le sue affermazioni a ‘Kronen Zeitung’: “Conosco il circuito Future, ci ho giocato per due anni: ci sono molti giocatori che non danno tutto per il tennis e sono poco professionali. Non vedo perché dovrei regalare loro dei soldi. Preferisco fare donazioni alle persone o alle istituzioni che ne hanno veramente bisogno”.

“Nessuno di noi top player ha ricevuto tutto in dono, ce lo siamo dovuti sudare. Nessun lavoro ti dà la garanzia di arrivare a guadagnare tanti soldi un giorno. Nessun giocatore deve lottare per la sopravvivenza, neppure quelli con un ranking più basso. Nessuno muore di fame”. In seguito Thiem ha specificato che donerebbe a dei giocatori, ma arbitrariamente, senza imposizioni dall’altro e scegliendo lui i privilegiati.

Questa invece la replica di Kyrgios su Instagram:

https://www.instagram.com/p/B_jnfRWAj14/?utm_source=ig_web_copy_link

“Non ha capito la questione. I migliori vengono pagati troppo, e non rimane abbastanza denaro per tutti. Si tratta di aiutare laddove si può, sia a livello professionale che amatoriale. Mettiti nei loro panni“.

L’attacco è stato quindi diretto anziché no (curioso che i due, sul campo, si siano sfidati soltanto per sette game in un match a Nizza nel 2015 – prima che Kyrgios si ritirasse), ed entrambi i fronti hanno ricevuto sostegno e dileggio in varia misura, ma sempre con un atteggiamento manicheo, e come potrebbe essere altrimenti sui social: chi dà ragione a Nick evidenzia la sua anima di bad boy dal cuore d’oro e usa la retorica della solidarietà, chi parteggia per Thiem insulta l’altro e a sua volta usa una retorica, stavolta quella del duro lavoro che paga sempre e della superiorità implicita di che ce la fa.

Certo, il parallelismo cicala/formica qui è proprio servito su un piatto d’argento. La dialettica del self-made man ha sempre fatto parte dell’immaginario legato a Thiem: Breznik stesso ha sempre detto che Dominator è molto meno dotato di un altro suo allievo, Ernests Gulbis, ma che se quest’ultimo riusciva subito in tutto per poi mollare, Thiem, magari inizialmente fallace, non si è mai risparmiato e si è costruito un tennis di una imposizione e di una sofferenza rare, provvisto dei colpi più pesanti del circuito e di una condizione fisica da maratoneta – e quanto per lui conti essere professionista 24/7 ce lo ricordiamo dalle sue proteste dello scorso anno a Roma, quando l’obbligo di rimanere al Foro fino alla sera in una giornata cancellata per pioggia condizionò, a suo dire, il suo rendimento del giorno successivo con Verdasco.

Di contro, abbiamo l’epitome del “potrei ma non voglio”, bennato come Gulbis (nel caso di Nick addirittura con sangue reale), scostante nei confronti dell’allenamento, della competizione e del tennis stesso se non quando gli gira, imbottito di swag, che i circuiti minori li ha bazzicati poco, visto che a 19 anni aveva già fatto due quarti Slam (gli unici della carriera finora); insomma, l’antipode dell’austriaco, e non solo geograficamente.

Ora, come non giustificare le parole di Thiem, che in fondo non sono diverse da quelle che leggiamo tutti i giorni in questa regione del mondo da parte di persone che vedono il prodotto del sudore della propria fronte come un diritto, e anche giustamente, verrebbe da dire. E come non immaginarselo che inarca un immaginario sopracciglio a sentire (a leggere, in realtà) queste parole dalla bocca (dalle dita, ibid.) di Kyrgios.

Più o meno quello che può passargli per la testa potrebbe essere questo: ma proprio tu che ammetti di non allenare il tuo colpo migliore, che ti infortuni non per il surmenage che colpisce tutti noi ma piuttosto perché non ti rinforzi abbastanza? Proprio tu che ti ritiri per aver mangiato una patatina fritta di troppo? Tu ti sei sempre posto al di là dell’approccio alla vita degli altri tennisti, e non condividi le nostre sofferenze né psicologiche, visto che non dipendi dalle vittorie per fatturare (ti basta una settimana ad Acapulco per far salivare gli sponsor), né fisiche, e in questo senso sei letteralmente un corpo estraneo, proprio tu adesso vieni a parlare di solidarietà di classe?

Dev’essere frustrante per Thiem vedersi terzo al mondo, con head-to-head vincenti con Federer e un titolo Slam sfuggito per un niente contro Djokovic, dev’essere frustrante ma al contempo validante e identificativo continuare a vedersi come il personaggio poco mediatico, quello che ancora adesso viene fatto sloggiare dalle conferenze stampa per far posto a Serena.

Dominic Thiem – Madrid 2019 (foto Roberto Dell’Olivo)

Le parole di Kyrgios non possono che rafforzare la sua idea di merito assoluto, perché su un punto avrebbe ragione nella sua immaginaria invettiva: Nick non necessariamente fonda i propri guadagni sulla competizione tennistica, ma più su ciò che rappresenta il suo modo di stare in campo e su ciò che di diverso la sua attitudine porta al gioco – è una star non per quello che il suo tennis è ma per quello che potrebbe essere, mentre se Thiem avesse il suo ranking attuale difficilmente il suo conto in banca sarebbe tanto florido.

L’impressione, però, è che il suo rimarrebbe un argumentum ad hominem, perché se ci sono aspetti criticabili sul personaggio Kyrgios, ce ne sono molti meno sul contenuto del suo messaggio. Innanzitutto, a dispetto della dialettica, anche le doti di Thiem non possono essere viste come nulle: anche con tutto quell’allenamento, quanti sarebbero arrivati così in alto? L’austriaco tira letteralmente più forte di tutti – siamo sicuri che ogni altro atleta farebbe lo stesso, a parità di sacrifici?

Così come tante persone equiparano le proprie tragedie a quelle di altri, e sbagliano, allo stesso modo Thiem paragona i propri sacrifici a quelli degli altri, mentre, anche nell’acme del nostro sport che è il circuito ATP, la stragrande maggioranza dei giocatori arriva al massimo del proprio potenziale, e molte volte oltre – se pensiamo alla Top 100 attuale, per dire, pochissimi sono quelli di cui si può dire “avrebbe potuto fare di più”, forse meno del 10%.

Innegabilmente uno come Nick Kyrgios fa più soldi grazie agli sponsor che grazie al tennis (e qui si potrebbe rintracciare un po’ di ipocrisia nel suo commento), ma non è un merito anche quello, ancorché legato a qualità innate? E soprattutto, non è forse vero per tutti i migliori tennisti? In fondo il punto dell’australiano è proprio questo: i top player fanno soldi a palate anche quando non vincono, ed è proprio sul tennis giocato che bisognerebbe riequilibrare le cose.

Un dato interessante evidenziato dai colleghi di Ubitennis.net porta acqua al mulino dell’australiano: nel 2020, Thiem (qui sembra di voler andare apposta contro di lui, ma il dato torna utile a prescindere) ha il secondo prize money più alto del tour (in virtù soprattutto della finale raggiunta a Melbourne), con un totale di 1.741.574 dollari in 13 partite; all’altro capo dello spettro, il suo giovane connazionale Jurij Rodionov ne ha racimolati 25.999 giocandone 22, con un paio di titoli e una semifinale Challenger – vediamo dunque che, a dispetto di un rendimento elevato, la diseguaglianza rimane, risultando anzi amplificata proprio perché evidentemente non stiamo parlando di uno che è stato con le mani in mano.

Lasciando da parte la retorica equo-solidale, che è giustificata ma facilmente (e liberisticamente) attaccabile, persino il pragmatismo impone il sostegno al mondo del tennis in toto: non si può pensare che lo sport sopravviva senza ricambio. Certo, siamo in un’epoca in cui sembra che i corpi degli atleti si rigenerino come quelli degli host di Westworld, ma prima o poi tutte le carriere finiranno, e se non ci sarà nessuno per raccogliere il testimone lo sport finirà, non solo perché tanti smetteranno ma perché, con l’inevitabile contrazione dei prize money che seguirà questa crisi, molte famiglie non se la sentiranno più di investire in una carriera tanto dispendiosa, sotto ogni aspetto, per i propri figli e per le proprie figlie.

Viene in mente una scena di “The Fighter“, film di pugilato di David O. Russell, in cui Amy Adams chiede a Mark Wahlberg se non è forse vero che come pugile lui serve unicamente a far guadagnare punti agli avversari (“stepping stone” è il termine utilizzato) – spoiler alert, non era vero.

Lo sport, soprattutto quello individuale, è fatto di credibilità da guadagnare, di tacche da incidere sul manico della racchetta, di mattatoi che si traducono nel filetto stellato, per citare Wallace. Siamo così sicuri che se non si aiutassero i macellai avremmo ancora la carne? Thiem dovrebbe rendersi conto che una redistribuzione non sarebbe solo uno slogan idealistico, ma aiuterebbe il business, e forse aprirebbe una discussione per renderlo migliori da tutti i punti di vista in futuro.


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