US Open: l'intenzione è rimanere a New York. Senza torneo si rischia effetto domino

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US Open: l’intenzione è rimanere a New York. Senza torneo si rischia effetto domino

USTA smentisce le ipotesi di cambio sede: nessun contatto è stato avviato con Indian Wells. Nelle casse della federazione ci sono 155 milioni, ma si proverà a non usarli

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Rafa Nadal - US Open 2019 (foto via Twitter, @usopen)
 

Le voci su un presunto spostamento di sede (oltre che di data) dello US Open si rincorrono da settimane, e il nostro Vanni Gibertini aveva già analizzato la fattibilità di un trasloco a Indian Wells per l’edizione 2020 dello Slam statunitense. Voci, intendiamoci, comunque giustificate dall’ondata di morti e contagi da coronavirus che ha colpito lo stato di New York; sebbene la curva sembri al momento in calo, nel distretto del Queens, quello dell’impianto di Flushing Meadows, sono stati registrati oltre 60.000 casi e quasi 6.000 decessi.

In un articolo del New York Times a firma Matthew Futterman, che conferma come non ci siano stati contatti ufficiali tra Larry Ellison (patron del BNP Paribas Open di Indian Wells) e i vertici USTA, viene introdotta l’ipotesi di una seconda sede alternativa, forse l’unica in grado di accogliere un evento così grande: si tratta del centro tecnico USTA di Orlando inaugurato tre anni fa, dove i campi da gioco sono ben 100. Il problema della sede di Orlando è che risulta completamente priva di strutture per accogliere i tifosi e i campi dovrebbero essere cablati per la trasmissione televisiva dei match. Non sono due ostacoli da poco, e soprattutto il primo appare di difficile risoluzione in così poco tempo.

Anche alla luce di questo, il portavoce USTA Chris Widmaier ha divulgato qualche giorno fa un comunicato nel quale si legge che nonostante si stiano vagliando tutte le possibilità di disputa dello US Open 2020, al momento l’ipotesi di cambiare sede e data non è stata presa in considerazione. A far gioco sono arrivate anche le dichiarazioni del governatore dello stato di New York. Andrew Cuomo, che ha offerto il suo supporto alle grandi manifestazioni sportive – qui si riferisce agli sport di squadra, ma l’appello sembra facilmente allargabile a tutti gli sport – interessate a giocare in sicurezza e senza tifosi.

Il parere della commissione medica per la disputa del torneo, lo ricordiamo, è atteso per giugno, e sarà piuttosto vincolante poiché a differenza di Wimbledon e di New York Road Runners, l’associazione che organizza la maratona di New York, lo US Open ha scelto di non dotarsi di un’assicurazione contro la cancellazione valutandone i costi troppo alti.

La spinta a cercare di disputare il torneo a ogni costo è ovviamente economica, poiché lo US Open – con i suoi 400 milioni annui di incassi – contribuisce per l’80% al bilancio della federazione statunitense, e naturalmente alla gran parte dei 161 milioni che USTA incassa ogni anno dalla vendita dei biglietti. “La cancellazione dell’evento avrebbe un impatto significativo sulla federazione, ma non insormontabile” ha rassicurato Widmaier. L’impatto potrebbe però riverberarsi sui bilanci dei prossimi anni, poiché l’unica strategia di contenimento rischia di essere quella di distribuire le perdite nei prossimi esercizi fiscali, anche rinegoziando gli accordi con partner commerciali e televisioni. Una scelta forse inevitabile dal punto di vista economico, i cui effetti andrebbero però a intaccare la base dell’attività propulsiva di una federazione tennistica, ovvero gli investimenti per far crescere nuovi talenti.

Frances Tiafoe, il top 100 americano più giovane foto via Twitter, @AustralianOpen)

A detta del New York Times, nelle casse di USTA ci sono 155 milioni di risparmi che la federazione vorrebbe conservare intatti. L’agente sportivo Donald Dell, che nelle scorse settimane ha avuto un colloquio con esponenti della Casa Bianca e manager del tennis statunitense, sostiene che esista un solo modo di farlo ed è tagliare i soldi distribuiti alle varie sezioni. USTA, occorre ricordarlo, ha già stanziato 50 milioni in favore di circoli e maestri per lenire gli effetti della pandemia.

In fondo la mission di USTA, organizzazione senza scopo di lucro, è promuovere la pratica sportiva. Con l’obiettivo riportare il tennis statunitense (specie quello maschile, un po’ in sofferenza) agli antichi fasti la federazione ha messo mano al portafoglio negli ultimi anni, anche in modo piuttosto deciso. USTA dovrà infatti saldare la rata annuale di restituzione del prestito di 700 milioni chiesto per la costruzione del centro tecnico di Orlando e il rinnovamento del Billie Jean King National Tennis Center, la struttura che ospita lo US Open. Da questo punto di vista però la fiducia dei creditori non sembra particolarmente in discussione e lo conferma la valutazione ‘A-‘ disposta dall’agenzia di rating Fitch a fine aprile, che indica ‘buone capacità di rispettare gli obblighi finanziari’ adducendo come motivazione principale l’esistenza di protezioni contrattuali in caso di worst case scenario, ovvero cancellazione dello US Open.

Difficilmente emergeranno novità prima di giugno. Come al solito, saranno i portafogli delle varie parti in causa a dettare la linea, fermo restando le disposizioni delle autorità sanitarie.

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