Quattro temi (e mezzo) da Lexington

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Quattro temi (e mezzo) da Lexington

Da Jennifer Brady a Serena Williams, passando (in parte) per Jil Teichmann: in vista dello US Open il circuito WTA è tornato a giocare sul cemento, proponendo spunti interessanti

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Jennifer Brady - Brisbane 2020 (via Twitter, @BrisbaneTennis)
 

Se consideriamo i due tornei della scorsa settimana (Praga e Lexington) in prospettiva US Open, tutto sommato l’International di Praga ci ha dato meno informazioni utili. Poteva essere interessante scoprire la condizione di Simona Halep, ma la sua rinuncia alla trasferta americana ha reso poco significativo il suo successo. A scanso di equivoci: bene per lei, che da testa di serie numero 1 ha confermato le gerarchie di partenza, ma di questa prestazione si terrà conto semmai quando (e se) si giocherà il Roland Garros. Più spunti interessanti sono invece arrivati dal torneo giocato sul cemento di Lexington.

1. Jennifer Brady
A 25 anni compiuti Jennifer Brady ha finalmente vinto il suo primo torneo WTA, battendo in finale a Lexington Jil Teichmann. Per parlare di Brady prendo le cose un po’ alla lontana. Jennifer si era messa in luce per la prima volta all’inizio del 2017 quando, da numero 118 del ranking, partendo dalle qualificazioni era riuscita ad approdare al quarto turno dell’Australian Open. Era poi stata eliminata da Mirjana Lucic (che sarebbe arrivata fino alla semifinale), ma lungo il suo cammino aveva sconfitto giocatrici come Townsend, Watson e Vesnina. Ricordo che quella Vesnina era una giocatrice in piena forma: dopo un ottimo 2016 (vittoria a Charleston, semifinale a WImbledon), nel marzo 2017 avrebbe addirittura vinto Indian Wells.

Le armi che avevano permesso a Brady l’exploit a Melbourne sono quasi le stesse che abbiamo ammirato la settimana scorsa a Lexington: un gran dritto, di potenza quasi maschile, e un servizio efficace e vario, visto che contempla un ottimo kick da alternare alle soluzioni tese. Personalmente ero rimasto piuttosto colpito dalle prestazioni in quello Slam australiano, tanto che alla vigilia di ogni stagione mi domandavo se includerla nella rosa di giocatrici che avrebbero potuto migliorare la propria classifica nei mesi successivi (per capirci: mi riferisco a questo tipo di articolo, che scrivo ormai da alcuni anni).

Nell’articolo di “previsione” sul 2018, al momento di scegliere i nomi definitivi avevo però deciso di escluderla, perché dopo quell’ottimo Major aveva faticato a ripetersi. La scarsa fiducia si era rivelata corretta; non solo quell’anno, ma anche in quelli seguenti, non erano arrivati progressi solidi. E il ranking lo testimoniava: oscillazioni a ridosso del centesimo posto, con una classifica ben lontana dal livello mostrato in quello Slam, che diventava sempre più remoto.

Del resto quando l’avevo vista giocare in altri tornei, avevo avuto l’impressione di seguire la versione “gemella scarsa” di quella ammirata a Melbourne: parecchi gratuiti di dritto, un rovescio insicuro (non è mai stato il suo punto forte, ma non poteva trasformarsi in una zavorra) e una mobilità non all’altezza. Forse il problema principale era proprio quello della mobilità; non che fosse particolarmente lenta, ma lo era in rapporto a quanto aveva in mente di fare.

Cerco di spiegarmi meglio: spesso dava l’impressione di non avere l’anticipo sufficiente per la dose di aggressività che avrebbe voluto scaricare sulla palla. Le conseguenze erano inevitabili: colpi organizzati in extremis, perdendo il controllo del movimento; e questo anche dalla parte del dritto, che avrebbe dovuto essere l’architrave del suo tennis. Va sottolineato che lo swing di dritto che utilizza non è molto consueto (QUI la spiegazione in dettaglio) e richiede tempi di preparazione ed esecuzione adeguati.

Fatto sta che passavano le stagioni e la conferma dello Slam australiano non arrivava mai. Qualcosa però è cambiato alla fine del 2019. Brady ha scelto un nuovo allenatore, Michael Geserer, nella preseason si è trasferita in Germania, si è asciugata fisicamente, e i risultati si sono immediatamente visti. Nel 2020 Jennifer ha esordito a Brisbane con il botto: dopo aver superato le qualificazioni ha sconfitto Maria Sharapova (anche se l’ultima Sharapova aveva mille problemi fisici), e poi la numero 1 del mondo Ashleigh Barty, prima di perdere nei quarti, al sesto match in pochi giorni, da Kvitova.

Dopo un paio di sorteggi sfortunati, che le sono costati eliminazioni al primo turno (Halep a Melbourne e Kuznetsova a S. Pietrburgo), Brady ha cominciato a vincere con regolarità. Partendo dalle qualificazioni ha raggiunto la semifinale a Dubai: fermata da Halep ma dopo aver eliminato giocatrici importanti come Hsieh, Vondrousova, Svitolina e Muguruza. Mentre a Doha ha superato un’altra Top 20 come Riske prima di perdere 7-6 al terzo da una ispiratissima Jabeur.

Insomma, Brady sembra davvero maturata. Il suo tennis è diventato più concreto: è più attenta nel modo di muoversi in campo, più precisa nella preparazione dei colpi. Tutto questo le ha permesso di ridurre gli errori non forzati, diventando contemporaneamente più incisiva nei suoi colpi migliori.

Dopo Doha e Dubai, non possiamo sapere cosa sarebbe accaduto nel marzo americano di Indian Wells e Miami; ma Jennifer sembrava davvero in rampa di lancio e ci si è messa la pandemia a stravolgere i suoi piani, oltre che quelli di tutto il tennis. Nel suo caso, però, sembra essere stata in grado di riallacciare i fili del discorso esattamente da dove erano stati interrotti: al primo torneo WTA ufficiale, a Lexington, ha messo in fila cinque vittorie senza perdere nemmeno un set. 6-2, 6-1 a Watson, 6-2, 6-3 a Linette, 6-1, 6-2 a Bouzkova nei quarti (e Bouzkova non è una avversaria facile). Poi in semifinale 6-2, 6-4 a Gauff, per concludere in finale con il 6-3, 6-4 a Teichmann, in un match nel quale non ha mai subito break.

In tutto il torneo ha perso solo tre turni di servizio (una volta contro Gauff, una contro Bouzkova e una contro Linette), a conferma di una superiorità in battuta degna di giocatrici di livello superiore. Ora ha l’occasione di confermarsi nei prossimi tornei americani, ben più importanti (il premier di Cincinnati/New York e lo Slam USA). Tornei nei quali sicuramente sarà messa alla prova anche sul piano mentale, perché aumentando le aspettative aumenterà anche la pressione. Nella finale di domenica contro Teichmann durante il secondo set ha lasciato intravedere un po’ di braccino: ma si trattava del suo primo titolo in carriera a livello WTA. Qualche titubanza è più che comprensibile.

a pagina 2: Jil Teichmann e Serena Williams

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