Roma chiede tanto ma io sono pronto (Cocchi). Osaka e Azarenka, donne in prima linea alla conquista di New York. Serena, la maledizione del 24: era l'ultima occasione? (Cocchi). Il ritorno di Vika spegne Serenona (Azzolini). Un passo falso e Azarenka: Serena si ferma (Clerici). Perché non sopportiamo Djokovic (Pastore)

Rassegna stampa

Roma chiede tanto ma io sono pronto (Cocchi). Osaka e Azarenka, donne in prima linea alla conquista di New York. Serena, la maledizione del 24: era l’ultima occasione? (Cocchi). Il ritorno di Vika spegne Serenona (Azzolini). Un passo falso e Azarenka: Serena si ferma (Clerici). Perché non sopportiamo Djokovic (Pastore)

La rassegna stampa del 12 settembre 2020

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Roma chiede tanto ma io sono pronto (Federica Cocchi, Sport Week)

[…] Per Fabio Fognini è il momento di tornare in campo. Questa volta però non ci sarà il pubblico romano. Quel pubblico che lo ha portato a vittorie eroiche ma gli ha anche sempre chiesto tanto. La Regione Lazio ha deciso per le porte chiuse, l’allarme Covid è ancora alto e, salvo ribaltoni dell’ultimo minuto, i match si svolgeranno in un Foro Italico deserto. NELLA TOP 10 «Roma è un torneo incredibile, speciale, ma a noi italiani chiedono sempre tanto. La pressione c’è», è solito dire Fabio. «Quello che sento più di tutti come il torneo di casa, però, è Montecarlo. perché è a una manciata di chilometri da Arma di Taggia, il paese dove sono cresciuto. Lì vengono da sempre tutti i miei cari e gli amici». E infatti l’ha vinto lo scorso anno, diventando il primo italiano a conquistare un Masters 1000. Dopo quel torneo, Fabio ha raggiunto finalmente la top 10, conquistando il numero 9 al mondo, il suo best ranking. La meritata ciliegina sulla torta di una carriera che per anni lo ha visto numero uno italiano. Ora le nuove leve, Berrettini in primis, stanno crescendo e portando in alto il nome dell’Italia, ma Fabio, attualmente numero 2 nazionale, non si cruccia più di tanto: «Il ranking non mi interessa. Guardo chi c’è davanti a me, e a parte i tre fenomeni gli altri sono tutti giocatori che ho già battuto e so di poter battere di nuovo. Anche Berrettini, che ha fatto grandi cose, è ancora giovane e ha tanti punti da difendere. Vediamo cosa ci riserverà il futuro». Intanto. è pronto a rilanciarsi. […] VITA IN FAMIGLIA Lo stop del circuito per il dilagare del virus lo ha portato a prendere una decisione importante, quella di operarsi alle caviglie che da anni gli creavano problemi. Continue infiammazioni che gli impedivano di dare il cento per cento. Durante il lockdown, trascorso nella sua Arma con Flavia, il piccolo Federico e Farah, nata pochi giorni prima di Natale, Fabio si è dedicato alla vita di famiglia. Un’esperienza nuova per lui, che da quando è ragazzino passa la vita tra un torneo e l’altro, salendo e scendendo continuamente da qualche aereo. All’inizio non è stato semplicissimo, come ci ha raccontato Flavia Pennetta nel giorno della Festa della mamma: «Vivere in casa con due bambini piccoli, tra cui una neonata con i suoi ritmi, le preoccupazioni legate all’epidemia… beh, all’inizio è stata abbastanza dura e devo ammettere che un po’ di nervosismo c’è stato. Poi tutto ha iniziato a funzionare per automatismi. Fabio è un bravissimo papà, mi aiuta. Certo, come tutti gli uomini va un po’ stimolato, ma poi le cose le fa!». IN CAMPO CON FLAVIA Il ritorno al campo, però non è stato quello sperato. Quando le limitazioni del lockdown sono cadute per gli sportivi professionisti, Fabio ha subito ripreso ad allenarsi con Flavia come sparring partner di lusso e sempre sotto la direzione di Corrado Barazzutti. Il capitano di Davis ora segue Fognini anche sul circuito. Con lui ha creato un ottimo rapporto: “Barazza” è tra i pochi che riescono a domare il cavallo pazzo che ogni tanto si impossessa di Fabio. «Corrado è un grande tecnico e un grande uomo» – ha detto il ligure – «negli anni tra di noi si è creato un bellissimo rapporto anche fuori dal campo. Mi fido moltissimo di lui. Non sono più un ragazzino che va guidato colpo su colpo, mi segue anche a distanza, ci confrontiamo sui programmi da svolgere». SOTTO I FERRI E infatti in accordo col capitano si è deciso a operarsi. Il problema alle caviglie si era ripresentato ai primissimi allenamenti sulla terra rossa. Da lì la decisione e l’annuncio via Twitter: «Soffro di un problema alla caviglia sinistra da circa tre anni e mezzo – aveva scritto Fognini -, sono riuscito a gestirlo, ma il problema è poi arrivato anche alla caviglia destra negli ultimi due anni». Motivo per cui il giocatore ha optato per l’intervento a entrambi gli arti. «Si sono ripresentati gli stessi problemi quando sono tornato ad allenarmi – ha precisato Fognini – ne ho parlato con il mio staff e alla fine ho deciso di sottopormi a un intervento in artroscopia a entrambe le caviglie. Mi faccio operare in Italia, è la cosa giusta in questo periodo di stop forzato. Non vedo l’ora di tornare a giocare, so che mi supporterete in questo percorso. Vi abbraccio». L’intervento, durato qualche ora, è stato eseguito a Ravenna da uno dei luminari della caviglia, il professor Francesco Lijoi, Io stesso scelto per un’operazione di ricostruzione da Gianmarco Tamberi. campione italiano di salto in alto infortunatosi a poche settimane dall’inizio dei Giochi di Rio 2016. «È stato impressionante vedere i frammenti ossei che mi hanno tolto dai piedi – ha detto Fabio -, ho fatto la cosa giusta e sono contento». IL RECUPERO La convalescenza in Liguria e poi in Salento, dove lo ha raggiunto anche Barazzutti per riprendere gli allenamenti in vista della stagione sul rosso. Il recupero di Fognini è stato rapido, e il tecnico non lo ha di certo risparmiato. L’azzurro ha documentato spesso e volentieri su Instagram i suoi allenamenti massacranti, con tanto di “maledizioni” al capitano, spietato anche sotto il sole salentino. «Si allena ogni giorno dalle 10 a mezzogiorno. Anche quando ci sono 40 gradi – ci ha raccontato “Barazza” -. Sembra uno indisciplinato, invece quando deve lavorare lo fa, con costanza. E i frutti si vedono perché sarà in forma in tempo per gli Internazionali». La voglia di tornare è tanta, soprattutto sulla superficie che più di tutte gli ha dato gioie. […] PRESTO IN LIBRERIA Ma il Fognini di questa ripartenza europea del tennis arriva rafforzato e sereno per i problemi fisici finalmente risolti e rinfrancato da un’estate vissuta in famiglia, come non era mai riuscito a fare. «Credo che avere vicino Flavia e i bambini, poter stare con loro durante il giorno gli faccia molto bene e gli stia dando la forza necessaria a superare la fatica – ha detto Barazzutti -. E poi, il fatto di aver finalmente risolto il problema alle caviglie, gli ha tolto un peso. Per un atleta dover convivere con gli infortuni è all’ordine del giorno, ma non è certo una situazione piacevole. Ora è soddisfatto e tranquillo». Cosi tranquillo da essere anche riuscito a scrivere la sua autobiografia, che uscirà tra qualche giorno nelle librerie. Il titolo dice già tutto: Warning. La mia vita tra le righe. Un titolo decisamente perfetto per uno come lui, genio e sregolatezza del tennis italiano, capace di far passare al tifoso medio tutto l’arco costituzionale delle emozioni, dall’esaltazione alla furia. […]

Osaka e Azarenka, donne in prima linea alla conquista di New York (Federica Cocchi, La Gazzetta dello Sport)

Sono due combattenti. Naomi Osaka e Vika Azarenka oggi si affrontano per il titolo dello Us Open portando in scena un bis, se così si può dire, della finale di “Cincinnati” dove si sarebbero dovute incrociare se non fosse stato per il ritiro di Naomi. Giappone e Bielorussia, personalità diverse e importanti punti in comune tra le due rivali. Ad esempio: entrambe sono salite sul trono femminile dopo aver conquistato due Slam in giovane età. Ma le unisce anche la voglia di lottare, Naomi per i diritti dei neri. Vika per la custodia del figlio Leo. […] E, con la serenità ritrovata nella vita privata, è tornata anche quella sul campo. E, insieme, i risultati. In semifinale, la 3lenne bielorussa ha pure dato un dispiacere all’altra mamma Serena Williams, stoppandola nella rincorsa al 24° Slam: altro punto in comune con la Osaka, che proprio a New York due anni fa sollevava il trofeo dello Us Open dopo aver battuto una Serena travolta da una crisi di nervi. Ma adesso, a Vika, non basta più essere riconosciuta soltanto per il suo ruolo in famiglia, sebbene si tratti della gioia più grande della sua vita: «Essere un genitore forse è la cosa più difficile al mondo – ha detto Azarenka dopo il successo nel primo derby tra mamme in una semifinale Slam -. Quindi, se sai fare quello, sai fare tutto nella vita. Però sono soprattutto una combattente. E se sono arrivata fin qui, è perché ho lottato, perché sono una tennista. Sulla strada per la finale devi battere le migliori giocatrici e io ce l’ho fatta. Spero che la sfida tra me e Serena sia stata un messaggio positivo per tutte le donne». Impegno Intanto, in tema di messaggi, c’è curiosità per quale nome Naomi Osaka avrà impresso sulla mascherina con cui entrerà in campo. La giapponese, che vincendo potrebbe salire al numero 3 al mondo, insieme a Coco Gauff è stata la tennista più attiva sul fronte del movimento Black Lives Matter, Dopo l’uccisione di George Floyd da parte della polizia a Minneapolis, Naomi è volata sul posto per marciare contro le violenze razziali invitando i suoi tanti fan a prendere posizione e a schierarsi per i valori più importanti. «Prima di essere un’atleta, sono una donna di colore – ha scritto la 22enne su Twitter, in inglese e in giapponese -. Per questo mi sento come se ci fossero questioni molto più importanti sul piatto che richiedono un’attenzione immediata. Molto più che guardarmi giocare a tennis». Una partecipazione molto più calda rispetto a quella di Serena Williams, mai in prima linea sull’argomento: «Io sono cresciuta guardando lei – ha detto Naomi -, è un’icona. Qualunque cosa faccia sono sicuro che la faccia a ragion veduta e io sarò sempre dalla sua parte». Ma neanche la Azarenka si distingue per l’impegno politico. In questi giorni ha preferito non trattare il delicato argomento Lukashenko, il dittatore bielorusso contro cui si sono invece schierate altre connazionali. Iryna Sabalenka ha detto di essere in ansia per la sicurezza della propria famiglia e che, arrivata negli Usa, non riusciva a dormire se sua madre non rispondeva ai suoi messaggi. […] Consapevolezza Azarenka preferisce pensare al tennis e godersi il momento, sensazione che le mancava dal 2013, anno della sua ultima finale Slam in Usa. Un appuntamento che vive con maggiore gioia e consapevolezza rispetto ad allora: «Quando si arriva dal nulla e si diventa numero 1 al mondo, e si vincono Slam, si perdono di vista tante cose – ha detto -. Pensavo d’essere invincibile, la migliore di tutti. Il mio ego era cresciuto a dismisura, poi ho capito sulla mia pelle che non ero la migliore del mondo. E sono lezioni che fanno molto male, le ferite dell’ego sono le più dolorose». Con l’esperienza è guarita: «Ho preso atto di essere una persona normale, con la differenza che gioco a tennis. Non sono invincibile e non sono migliore di altri… Tranne quando gioco a carte»

Serena, la maledizione del 24: era l’ultima occasione (Federica Cocchi, La Gazzetta dello Sport)

[…] Serena Williams non raggiungerà Margaret Court Smith neanche questa volta. Il record dell’australiana vincitrice di 24 Slam resta intatto e la ex numero 1 al mondo deve rimandare al Roland Garros di Parigi, al via il 27 settembre, i sogni di gloria. La sconfitta in semifinale contro Vika Azarenka fa male, soprattutto se si considera che Serena aveva chiuso il primo set in vantaggio 6-1. L’ultima volta che si era fatta rimontare in uno Slam, dall’altra parte della rete c’era la nostra Roberta Vinci, che le aveva fatto a pezzi ben più che un record di contabilità. In quello Us Open 2015, la Williams era a due passi dal completare il Grande Slam, ma sulla strada in semifinale ha trovato l’azzurra poi battuta dalla Pennetta in una storica finale. Non ha voluto trovare alibi la Williams, che a un certo punto ha fatto ricorso alle cure del fisioterapista per una caviglia: «Non, non era nulla di grave. Ho semplicemente fatto troppi errori. Sono contenta per Vika, ha lottato tanto e in carriera ha avuto così tanti momenti difñcili…Spero che il suo sogno continui». Verso Parigi Intanto, per chi temeva che questa sconfitta le avrebbe tolto la voglia di volare sul rosso europeo, Serena ha subito rinnovato l’appuntamento per Parigi: «Sì parto, sto bene e sarò presente a Parigi. Era solo un piccolo fastidio al tendine d’Achille» . Ma c’è chi, come Mats Wilander, non crede alla possibilità che Serena, a una manciata di giorni dai 39 anni, possa raggiungere la mitica quota 24: «Non credo sia tanto il record che le preme – ha detto Mats – quanto piuttosto vincere ancora degli Slam. Il problema è che ora lei non è più invincibile. Le avversarie sentono di poterla battere e diventano più aggressive. E anche la questione dell’età comincia ad avere un peso. Penso che non sia più abbastanza competitiva a questi livelli e non ci riuscirà». Serena riuscirà a smentirlo? 

Il ritorno di Vika spegne Serenona (Daniele Azzolini, Tuttosport)

È lo Slam delle mamme e forse lo sarà anche l’intero anno del tennis al femminile. […] Non è vero che di mamma ce n’è una sola. È vero, semmai, che di mamme tenniste ve ne sono di tutti i tipi. Navigata e debordante, il caso di Serenona. Tutta rock e dubbi invece la Azarenka. Buone maniere e gesti misurati la Pironkova. Eternamente “revenant” la Clijsters. E poi, non è vero che le mamme tenniste siano tutte belle. Arrembanti, di sicuro. E aggressive, come leonesse quando la prole è in pericolo. La mamma finalista è Viktoria Azarenka, e davvero non è la mamma sbagliata. È costata a Serena l’ennesima delusione a un passo dal 24° Slam, e una legittima domanda: arriverà mai l’apoteosi dell’aggancio alla perfida Court? Passano gli anni (e sono quasi 4 dall’ultima conquista, agli Australian Open 2017) e Serena è sempre lì, ma non più lassù. Le manca un pezzetto, un centimetro appena, che contiene da solo l’intera distanza che c’è tra la terra e la luna. Piccolo e incolmabile. Ma ineluttabile, come la sconfitta subita da Vika in un match che per un set ha rievocato il fasto della Serena imbattibile. […] «Quando arrivi dal nulla e diventi la numero uno, capita di sentirsi invincibile, ed è l’errore più grande che si possa fare. Io l’ho fatto, e mi sono ritrovata sbalzata all’indietro», ha detto sul campo la bielorussa, in una pubblica quanto emozionata confessione. Più tardi le hanno chiesto, come sia riuscita a curarsi, fino a tornare a giocare le finali dei grandi tornei, sette anni dopo il periodo più fulgido, quello delle vittorie agli Australian Open (2012 su Sharapova, 2013 su Na Li) e delle finali agli Us Open (negli stessi anni, perse entrambe contro Serena). «Ci sono riuscita a suon di sconfitte». Lo stesso ha fatto nella vita, Viktoria, contrastando a suon di processi la pretesa del marito Billy McKeague di avere l’affidamento di Leo, il figlio nato nel 2016. Alla fine, un accordo strappato con le unghie le ha permesso di tornare a una vita meno insidiosa. Leo è stata la sua prima conquista. Da lì Viktoria ha ripreso coraggio. Come nella semifinale con Serena, nella quale non ha smesso di reagire alla superiorità dell’eterna rivale. l’ha tenuta in campo, l’ha portata oltre la soglia della fatica, ha approfittato di un piccolo guaio alla caviglia («Niente di che, è stato solo un momento», ha precisato Serena) ed è diventata padrona del campo. C’è in palio il terzo Slam. Azarenka e Osaka. La stessa finale del “falso Cincinnati”, non giocata dalla giapponese per un problema alla gamba. Il meglio che possa mettere in campo, oggi, il tennis femminile. Una finale senza favorite, che segue due semifinali giocate tra forti emozioni (anche, se non di più, quella fra Osaka e Brady). Il tennis femminile in questo Slam ha offerto qualcosa in più di quello maschile. Merito anche delle mamme.

Un passo falso e l’Azarenka: Serena si ferma (Gianni Clerici, La Repubblica)

Ci sono vari modi per perdere una partita di tennis. Uno è perché si è inferiori all’avversario. Uno, meno frequente, è perché ci si deve ritirare a causa di un infortunio. Quando i due modi si mescolano, lo scrittore non sa più che cosa scrivere. Ritiene che Victoria Azarenka avrebbe comunque vinto la partita di semifinale con Serena Williams ma non è in grado di provarlo se non agli amici intimi. […] Serena era favorita dai bookmaker, che raramente si sbagliano, ma nonostante ciò ‘ si era trovata in svantaggio. Dopo un primo set nel quale era parsa possibile vincitrice, realizzando un credibilissimo 6-1, il gioco era poi cambiato, la bielorussa Azarenka aveva iniziato a sbagliare meno, la Williams di più, anche sulle palle facili che la sua avversaria le inviava sempre in minor numero. Finché nel secondo game del terzo set, con Azarenka che sembrava aver ritrovato il proprio gioco, simile alla Williams ma più regolare, è accaduto l’incidente: Serena nell’indietreggiare metteva per traverso un piede e si faceva male. Time-out, massaggio in campo, piede fasciato da un enorme cerotto ricoperto da una garza non meno piccina, e ripresa di Serena che dapprima zoppicava, poi ricominciava addirittura a saltellare sulle punte del piede fasciato. E allora cosa scrivere? Che Serena ha perso per un infortunio? Semmai, che avrebbe perso lo stesso, dato che io avevo ritrovato in Azarenka già nel secondo set un gioco più vivace e addirittura più veloce. Ma chi può dire che senza l’infortunio la Williams non si sarebbe risollevata con il binomio – servizio-diritto che ha affinato nelle precedenti partite? Io leggerò con attenzione i miei scribi prediletti per vedere cosa scrivono: e se qualcuno fosse d’accordo con me? Almeno qualcuno.

Perché non sopportiamo Djokovic (Giuseppe Pastore, Il Foglio)

Lo odiano tutti, da allora. Per la verità non stava simpatico neanche prima, perlomeno non al cospetto di Roger Federer, l’uomo che ha reso il tennis una disciplina più assimilabile al balletto che all’agonismo (e non lascerà eredi, per fortuna e purtroppo). Lui lo sapeva, e come sempre da almeno dieci anni aveva trasformato all’istante lo svantaggio in vantaggio, senza neanche doverci pensare. […] Tutto il Centrale urlava “Roger! Roger!”. e davvero non s’era mai sentita una partecipazione così compatta in una finale di Wimbledon senza britannici in campo. “Ma io”. rivelò alla fine. “quando la folla gridava Roger, sentivo Novak! Novak!”. E come si batte uno così? Col senno di poi, la risposta è facilissima: Novak Djokovic si batte da solo. Non nel modo tradizionale che attiene al gioco del tennis, tant’è che nel 2020, tutte le volte che le sue partite si sono concluse con la tradizionale stretta di mano a bordo campo, Nole ne ha vinte ventisei su ventisei. Dunque Djokovic continuerà a essere ingiocabile per i suoi colleghi ma è diventato improvvisamente giocabilissimo dai suoi demoni interiori, affiorati in superficie già nel 2017-2018 quando si era ritrovato di colpo a perdere contro Istomin, Chung, Klizan, Taro Daniel, tra problemi al gomito e presunti accidenti coniugali (sempre smentiti) che l’avrebbero anche potuto rendere umano, se non fosse che il modo di perdere di Djokovic non aveva nulla di affascinante o autodistruttivo: mollava dopo primi turni indecorosi a suon di pallate stracche in mezzo alla rete senza un grammo del fascino del perdente di successo. […] Il suo gioco ha sempre camminato su quel crinale sottilissimo che separa il superuomo da quel tizio che si incollò due ali di cera per provare a volare fino al sole. Abbandonato dalla sua testa, Djokovic valeva improvvisamente il numero 70 del mondo, e i carneadi che aveva incontrato in quei mesi si divertivano a infierire sul suo simulacro, come le vecchie vittime di Alex De Large quando lo ritrovavano, spaurito e inoffensivo, uscito dal carcere e terrorizzato da Beethoven. Ora sarebbe ridicolo parlare di “crisi” per un giocatore che vinto sul campo 26 partite su 26; ma da queste parti si fa fatica a credere al caso, e dunque non è un caso che Djokovic sia incappato proprio adesso nella gaffe più fantozziana della sua carriera scandita da migliaia di palline obbedienti alla sua volontà di farle atterrare sulle righe dei campi di tutto il mondo. Riepilogo per i distratti: le dichiarazioni infelici sul vaccino anti-Covid in diretta Instagram con l’amico immobiliarista Chervin Jafarieh che si era spinto a dire che “la pandemia è un periodo eccitante”; la sciagurata idea di patrocinare un torneo d’esibizione a Belgrado a metà giugno, con tanto di video in discoteca a torso nudo senza mascherina; l’ovvia positività al Covid-19 pochi giorni dopo; il tentativo di fronda nell’ATP insieme a Pospisil (finora l’unico a esporsi pubblicamente) e Isner per fondare un’associazione parallela che dia maggiori poteri ai giocatori; infine, un colpo di oggettiva sfortuna ai danni di una giudice di linea di mezza età, colpita involontariamente alla gola da una pallatina di frustrazione scagliata verso i teloni dopo aver subito un break dallo spagnolo Carreno Busta – e però, se sei uno dei primi tre tennisti al mondo, dovresti prevedere in anticipo le conseguenze e la traiettoria di quella pallina. Così finalmente il vaso di Pandora ha potuto scoperchiarsi e l’antipatia di/verso Djokovic è potuta tracimare senza pietà in questi bassi tempi dove la gente non aspetta altro che un passo falso per crocifiggere l’uomo in errore, meglio se con la distanza di sicurezza di un monitor o di un display. Perciò ecco il paradosso di Novak: ci fosse sugli spalti un pubblico a fischiarlo sonoramente per le sue malefatte, lui ne trarrebbe infinita forza e giovamento come quella volta sul Centrale di Wimbledon; di tutto quell’odio saprebbe benissimo cosa farsene, e naturalmente – nell’insofferenza sempre più marcata degli appassionati -continuerebbe a vincere. […] E così, costretto dai casi della vita a improvvisare un personaggio fuori copione, privo di punti di riferimento, torna fuori il Djokovic insicuro, pasticcione, goffo persino nelle celebrazioni: riguardatevi l’inguardabile spettacolino post-vittoria di Cincinnati, quando ha inscenato la sua classica esultanza – le mani che partono dal cuore e si allargano verso i quattro lati degli spalti – di fronte a spianate di seggiolini vuoti e scalini deserti. Immaginatevi il più grande degli attori recitare l’Amleto in simili condizioni: persino Laurence Olivier, in un teatro vuoto, risulterebbe ridicolo in calzamaglia con un teschio in mano. Dopo un mese di faticoso ritorno all’agonismo, non è ancora chiaro se l’assenza di pubblico stia influenzando in qualche modo il tennis, per definizione sport cerebrale e mentalmente devastante. Sicuramente sta confondendo Djokovic, che ha bisogno di rumore per essere Djokovic. Ha bisogno di ruggiti, pro o contro fa lo stesso, tanto lui li volgerà immediatamente a favore; ma il silenzio lo fa pensare all’indifferenza e al disinteresse nei suoi confronti, la cosa che teme più in assoluto. Recentemente lo hanno detto in tanti, da quel badass di Nick Kyrgios che parla e agisce come se fosse il numero 38 al mondo (e in effetti lo è)“Vuole essere Federer, ha l’ossessione malata di voler essere amato a tutti i costi” -a Todd Woodbridge: “E’ geloso dei boati del pubblico per i punti dei suoi avversari, vorrebbe boati ancora maggiori per sé. È come se non lasciasse le persone libere di amarlo, come se andasse a caccia del loro amore”. L’amore non corrisposto, o peggio ancora del tutto ignorato come pare a Djokovic in questo periodo di bonaccia, ci fa agire d’impulso, ci fa compiere inconsulti come tirare una pallata a una giudice di linea, ci fa irrimediabilmente sbagliare. Non siamo nessuno per dare suggerimenti tennistici al tennista più forte del mondo, ma qualche consiglio della nonna si. Fattene una ragione. Smettila di fare discutibili apparizioni pubbliche con un cartello al collo con su scritto: amatemi. Non sarai mai Federer, questo è vero, ma se è per questo nemmeno Federer sarà mai Djokovic. Razionalizza. Pensa che il motivo di tutto questo malanimo sta in una serie di numerini che andiamo qui a elencare, nudi e spietati, direttamente dalla maledetta e benedetta finale di Wimbledon 2019: Federer aveva vinto più game (36 a 32), aveva ottenuto più punti (218 a 204), più ace, meno doppi falli, più break, più punti a rete, una percentuale più alta di punti vinti sia sulla prima che sulla seconda, persino più punti vinti in risposta rispetto a colui che detiene la miglior risposta della storia del tennis. E aveva perso. Crògiolati nella solitudine dei numeri primi, non cercare di essere capito, stimato, apprezzato. Non cercare l’affetto a tutti i costi, torna freddo, spietato, chirurgico, lo squalo di sempre. E sarai di nuovo amato. In amore vince chi fugge.

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