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I migliori giocatori su terra nell’Era Open: uno studio

Un’analisi su oltre 200 tornei ci permette di verificare chi sono stati i più vincenti e continui nel tennis maschile sul rosso dal 1968 a oggi

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Rafael Nadal - Roland Garros 2019 (via Twitter, @rolandgarros)
 

NOTE METODOLOGICHE

Due piccole precisazioni sono necessarie prima di analizzare i dati, una riguardante i tornei scelti e una riguardante i parametri.

Per quanto riguarda gli eventi considerati, bisogna ricordare che c’è stato un breve momento storico in cui la terra stava guadagnando terreno sulle altre superfici, vale a dire nel periodo 1975-77, quando lo US Open (all’epoca a Forest Hills) si disputò per tre edizioni sull’Har-Tru, quella che in Italia si chiama terra verde e in America maroon clay. Poiché all’epoca buona parte della stagione tennistica si consumava negli Stati Uniti, e poiché molti big non andavano a Parigi a seconda del loro allineamento con la WCT o con il Grand Prix (Jimmy Connors su tutti), il torneo decise di cambiare superficie per diventare il principale evento su terra al mondo, creando un secondo swing lento nella Super Series, stavolta estivo, che comprendeva l’Open del Canada (dal 1972 al 1975, e poi di nuovo nel 1978), Indianapolis, Boston (entrambi dal 1974 al 1977) e Washington (dal 1975 al 1977) – Amburgo, invece, entrò nella Series nel 1978. A questi va poi aggiunto Forest Hills, che, abbandonato come sede Slam in favore di Flushing Meadows, entrò a far parte dei proto-1000 dal 1982 al 1985.

Tutti questi eventi sono stati considerati nell’analisi, cosa che potrebbe far sorgere una domanda: ai fini di questa classifica, i giocatori dell’epoca non sono favoriti dal maggior numero di eventi su terra? Sì, se guardiamo al primo parametro di cui si scriverà a breve, cioè il punteggio totale (soprattutto per Jimbo, visto quanto la sua protervia si alimentava con il fattore campo, fenomeno controbilanciato dal fatto che lui sul rosso europeo, negli anni del suo picco, non giocava proprio), ma è qui che entra in gioco il sistema scelto per la comparazione.

Un breve commento sui parametri, invece, particolarmente sulla media punti. Il rischio nell’analizzare questo dato come discreto, a sé stante, sarebbe di attribuire un valore eccessivo a delle vittorie del tutto occasionali – come non pensare al Carneade per eccellenza Alberto Carretero, il campione di Amburgo ’96 che chiuse la carriera con 23 vittorie e 45 sconfitte ma quella settimana prese un clamoroso abbrivio vincendo il Masters Series tedesco da qualificato. Persino due candidati al titolo di GOAT, Ken Rosewall e Rod Laver, vedono il loro valore medio gonfiato (1,5 e 1,333 rispettivamente) dalle poche partecipazioni a dei tornei sulla terra durante l’Era Open.

Roberto Carretero – Amburgo 1996

Esclusi gli outliers, questa seconda statistica si apre a due osservazioni quasi antinomiche: da un lato, una media alta permette di prendere visione di quei giocatori che, per un periodo più o meno lungo, quando sono arrivati in fondo hanno generalmente vinto; dall’altro, uno score basso a dispetto di un punteggio totale alto delinea una categoria di “terraioli di piazzamento”, che magari hanno reso ad altissimi livelli per anni ma senza vincere molto – preferireste la carriera di Ferrer o quella di Gaudio? Inoltre, come detto, la media permette anche di fare una stima di quali giocatori della metà degli anni Settanta abbiano raccolto tanti punti perché capaci di vincere tanto, e di quali invece (fuoriclasse nondimeno) abbiano visto i propri successi aumentare grazie alla proliferazione temporanea del mattone tritato.

CONCLUSIONI

Ciò detto, basta tangenti. Ci sono degli spunti che possono essere tratti dall’analisi di score totale e media punti, soprattutto da un punto di vista sincronico, perché all’interno delle stesse epoche possono essere individuati dei trend. Se i numeri di Nadal sono talmente fuori scala in termini di vittorie che ovviamente anche la sua media punti è estremamente elevata (ha vinto 37 dei 49 eventi considerati in cui ha raggiunto almeno i quarti), in altre situazioni è possibile fare delle distinzioni: guardando al top dei punteggi, si nota che due versioni simili del suo dominio, anche se su scala nettamente inferiore, sono quelle di Borg (14 vittorie su 19 eventi considerati, 15/19 con almeno un punto), e fin qui niente di strano, visto che se non avesse smesso di giocare a 26 anni forse si sarebbe avvicinato a Rafa (e il fatto che la sua media sia la più alta in assoluto in qualche modo lo dimostra, anche se non possiamo sapere quanto il suo burn-out avrebbe influito sulle sue prestazioni), e di colui che beneficiò maggiormente del ritiro dello svedese, ovvero Ivan Lendl, e qui sì che c’è una sorpresa.

Pur avendo punteggi inferiori in entrambe le categorie, Ivan il Terribile, al suo picco, dominava su tutte le superfici (erba esclusa), e colpiva per l’efficienza con cui raccattava trofei: dei 19 tornei di rilievo in cui ha raggiunto la semifinale, Lendl ne ha vinti 11, e, aggiungendo le due finali perse a Parigi, in 13 circostanze ha fatto almeno un punto ai fini di questa classifica. Se guardiamo alla sua epoca, poi, emerge un chiaro duopolio che riflette l’albo d’oro del Roland Garros fra il 1982 e il 1988, poiché anche Mats Wilander, ultima bambola di questa matrioska, ha valori elevati su entrambi i fronti – 14,5 punti e una media di 0,763.

Per quanto riguarda gli altri con un punteggio simile a quello di Borg, cioè Djokovic, Vilas e Federer, si possono notare delle medie decisamente più basse, indicative del loro ruolo storicamente subalterno all’Orso svedese (Vilas) e al Toro di Manacor (Roger e Nole). Allargando il campione sulle ere dei due dominatori, si possono vedere delle medie piuttosto basse un po’ per tutti i loro storici avversari. Guardando agli anni Settanta, e tornando alla domanda iniziale su quel decennio, si può quindi ipotizzare che il totale di Vilas sia un pochino gonfiato dal grande numero su eventi su terra dell’epoca (d’altronde la sua unica vittoria a Parigi avvenne in contumacia Borg), e lo stesso si può dire di Orantes, Connors, Panatta e Nastase, con il primo che ebbe successo sia in Europa che in Nord America, il secondo solo in patria, e gli ultimi due solo nel Vecchio Continente – non era solo la molteplicità degli eventi a favorire le vittorie, ma anche la varietà di programmazione che questa causava, visto che ciascun giocatore poteva essere presente a un evento ma assente a un altro, lasciando strada ad altri vincitori.

Per quanto riguarda il periodo contemporaneo, invece, la spiegazione risiede esclusivamente nel dominio del mancino iberico, che davvero non ha lasciato spiragli se non occasionalmente. Murray, Wawrinka, Ferrer, tutti quelli che hanno fatto bene sul rosso hanno medie basse, ma forse il caso emblematico è quello di Thiem: da tre, forse quattro stagioni the Dominator è probabilmente il N.2 sulla terra, eppure non ha mai vinto un big title sulla superficie, perdendo tre volte di fila da Rafa a Bois de Boulogne e sette in totale fra Slam e Masters 1000.

Detto del periodo immediatamente post-Borg, le conclusioni più interessanti si possono trarre dal decennio successivo, o meglio dall’interregno che va da Lendl-Wilander a Nadal, da cui due dati emergono chiaramente: in primis, una tendenza a performance più qualitative che quantitative potrebbe essere inferita, con molti giocatori (Kuerten, Ferrero, Bruguera, Muster, Courier, in misura minore Chang e Medvedev per via di totali piuttosto bassi) dal totale non altissimo ma con il contraltare di medie che vanno dal decisamente alto all’eccezionale (soprattutto Jim e Guga), fenomeno che potrebbe essere letto come emblematico dell’usura tipica del gioco specialistico degli anni Novanta e primi Duemila, nel senso che potevano esserci dei dominatori, ma di durate breve o saltuaria – le medie dei migliori fra di loro potrebbero essere paragonati a quelle di piccoli Wilander.

Guga Kuerten – Roland Garros

Secondo, la presenza di molti più specialisti, perché quasi tutti i giocatori sopracitati hanno reso con diversi gradi di continuità quasi esclusivamente sulla terra. In sintesi, l’evoluzione di alcuni aspetti del gioco (prevenzione degli infortuni, velocità delle superfici e tipologia di palline in particolare) non aveva ancora raggiunto quella delle racchette, e questo, oltre a precoci ritiri, aveva provocato un livello di iper-specializzazione vis-à-vis superfici e stili di gioco, una discrasia che si traduce nei numeri.

In generale, un’altra inferenza conferma la fine dello specialismo negli ultimi 15 anni, o forse più precisamente conferma la necessità odierna di saper rendere sul rosso per poter stare fra i migliori, per il semplice motivo che il modo di giocare fra le varie superfici non è più così vario. Tutti i pluri-vincitori Slam dell’era contemporanea o immediatamente precedente hanno punteggi superiori al 5 (Wawrinka e Murray oltre ai Big Three) con poche eccezioni: il caso del britannico è particolarmente significativo perché non nasce come giocatore da terra – la mancanza di peso sui colpi gli aveva sempre precluso grandi traguardi, ma fra il 2014 e il 2017 è stato probabilmente fra i tre più performanti, finendo (a meno di miracoli) con un totale di 7 e 0,5, quest’ultimo a indicare i non numerosissimi punteggi superiori a uno (vittorie a Madrid 2015 e Roma 2016 più una finale a Parigi 2016).

Di contro, in ere passate i dioscuri non necessariamente facevano tanti punti su tutte le superfici: basti guardare i punteggi di McEnroe (5 e 0,556, anche se il picco di Genius appartiene ad un’epoca lievemente anteriore), Becker (5,25, punteggio notevole per uno che non ha mai vinto un torneo su terra, e 0,404), Edberg (3,5 e 0,5) e Sampras (2,75 e 0,393). L’imperituro quesito è sempre lo stesso: sono più completi oggi o è più facile competere ovunque? La risposta è probabilmente a metà fra le rispettive inversioni causali.

Detto dei più vincenti, una categoria decisamente più trasversale è quella dei terraioli di piazzamento come li si era chiamati inizialmente, vale a dire quelli che si sono piazzati tanto ma mancano quasi interamente dagli albi d’oro – il rovescio della medaglia, in buona sostanza. I membri di questo club possono essere considerati i giocatori che hanno una media inferiore a 0,5 con un punteggio superiore a 3, che nel grafico sono soltanto Solomon (6 e 0,5) e Murray, mentre altri con un punteggio più basso sono: Chesnokov, Pioline, Berdych, Okker, Edberg, Clerc, Leconte, Kafelnikov (campione a Parigi nel 1996 ma sempre sconfitto nei Masters Series), Ramirez, Becker, Dibbs, e Ferrer.

Infine, una piccola analisi su un altro tipo di specialismo, quello sulla distanza, e.g. coloro che hanno un punteggio sensibilmente più alto o nei 1000 o negli Slam, dato a cui si è accennato con i totali delle prime classifiche mostrate ma che è più facilmente visibile attraverso la tabella pubblicata su Google: per la maggior parte dei giocatori, la distribuzione è in un intervallo fra il 40 e il 60 percento in un senso o nell’altro, ma tendenzialmente si traggono più punti dai 1000, visto che sono tre eventi l’anno contro uno (per esempio, la percentuale di distribuzione per Nadal è 54,9-45,1 in favore dei 1000), ma chi sono quelli marcatamente più versati nel due su tre o nel tre su cinque?

Fra quelli più sbilanciati verso i tornei brevi troviamo Djokovic, che ha un rapporto di 64,2-35,8 in favore dei 1000, Orantes (67,3-32,7), Nastase (64-36), Muster (71,1-28,9), Medvedev (69,6-30,4) e Coria (73,9-26,1); dal lato dello spettro diametralmente opposto troviamo Wilander (39,7-60,3), Bruguera (38,9-61,1), Courier (25,8,74,2), Agassi (22,6-77,4), Kodes (32,1-67,9) e Wawrinka (38,5-61,5). Ancora una volta, possiamo notare una presenza maggiore di giocatori degli anni Settanta e Novanta, ad indicare le differenze fra il gioco di allora e quello di oggi, e in termini di priorità (i primi, e infatti molti giocatori di quel periodo hanno affermato che gli Slam spesso non erano fra gli obiettivi principali) e tecnici (i secondi). Di seguito il grafico, al solito allargato e compresso dal valore abnorme di Rafa:

Questi sono i dati. Si spera che possano aver gettato un po’ di luce su come è stato il tennis su terra battuta dal 1968 a oggi, e soprattutto che l’abbiano fatto in maniera chiara, esaustiva e non troppo noiosa. Per fortuna, l’arte dei dritti anomali, dei drop shot e della traspirazione parossistica è tornata, e i numeri stanno lasciando strada, seppur in versione accorciata e meno gladiatoriale, al gioco vero e proprio. La canonizzazione e il dibattito sono soprattutto degli appassionati e degli addetti ai lavori, e ci è mancata nondimeno, ma il fatto che si possa ricominciare a parlare di record e vittorie è solo una contingenza del ritorno allo sport giocato, fatto di persone che per la maggior parte non competono per la storia ma perché questa è la loro professione/vocazione, e ad essere onesti va benissimo così, perché anche per noi spettatori il gioco va ben oltre, e possiamo solo essere felici che sia di nuovo qui.

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