Frenesia Kenin, calma Swiatek: le finaliste del Roland Garros a cuore aperto davanti ai taccuini

Interviste

Frenesia Kenin, calma Swiatek: le finaliste del Roland Garros a cuore aperto davanti ai taccuini

La polacca fin qui ha impressionato, lasciando alle rivali appena ventitré game. Ma la terra battuta è diventata la migliore amica di Sofia. Alle 15 la sfida per il titolo

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Iga Swiatek - Roland Garros 2020 (via Twitter, @rolandgarros)
 

Lo spirito di Kenin, le sue frasi smozzicate tra mille intercalari, i suoi pensieri sincopati trasmessi in conferenza stampa sono una perfetta trasposizione degli usi, costumi e consuetudini dell’americana di Mosca: la bionda campionessa di Melbourne che nel rettangolo di gioco sbuffa, si agita, frenetica quasi rischiasse un irrimediabile ritardo all’appuntamento da cui dipende il prosieguo della sua vita; impaziente ai cambi campo, quasi guidata da un insopprimibile horror vacui. Nell’intervista a margine del match di secondo turno vinto contro Ana Bogdan, Sofia aveva ammesso di accusare una certa qual tensione nervosa all’approssimarsi dei match: “Piango, mi capita spesso. Forse è un modo per sfogare la tensione, di solito passa quando inizio il riscaldamento“. Ci permettiamo di dubitare del postulato: per consumare l’angoscia residua, Kenin percorre chilometri tra un punto e l’altro, tra la postazione dell’asciugamano a quella del raccattapalle, fino alla linea di fondo e viceversa, per un paio di volte in pochi secondi.

Con atteggiamento sintomatico, la quarta testa di serie ha rimarcato ancora ieri l’altro nella conferenza post-semifinale di non aver mai pensato di avvalersi delle prestazioni di uno psicologo. “Non mi pare una buona idea, preferisco impiegare il mio tempo con un fisioterapista. Il campo propone sempre situazioni differenti, difficili, e comunque mi sento un’ottima problem solver“. Il che è sicuramente vero, specialmente quando la posta si alza ai massimi: nei tornei del Grande Slam giocati nell’annata di scarsa grazia 2020, Kenin ha un record di sedici a uno, laddove l’unico neo è rappresentato dalla severa batosta patita a New York per mano di Elise Mertens. La capacità di trasformare il terrore in solidità quando si alza il volume della radio non si può allenare, per questo la sua vicenda è interessante.

Sofia Kenin – Roland Garros 2020 (via Twitter, @rolandgarros)

Iga Swiatek a una psicologa si affida eccome; continuano a chiederglielo e lei risponde beata, come chi sa di aver messo quasi tutti i tasselli in ordine già a diciannove anni. “I miei genitori non erano d’accordo, ma mi sembrava la scelta giusta“, ha dichiarato Iga, placida, come se quella di oggi fosse una partita tra amiche al circolo sotto casa. Non sembra lei, in effetti, quella bisognosa di supporti esterni. Eppure una finale Slam è una finale Slam, e sulla carta c’è scritto che la rivale una l’ha giocata e per giunta vinta, mentre la sorpresissima di queste settimane prima della trasvolata parigina non aveva mai superato gli ottavi in un Major. “È perfettamente inutile pensare che domani giocherò una partita come tutte le altre – ha ragionato la polacca, lucidissima -, perché puoi fingere con gli altri, ma non con te stessa. In qualche parte del cervello, nascosta da mille altri pensieri generati dall’istinto di autoconservazione, la tua anima sa che è il match più importante che tu abbia mai giocato, e con quello devi scendere a patti. Sono sfavorita, lo dice il paragone tra le nostre carriere. Tutto quello che posso fare è giocare un punto alla volta, e cercare di giocarlo bene“.

Al curriculum, senza precauzioni scaramantiche, si aggrappa anche Kenin, la quale sa che lo sperimentato a questi livelli conta. “Ho già passato momenti simili in Australia. L’avvicinamento alla finale è più difficile da gestire rispetto alla finale medesima, quindi sì, da questo punto di vista penso di avere un piccolo vantaggio, ma lei sta giocando alla grande“. E sta giocando alla grande per davvero Swiatek, se è vero com’è vero che i game sinora persi dalla polacca in sei partite e dodici set disputati sono appena ventitré, roba da Rafa Nadal. Ma Sofia Kenin-Wolf, come detto, risolve problemi. Ha risolto in maniera impeccabile quelli congegnati da Petra Kvitova, che pure non aveva perso alcun set fino a giovedì pomeriggio, giocando d’astuzia e di manovra. “Sapevo di non poter fare gara con lei sul piano della potenza, allora ho provato a variare, a proporle palle diverse, attaccando quando era il caso ma anche accettando di difendermi. Sfruttando le possibilità che la terra battuta ti concede, se la conosci“.

Interessante, molto interessante, il fatto che il mattone tritato le sia infine addirittura diventato prezioso alleato, dopo una vita passata a odiarlo, cordialmente ricambiata. “Per anni non sopportavo la terra rossa, non sapevo scivolare, perdevo i miei abituali riferimenti, sentivo di non poter controllare il gioco. Poi ho provato a guardare le cose da una diversa prospettiva, e cambiando atteggiamento ho imparato ad averci a che fare, a non averne paura, persino a coglierne i vantaggi; poi ho battuto Serena a Parigi, e da quel momento ho svoltato. Adesso che sono in finale al Roland Garros posso dirlo: la amo con tutta me stessa“. La ama anche Ighina, la quale fin qui ha convinto più di tutta la concorrenza. L’incognita è la solita, quella di cui abbiamo ampiamente dissertato: la pressione. Come si gestisce, a diciannove anni, quando certe vette non si sono mai esplorate nemmeno da lontano? “Chi lo sa, per me è tutto nuovo, dovreste chiedermelo nei prossimi giorni. Di solito sotto pressione gioco meglio. Diciamo che le motivazioni non mancheranno, ma il mio risultato è già oltre ogni aspettativa, quindi potrò andare in campo serena“.

Iga Swiatek – Roland Garros 2020 (via Twitter, @rolandgarros)

Risultatone, sì, e gran tennis. Quello che ci si aspettava in tempi abbastanza brevi da una predestinata. Destinata ad alzare molte coppe nella vita, perché così pare, anche se Swiatek ha più volte sottolineato di essersi imposta una condotta rigidissima: “Adesso che ho finito le scuole superiori è tempo di riflettere sul futuro. Competere a questi livelli e studiare in modo serio non è possibile, non sono cose compatibili. Se riuscirò a raggiungere grandi traguardi, a vincere Slam, a giocare finali importanti, bene, mi vedrete ancora per molti anni, altrimenti farò l’università“. Una linearità inusuale, persino spaventosa, sicuramente ammirevole, se guardiamo alla maggioranza dei teenager che ci stanno attorno, ma anche guardando a noi stessi nello specchietto retrovisore.

Kenin forse ieri notte ha dormito poco, ma il suo sonno non dev’essere stato disturbato da paure di qualsivoglia natura. “Dovessi scegliere un aggettivo che mi rappresenti al meglio? Esuberante. Assolutamente esuberante. Voglio andare lì fuori e lottare come una matta su ogni singolo punto, lasciare ogni stilla di energia sul campo, poi vedremo come andrà. Se vincerò, sarà una bella giornata“. Vista l’importanza del momento, sembra giusto perdonarle lo spericolato eufemismo.

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