Nuove accuse a Boris Becker: avrebbe occultato il trofeo del suo primo Wimbledon

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Nuove accuse a Boris Becker: avrebbe occultato il trofeo del suo primo Wimbledon

Il campione tedesco si è dichiarato non colpevole di fronte ai 28 capi d’imputazione formalizzati ieri in un tribunale di Londra

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Boris Becker - Wimbledon 1985
 

Boris Becker si è recato presso la crown court di Southwark, a Londra, per rispondere di 28 accuse relative al processo per bancarotta conclusosi nel 2017. Il mese scorso, i capi d’imputazione erano 19, ma ulteriori indagini hanno concluso che il sei volte campione Slam avrebbe nascosto diversi beni, sia pecuniari che materiali, per evitare che venissero venduti per ripianare i suoi ingenti debiti. Il processo è fissato per il 13 settembre del 2021.

Nuovi capi d’imputazione sono infatti emersi in merito ad altre proprietà che avrebbe nascosto durante le indagini del curatore fallimentare: in particolare, il tedesco non avrebbe incluso nell’elenco dei propri possedimenti due dei tre trofei vinti a Wimbledon, quello del 1989 e soprattutto quello del 1985, quando divenne il più giovane vincitore Slam maschile (è stato poi superato da Michael Chang, ma detiene ancora il record per quanto concerne i Championships).

Oltre a questi, sarebbero stati fatti sparire i due Australian Open (1991 e 1996), due President’s Cup (1985 e 1989), la medaglia per la vittoria in Coppa Davis 1988, la Coppa Davis dell’anno successivo, e la medaglia d’oro olimpica di doppio di Barcellona 1992. Inoltre, Boris avrebbe trasferito delle somme di denaro sui conti delle sue ex-mogli, Barbara, da cui ha divorziato nel 2001 (44.372 euro) e Sharlely, con cui la separazione è occorsa nel 2018 (105.000 euro).

Becker, oggi opinionista per Eurosport e responsabile tecnico della federazione tennis del suo Paese, doveva già difendersi, era già sotto processo perché, come riportato il mese scorso, non avrebbe dichiarato un conto in banca contenente 1,6 milioni di dollari, avrebbe occultato un debito di oltre 800.000 dollari, più di 75.000 azioni della società di intelligenza artificiale Breaking Data Corp, e tre proprietà, due in Germania e uno nel quartiere altolocato di Chelsea, sempre a Londra.

Come ha elencato il Guardian, questo si era tradotto in:

– sette capi d’imputazione per aver occultato delle proprietà;
– quattro per aver nascosto dei conti bancari con JP Morgan Belgium e Julius Baer Guernsey;
– due per aver rimosso delle proprietà richieste dal ricevente;
– cinque per aver omesso dei dettagli relativi ai suoi possedimenti;
– uno per aver nascosto del debito.

Il nuovo processo è una costola di una prima condanna per bancarotta. Nel 2017, infatti, una corte inglese l’aveva dichiarato sul lastrico in virtù di un’insolvenza mai risolta con l’istituto bancario londinese Arbuthnot Latham, estinto lo scorso anno con l’aiuto dell’avvocato spagnolo Francisco Guillem dopo che inizialmente il teutonico aveva provato (senza successo e senza basi legali) ad invocare l’immunità diplomatica in quanto “Ambasciatore per lo Sport e la Cultura della Repubblica Centroafricana”.

I guai finanziari del cinquantaduenne non sono certo una novità, e anzi si sono protratti nel tempo e nello spazio: nell’estate del 2017, uno dei suoi manager, Hans-Dieter Cleven, l’aveva portato in tribunale in Svizzera chiedendo la cifra astronomica di 36,5 milioni di euro; il fisco tedesco, già nel 2002, l’aveva obbligato a vendere una villa nel quartiere Bogenhausen di Monaco di Baviera a causa di un ritardo nel ripianare i propri debiti con il Paese natio; in Spagna, invece, alcuni conti per i lavori svolti nella villa di Maiorca, poi venduta per pagare Arbuthnot, non erano mai stati saldati.

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