Nadal: "I tic sono un modo di mettere ordine. Non butto la racchetta perché sbaglio io"

Interviste

Nadal: “I tic sono un modo di mettere ordine. Non butto la racchetta perché sbaglio io”

Aldo Cazzullo intervista Rafael Nadal per il Corriere della Sera. Paura di perdere in campo? “Mai, ma penso di poter perdere con qualsiasi avversario e questo mi aiuta. Non è vero che non vado d’accordo con Kyrgios. Coltivare inimicizie mi stanca”

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Rafa Nadal - Finali Coppa Davis 2019 (photo by Manuel Queimadelos / Kosmos Tennis)
 

Il 13 volte campione del Roland Garros (13 trionfi su 13 finali disputate sulla terra parigina), è stato intervistato da Aldo Cazzullo per il Corriere della Sera. Poche settimane dopo una delle imprese più grandi dello sport in generale – Rafa ha anche eguagliato Federer a 20 Slam – il campionissimo spagnolo si appresta ora a disputare l’ultimo Masters 1000 di questo anno funestato dal coronavirus. Con Cazzullo, a cui ha fatto fare un giro in macchina nella sua Manacor, Rafa ha parlato dell’annata segnata dalla pandemia, ma anche del suo passato, di come sia riuscito a diventare il grande campione che è oggi, degli insegnamenti dello zio Toni e del suo rapporto con Roger Federer.

Come si vincono 13 Roland Garros? Non lo so neppure io. Se è successo a me, può succedere a un altro. Io sono una persona normale. Con le mie incertezze, le mie paure. Ma paura di perdere, mai. Però penso sempre di poter perdere. Lo penso tutti i giorni, contro qualsiasi avversario. E questo mi aiuta moltissimo”.

L’intervistatore gl chiede se ha paura del COVID-19. «Non per me. Sono ancora abbastanza giovane, il fisico ancora risponde. Però, se mi infetto, posso infettare persone a rischio. Sono preoccupato per i miei genitori, per la mia famiglia. È il momento più duro nella nostra vita, dobbiamo lottare per cose molto più importanti di una partita di tennis”.

Il segreto per resistere, dice, è “avere sempre un obiettivo nella vita. Una speranza. Un’illusione, se necessario“. E la pandemia si affronta “con rispetto […], responsabilità e logica. Si muore per il virus; ma si può morire anche di fame. […] Bisogna trovare l’equilibrio tra la salute e il lavoro, tra la protezione sanitaria e quella sociale. La sicurezza è fondamentale; ma lo sono anche la libertà e la dignità“.

Rafa, a differenza di altri suoi colleghi, non si è rifugiato nei paradisi fiscali e paga le tasse in Spagna. È orgoglioso di essere spagnolo?Io sono spagnolo. E sono felice di esserlo. Certo, quando arriva il conto del fisco sono un po’ meno felice!“. Rafa è anche molto legato alla sua isola, Maiorca, e al suo paese, Manacor. “Mi sento profondamente manacorì, maiorchino, spagnolo ed europeo. E mi sento quattro volte fortunato“. A quel punto, Cazzullo racconta di trovarsi a Maiorca per la prima volta e Rafa si offre di condurlo in un giro panoramico, che svela la guida nervosa di Nadal – prende i dossi un po’ troppo forte, e per questo si scusa, ma si fa perdonare svelando i segreti dell’amata terra. Del resto, per aiutare i suoi conterranei dopo l’alluvione del 2018, si era messo a spalare il fango e aveva aperto la sua Accademia agli sfollati. “Ho fatto quello che hanno fatto tutti, e che avrebbe fatto chiunque“.

Rafael Nadal tra i soccorritori dopo l’alluvione che ha colpito Mallorca (foto da Twitter)

IL RAPPORTO CON GLI AVVERSARI E LA FAMIGLIA – “Roger Federer è uno dei più grandi uomini nella storia dello sport” ripete per l’ennesima volta. “È stato il mio grande rivale e questo ha giovato a entrambi, e un poco pure al tennis. Abbiamo diviso un tratto di vita. In alcune cose ci assomigliamo: teniamo alla tranquillità, alla famiglia. In altre siamo diversi. Lui è svizzero. Io sono latino. Abbiamo caratteri, culture, modi di vita differenti“. Dopo aver svelato di non essersi mai offeso per le imitazioni di Djokovic (‘Ma no! Io non mi offendo mai‘, assicura), giura di non essere superstizioso. “Non sono neanche schiavo della routine: la mia vita cambia di continuo, sempre in giro; e gareggiare è molto diverso dall’allenarsi. Quelli che lei chiama tic sono un modo di mettere ordine nella mia testa, per me che normalmente sono disordinatissimo. Sono la maniera per concentrarmi e zittire le voci di dentro. Per non ascoltare né la voce che mi dice che perderò, né quella, ancora più pericolosa, che mi dice che vincerò”.

Non mi sono mai permesso di intimidire un avversario“, è uno dei dogmi del Nadal-pensiero. “Dicono che non vado d’accordo con Kyrgios, ma non è vero. Una volta gli dissi quel che avevo da dirgli, e finì lì. La verità è che coltivare inimicizie mi stanca“. Però non applaude mai un avversario per un bel colpo. “Qualche volta lo faccio. Di rado. Ma non siamo lì per applaudirci. Quello spetta al pubblico”, che ora non c’è. “Mancano i colori, le grida, la passione, è triste”. Così come è stato triste il lockdown. “Soprattutto all’inizio è stato difficile: tutto quel tempo chiuso in casa, senza niente da fare, io che sono abituato a muovermi di continuo… almeno mia moglie Marìa Francisca aveva il suo lavoro di ufficio. È direttrice della nostra Fondazione“. Oltre che, parole sue, ‘il suo punto di stabilità’. Come i genitori, che in passato hanno avuto problemi coniugali influenzando il suo rendimento nel 2009. “Quell’anno si separarono, sia pure solo per un periodo. Io ne ho sofferto moltissimo; perché senza la mia famiglia non avrei fatto nulla“.

ANCORA TENNIS – “A diciannove anni, avevo appena vinto il primo Roland Garros, mi dissero che non avrei più potuto giocare, per una malformazione al piede sinistro“, svela Rafa. “Il dolore era tale che mi allenavo a colpire la pallina seduto su una sedia in mezzo al campo. Poi sono guarito, grazie a una soletta che cambiava la posizione del piede, ma mi infiammava le ginocchia…“. Poi un flashback della finale di Wimbledon 2007, persa con Federer, dopo la quale pianse negli spogliatoi. “Disperatamente. Per un’ora e mezza. Perché a volte la disillusione è terribile; anche se è solo un incontro di tennis. Ho pianto di dolore quando, nella finale degli Australian Open con Wawrinka nel 2014, mi sono infortunato alla schiena dopo aver vinto il primo set. Ho perso, ma ho portato a termine l’incontro; perché non ci si ritira da una finale Slam“.

Rafael Nadal – US Open 2019 (via Twitter, @usopen)

DEL TALENTO… E DI DIO –Ognuno di noi ha il suo talento“, illustra Rafa. “A qualcuno viene tutto facile; altri sanno resistere più a lungo sul campo. Lei può avere il talento di scrivere un buon articolo in mezz’ora; ma se un suo collega sa lavorare per sei ore di fila e tirar fuori un articolo ottimo, sarà un giornalista più talentuoso di lei“. Del ritiro, dice ‘quando sarà il momento, lo saprò’. Niente di nuovo, insomma. E una volta lasciato il tennis si dedicherà ‘alla nostra Fondazione che aiuta i piccoli che rischiano l’esclusione sociale“.

La chiusura è quasi mistica, e contiene una frase da incidere su pietra. L’intervistatore gli chiede se crede in Dio – “Non lo so, e non me lo chiedo. Per me l’importante è comportarsi bene, aiutare chi ne ha bisogno. Credo nelle brave persone. Se poi Dio esiste, sarà meraviglioso. L’aldilà? Non lo immagino” e poi perché non getta mai la racchetta. “Perché da piccolo mi hanno insegnato che non si fa. Sono io che sbaglio; non la racchetta“. Chapeau.

Ha contribuito Giorgio Di Maio

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