Dopo la “sbornia” Sinner, la O2 Arena vuota deprime Tsitsipas. E pure Rublev

Editoriali del Direttore

Dopo la “sbornia” Sinner, la O2 Arena vuota deprime Tsitsipas. E pure Rublev

London ATP Finals – Pistolesi e Nargiso, confronto impari con Jannik. Il greco “Master 2019” se la prende con l’atmosfera che non c’è. Thiem: vendetta servita. Nadal fresco come una rosa non cede un set al russo già domo. Federer non è Trump

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ATP Finals 2020 (via Twitter, @atptour)
 

Stiamo tutti ancora smaltendo la sbornia Sinner, gira ancora un po’ la testa, quando cominciano le finali ATP all’O2 Arena che senza pubblico trasmettono una tristezza infinita per un addio a Londra che più moscio non poteva essere. I giocatori, e che giocatori!, per fortuna ci sono, i raccattapalle mascherati anche, un arbitro a partita anche, i cameramen guai se mancassero (addio milioni di diritti tv!), ma viene la nostalgia perfino dei giudici di linea e dei loro errori umani, tanto che Boschetto e Golarsa nel commentare Thiem-Tsitsipas si ribellano inconsciamente alle righe elettroniche e a quelle voci cacofoniche emesse da un computer spettrale invocando ripetutamente, ma invano, le chiamate al Falco che non potranno esserci.

L’effetto Sinner ci ha davvero travolto. Hai voglia carissimo Riccardo Piatti, e Jannik stesso, di invocare pazienza, di predicare umiltà, di raccomandare al colto e all’inclita perle di saggezza e buonsenso secondo cui, come rievoca Angelo Carotenuto nella sua brillante e quotidiana newsletter su “Loslalom.it” parafrasando coach Piatti ammonisce “la necessità di perdere a 19 anni è la miglior strada per aumentare la capacità di vincere”.

Vanni Gibertini ha preparato un articolo sulla “Nascita della Sinner-mania, tutti pazzi per Jannik” (che pubblicheremo nei prossimi giorni) prendendo un po’ le distanze dagli eccessivi entusiasmi dei nostri media in blocco suscitati in fondo in fondo (ma non solo…) dalla vittoria del giovanotto della Val Pusteria in un torneo minore, un ATP 250 cui non prendeva parte nessun top-ten.

A colpire l’immaginario collettivo hanno certo contribuito più fattori, in primis l’escalation straordinaria di un ragazzo che due anni fa non era fra i primi 800 tennisti del mondo, nonché la sua indiscutibile precocità che lo mette sulla falsariga dei leggendari Fab Four. Poi ci sono anche i particolari “romantici” del ragazzo che lascia la montagna e i genitori, ben ricostruiti da Alessandro Stella nel suo bell’articolo. Forse i media sono corsi un po’ dietro a quello che la gente, angosciata da ben altri problemi in quest’Italia in piena emergenza, voleva sentirsi dire, voleva leggere per aprire il cuore a un futuro più roseo (e magari anche azzurro) piuttosto che rosso o anche arancione.

Prima di chiudere quest’argomento che ci terrà compagnia almeno fino al prossimo Open d’Australia, ho pensato sorridendo a che cosa – nell’apprendere dell’esplosione della Sinner-mania – deve essere frullato per la testa a quel “romano de Roma” certo ricco di sense of humour di Claudio Pistolesi, fino a ieri il più precoce tennista italiano a vincere un torneo ATP, a Bari nel 1987 a 19 anni e 7 mesi. Quella vittoria non se la filò nessuno. Tutt’al più sarà uscita sulla Gazzetta del Mezzogiorno, e altrove in qualche “notizia in breve”. Le ingiustizie della vita, avrà di sicuro pensato “Pistola”, con una scrollatina di spalle.

Io che lo vidi giocare, però, posso garantirvi che con quel suo gioco da pallettaro –e lo dico con il massimo rispetto, perché ricordo perfino una sua vittoria su un Wilander dismesso – nessuno lo avrebbe mai pronosticato né n.1 del mondo, né top-ten o top-30. Difatti si è fermato a un best ranking di 71, raggiunto la settimana prima di compiere 20 anni (il 17 agosto 1987). Anche Diego Nargiso, a proposito di presunte promesse e classe 1970, a 18 anni si è issato al suo best ranking, n.67, senza poi riuscire a salire più su. Lui, napoletano verace, per la verità sembrava avere qualche arma tecnica in più rispetto al regolarista romano dalla mano quadra, il servizio mancino, il gioco a rete, qualche tocco al volo non disprezzabile – a Roma battè Emilio Sanchez, a Key Biscayne contro Courier “fece un primo set da fenomeno vinto al tiebreak e gli altri due da Nargiso… (6-2 6-0)” come scrisse Rino Tommasi. La testa di Diego non era davvero quella di Jannik.

Jannik Sinner – Sofia 2020 (foto Ivan Mrankov)

C’ero stato là per tutti gli ultimi 11 anni alla O2 Arena, e a giro per il mondo avevo visto dal vero 41 – fra Masters (1970-1989) e ATP Finals – di 49 edizioni della rassegna di fine anno. Mancare l’ultima, con il solito percorso a piedi che facevo per raggiungere la stazione underground di Canary Wharf attraverso il ponticino pedonale che varca il canale e l’Obika bar (con i suoi sandwich niente male) per trovarmi dopo una sola fermata a North Greenwich mi manca moltissimo, anche se non come Wimbledon e il Roland Garros… che gli Slam e i tornei all’aperto (senza la condanna della sessione serale!) sono tutta un’altra cosa. Ma anche alla 02 Arena, con tutto quel percorso dalla stazione metro al teatro in mezzo con tanta, tantissima gente, e non solo i 17 mila sugli spalti, ma anche tutti quei giovani a spasso fra pub, ristoranti, discoteche e negozi di ogni tipo, contribuivano a creare un’atmosfera che – come troppe cose quest’anno – se ne è andata e, almeno per il tennis, non tornerà più.

Spero proprio di ritrovarla a Torino quell’atmosfera, magari già dal 2021, anche se l’epidemiologa romana Stefania Salmaso che ho ascoltato l’altra sera su “La 7” dalla Gruber mi ha dato la bruttissima notizia che anche se spuntassero fuori quattro, cinque, sei vaccini efficaci, finché tutto il mondo, ma proprio tutto (Africa e Asia comprese) non sarà negativizzato (e non vedo proprio come sarà possibile arrivarci, anche se sparissero d’incanto i negazionisti) per tre anni lei non prevede la possibilità di liberarsi di queste insopportabili (ma necessarie) mascherine. Se ha ragione non vorrà dire soltanto perdersi miliardi di sorrisi, ma un susseguirsi di rischi di nuovi contagi. E non se ne può più.

Chiedo scusa per le divagazioni. Di certo l’atmosfera della 02 Arena 2019 non l’ha sentita il “Maestro” in carica Tsitsipas che un anno fa, sebbene all’esordio alle ATP Finals, in finale con Thiem aveva vinto al tiebreak del terzo set. Stefanos ha imputato la sua sconfitta con Thiem anche – sia pur non solo – all’assenza del pubblico, di un calore che non c’era. Questo appena vissuto rischia di essere l’unico duello fra due tennisti dal rovescio a una mano, se non si ripeterà in una nuova finale. Tutti gli altri sei lo giocano bimane (ogni volta che lo scrivo penso che il neologismo appartiene allo scriba Clerici) e mi piacciono meno, anche se ormai ci ho fatto l’abitudine.

Chissà, magari quella di Tsitsipas – il cognome di tennista che si presta ai refusi come nessun altro, a parte l’accento che alcuni fanno cadere sulla seconda i e altri sulla a e almeno i telecronisti dello stesso match si dovrebbero mettere d’accordo… – sarà stata anche una scusa, un alibi per giustificare la sconfitta nella rivincita con Thiem, però secondo me un pochino ci sta. Perché il greco, un po’ Superbone (qualcuno fra gli over 50 ricorda il fumetto?) e un po’ istrione con la tendenza a filosofeggiare da uomo vissuto, secondo me è tipo più di altri incline a esaltarsi se gli riesce un colpo da maestro, se può far uscire un coniglio dal cilindro. Mi dà l’aria di essere un po’… narciso, di uno che ha bisogno di consenso, di entusiasmo attorno a sé, e meglio se ad applaudirlo c’è una folla adorante.

Ho conosciuto tanti giocatori così: di quelli che sul centrale a spalti gremiti giocavano da fenomeni, mentre sul campo 17 davanti a quattro spettatori non beccavano palla. Non dico che Tsitsipas abbia avuto una annata inferiore rispetto al 2019 per via del Covid e dell’assenza di pubblico alle sue partite – non ne ha vinta più una dai quarti del Roland Garros – però non mi sento di escluderlo del tutto. Vero anche che è sempre più difficile confermarsi che emergere, soprattutto se non si ha troppa pazienza e umiltà.

Stefanos Tsitsipas – ATP Finals 2020 (via Twitter, @atptour)

La cronaca del duello fra rovesci monomani Ubitennis l’ha già pubblicata e la condivido, quindi ve la risparmio. E spero non me ne vogliate ma anche la partita fra Nadal e Rublev, un giocatore che è freschissimo per aver giocato poco e un altro che è stanco per aver giocato troppo, non mi ha fatto impazzire, tranne che per qualche recupero pazzesco di Nadal con il rovescio da posizioni impossibili per chiunque altro. Rublev, che mi dà sempre l’aria – anche per quel suo rispondere alle domande sempre con il testone riccioluto e gli occhi bassi – d’essere un timidone, un ragazzo ipersensibile, ha forse accusato anche la tensione di ritrovarsi per la seconda volta al cospetto del suo idolo Nadal insieme all’élite del tennis mondiale. La prima volta risaliva a tre anni fa, Rublev non era competitivo allora, non conta. Stavolta più di qualcuno pensava che Andrey potesse mettere in difficoltà un Nadal che l’unico torneo sul cemento indoor l’ha vinto 15 anni fa, contro Ljubicic a Madrid 2005 (il coach di Federer e il neomanager di Berrettini con LJSportGroup).

Ma Rublev ha perso presto il servizio nel primo set, prestissimo nel secondo, e Rafa si è limitato a controllare la situazione. Vincendo in due set, mentre Thiem – suo prossimo avversario domani martedì – aveva vinto in tre, Rafa ha messo da parte un piccolo bottino che tante volte in questa competizione con i round robin si è rivelato importante. Rafa è sembrato in forma, ma il suo avversario no. Ho chiesto a Rublev se non ritenesse d’aver giocato troppo e mi ha risposto che sì, a Parigi era stanco, ma qui non riteneva d’esserlo: “D’altra parte per cercare di qualificarmi ho dovuto iscrivermi al maggior numero possibile di tornei…”. Ne ha vinti cinque, più di tutti. Difficilmente vincerà questo.

Nadal invece questa volta ha più chances di altre. Mai era arrivato così fresco a Londra in quelle nove volte in cui aveva partecipato. E altre sei non era neppure riuscito a venire. Alle semifinali secondo me arriverà. Un bel tassello per la qualificazione l’ha già messo. E mi è piaciuta anche una sua dichiarazione in risposta a una domanda di Cindy Shmerler del New York Times che gli ha chiesto se non ritenesse che anche per gli Slam sarebbe venuto il tempo di giocare sulla distanza dei due set su tre, come accade ormai per tutti i Masters 1000 e anche per le finali ATP: No, credo che si dovrebbe continuare a giocarli tre set su cinque, negli Slam si gioca un giorno sì e uno no. Nei Masters 1000 si passò ai due su tre anche nelle finali soltanto nel 2007… dopo che per due anni di fila io giocai di domenica due finali a Roma intorno alle cinque ore contro Coria e contro Federer e c’era Amburgo che cominciava il lunedì”.

E anche l’Open del Canada e Cincinnati avevano lo stesso problema del back to back. Oggi si giocano altre due rivincite di finali: quella di Roma fra Djokovic e Schwartzman e quella di Bercy fra Medvedev e Zverev. Per la prima… non ci sarà vera rivincita, vincerà per la sesta volta il serbo che mira a eguagliare i sei trionfi di “Maestro” Federer anche se non ha più vinto a Londra dal 2015. Interpellato su tale evenienza Federer avrebbe dichiarato che non si comporterà come Trump, ma accetterà sia il pareggio che la presente leadership di Novak. Per la seconda semifinale si potrebbe rovesciare il risultato di Bercy anche perché la superficie mi è sembrata molto veloce e più adatta al tennis di Zverev, “Maestro” a Londra due anni fa. Anche i bookmakers parevano incerti alla vigilia del torneo: qualcuno aveva considerato Medvedev terzo favorito delle Finals dopo Djokovic e Nadal, qualcuno invece Zverev. Stasera qualcuno dovrà aggiornare quelle quote.

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