ATP Finals: a battere un furioso Djokovic prima di Medvedev è stata l’ATP

Editoriali del Direttore

ATP Finals: a battere un furioso Djokovic prima di Medvedev è stata l’ATP

L’ATP board ha frustrato l’ambizione del n.1 del mondo che, ‘eletto’ dai tennisti, si sarebbe ricandidato per il Players Council. Ha coniato una regoletta che glielo impedisce. I retroscena che hanno reso ‘Robin Hood’ Djokovic irriconoscibile (28 errori gratuiti in 80 minuti) davanti al russo che non sbaglia mai

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Novak Djokovic - ATP Finals 2019 (foto Roberto Zanettin)
 

Non aveva davvero gli occhi di tigre Novak Djokovic sul campo. Probabilmente li aveva invece mostrati, ruggendo, ai suoi colleghi del board dell’ATP che avevano bocciato la sua candidatura alle prossime elezioni del Players Council. Una candidatura per la quale Djokovic e Pospisil avevano ricevuto una regolare nomination da parte dei tennisti. Ma l’ATP ha approvato martedì sera una nuova regola secondo cui chi è membro dell’ATP non può essere anche membro di un’altra associazione. L’ATP la capisco. Ma capisco anche Djokovic.

Ovvio che Novak fosse furioso, schiumasse rabbia, avesse la testa da qualche altra parte appena Medvedev, che ha giocato alla grande, servendo bene e recuperando tutto il recuperabile, lo ha messo alla frusta. Ma certo sul campo Novak è sembrato davvero poco concentrato dal 3-2 del primo set in poi, quando ha perso sette game di fila in un balletto. Quasi mai visto lui così impaziente. 28 errori gratuiti (contro i 12 di Medvedev) non sono numeri da Djokovic che sembrava volesse fare qualunque cosa pur di sottrarsi agli scambi prolungati da fondocampo per affidarsi una volta – anzi sciaguratamente più volte! – a drop-shot che non gli riuscivano proprio, ad attacchi abbastanza scriteriati, improvvisati. E nella diagonale rovescio contro rovescio aveva quasi sempre la peggio.

Ok Medvedev serviva bene, molto bene, ma una sola palla break conquistata in tutto il match e un’altra statistica che rivela come lui su due servizi di Medvedev -lui che è considerato il miglior ribattitore del mondo – non sia riuscito a rispondere che soltanto una volta ogni due (il 50%)… la dice lunga sulla condizione psicologica di Novak. Non era molto diverso da quello battuto da Sonego a Vienna, ma lì Nole aveva fatto capire che le possibili ragioni di una prova certamente sotto tono erano probabilmente collegate al raggiungimento dell’obiettivo che lo aveva spinto a andare a Vienna: la conquista (a quel punto già avvenuta) per la sesta volta della leadership ATP di fine anno.

Ma contro Medvedev Novak ha certamente patito le conseguenze della fortissima delusione patita (e incazzatura) con l’approvazione della regola che di fatto bocciava ogni sua ambizione di ritornare ad avere un ruolo importante in seno all’ATP e in rappresentanza dei giocatori.

Si può pensarla in più modi sulla regola appena sancita, approvata in fretta e furia giusto per impedire a Djokovic e Pospisil, leader della PTPA e dei dissidenti, di essere eventualmente eletti. E approvata dal board dell’ATP del quale notoriamente fanno parte, su sette elementi incluso il presidente Andrea Gaudenzi, anche tre rappresentanti degli organizzatori dei tornei – il sudafricano Gavin Forbes vicepresidente di IMG (l’impero creato dal fu Mark McCormack), l’americano Charles Smith (promoter del torneo di Shanghai), l’austriaco Herwig Straka -, oltre ai tre rappresentanti dei tennisti: l’americano David Edgdes (boardmember di Tennis Channel), il doppista inglese Dominic Inglot (34 anni, 1m e 98, n.60 in doppio), l’ex doppista delle Bahamas Mark Knowles (39 anni, ex n.1 ATP di specialità, ritiratosi a fine 2016).

Perché si afferri come è la struttura dell’ATP al di sotto del board si deve sapere che ci sono due consigli: c’è un Consiglio dei giocatori e un Consiglio dei tornei, il Players Council e il Tournament Council. Nel Players Council ci sono ovviamente solo giocatori, in rappresentanza di diverse fasce di classifica, fra 1 e 50, fra 50 e 100, sia per il singolo sia per il doppio. Più un coach e un ex tennista. Sono 12 in tutto. Fino ad agosto erano Anderson (che ha poi preso il posto di Djokovic come presidente del Players Council), Isner (dimessosi), Nadal e Querrey. A rappresentare i giocatori compresi fra il 50 e il 100 Yen-Hsun Lu (37 anni di Taiwan) e Pospisil (dimessosi), fra l’1 e il 100 in doppio Melzer e Soares, poi Djokovic presidente e Federer (per il nome…), l’ex tennista Colin Dowdeswell, l’ex coach di Jim Courier Brad Stine.

Djokovic era presidente del Players Council ma nell’agosto scorso si era dimesso, quando aveva deciso di fondare la PTPA cioè un’associazione che a differenza dell’ATP, avesse per membri solo e soltanto tennisti. Ora che a “bocciare” le candidature di Djokovic e Pospisil siano stati anche gli organizzatori che fanno parte dell’ATP board– se davvero è stato così – a me sembra un comportamento che potrebbe paradossalmente rafforzare il movimento dei giocatori dissidenti, quelli che vorrebbero avere una loro propria associazione.

Il braccio di ferro con il no a Djokovic e Pospisil potrebbe avere l’effetto di accentuare il malcontento di tutti quei tennisti (molti fra quelli meno forti e tutelati) che mal sopportano l’idea di contare di fatto poco di fronte agli organizzatori in seno all’ATP (che sono certamente tipi piuttosto smart quando si tratta di proteggere i loro interessi). Non sono pochi, a quanto mi risulta, i tennisti insofferenti di dover subire volontà ed interessi dei direttori dei tornei che in ATP hanno ugual voce in capitolo e sono quelli che alla fine hanno di fatto un’incidenza notevole sui portafogli dei tennisti.

Sono gli organizzatori (e i managers di IMG) quelli che hanno i soldi, che fissano montepremi, tipo di ospitalità e vari privilegi per i tennisti più forti e famosi e che farebbero magari volentieri a meno dei comprimari che non vendono biglietti e sono alla fine soprattutto un carico di spese per chi organizza. I tennisti sono spesso persuasi che gli organizzatori siano poco trasparenti sui guadagni che incassano. Quale dimostrazione più lampante del no a Djokovic e Pospisil per un’elezione richiesta da molti tennisti per argomentare la presenza di una vera invasione di campo e il potere eccessivo degli organizzatori che intervengono perfino per decidere una elezione che riguarda i giocatori?

Sono stato nominato dai giocatori ed è così che funziona! – ha detto Djokovic subito dopo la sconfitta patita con Medvedev – non ho cercato di ‘correre’ per entrare nel Council, ma un folto gruppo di tennisti ha ‘nominato’ me e Vasek. Per me è stato un gran segnale e mi sento responsabile e onorato di rappresentarli”. Della regola approvata di fresco Djokovic ha detto di non sapere nulla fino a ieri. E poi ha ripetuto quanto ha sempre detto e cioè di non veder motivi di conflitto nel fare parte sia della PTPA sia dell’ATP “ieri come oggi. Ecco perché ho accettato la nomination”.

Ma quanto successo dimostra che ormai c’è muro contro muro. All’interno del Players Council l’attuale presidente Kevin Anderson, successore di Djokovic, si era dichiarato contrario alla creazione della PTPA. Ora qualche maligno potrebbe pensare che lo abbia fatto per farsi avanti lui

“Abbiamo fondato la PTPA perché non esiste un’associazione che rappresenti al 100 per 100 i giocatori” – ha sempre detto Djokovic che è supportato soprattutto dai giocatori meno forti, peggio classificati – “L’ATP è 50% tennisti e 50% organizzatori. La maggior parte delle volte c’è un conflitto di interessi… ecco perché tanti tennisti hanno sottoscritto l’adesione alla PTPA”. E ha concluso: “Bene, ora almeno… il messaggio è chiaro! Con questa regola l’ATP dimostra che non vuole avere la PTPA (fra i piedi) né nessun giocatore coinvolto. Vorrà dire che cercheremo altre strade”.

Ora non resta che attendere se l’ATP diramerà un suo comunicato. Ma il dado ormai è tratto. Come ho concluso anche nel mio video-commento, Djokovic è stato davvero ingenuo a pensare che gli influenti organizzatori dei tornei, i grandi gruppi di management, avrebbero digerito la nascita di un gruppo che sarebbe pian piano diventato una lobby contro di loro. Djokovic ha un bel dire che non avrebbe fatto guerra all’ATP, ma certo la PTPA sarebbe stata (sarà?) un spina nel fianco all’ATP per portare avanti più gli interessi dei tennisti che quelli degli organizzatori. Come è anche normale che sia, secondo me. Al di là della scelta temporale che, causa Covid, forse non è la più felice.

Può essere che l’ATP abbia agito così pensando che il seguito di Djokovic, forse in parte incrinatosi per i fatti di quest’estate – l’Adria Tour, la squalifica all’US Open, una serie di uscite poco felici – sia più esiguo di quel Djokovic pensa di avere. Ma per non rischiare abbia preferito toglierselo di torno.

Però adesso secondo me sarà guerra ancora più dura. Non so quale sia l’esercito con il maggior numero di soldati. Federer e Nadal sono sicuramente con ATP e contro Djokovic. E, come ho detto prima, i cordoni della borsa ce l’hanno i tornei. Anche se, non dimentichiamolo, chi fa lo spettacolo sono i tennisti. E i grandi sì, lo fanno più degli altri, ma hanno bisogno anche di quelli che non sono forti come loro.

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