C’è un giallo sui nuovi (presunti?) casi di positività al Covid-19 legati all’Australian Open. Secondo l’ultimo bollettino diffuso dallo Stato di Victoria, dei quattro nuovi casi emersi nelle ultime 24 ore, tre sarebbero collegati al torneo; in particolar modo si tratterebbe di due tennisti e una persona a loro collegata (una donna di 20 anni e due uomini di 30, in una comunicazione che non specifica le identità). Il condizionale rimane però d’obbligo, visto che Tennis Australia si è affrettata a precisare che due delle quattro positività sono state poi riclassificate in avvenute guarigioni (evidenza di un residuo di carica virale non contagiosa). Un po’ quello che era accaduto nei giorni scorsi a Tennys Sandgren, autorizzato a salire su uno dei voli diretti in Australia dopo aver dimostrato che il Covid-19 se l’era già messo alle spalle.
In questo caso però si parla di controlli effettuati sul territorio australiano, dove vengono utilizzati – è quanto emerge, al netto dei dettagli scientifici da chiarire – test “molto sensibili”. Secondo Craig Tiley, numero uno della federazione australiana, nessuno dei casi di positività effettiva riscontrati e associati al torneo riguarderebbe un giocatore (ma soltanto componenti degli staff, più un assistente di volo).
Ricapitolando: sono emerse tre nuove positività collegate al torneo, due delle quali ‘riclassificate’ in casi di infezioni superate con annessa guarigione. L’ipotesi che siano coinvolti dei tennisti – si è parlato di due – non è stata confermata.
METODO – In ogni caso, se si guardano i dati diffusi dalle autorità locali, il conteggio delle positività è salito a sette. La questione delle riclassificazioni lascia però aperti degli interrogativi sul metodo. Secondo i protocolli italiani per lo sport professionistico, la positività al tampone molecolare rimane tale a prescindere dalla carica virale (al netto della polemica sulla necessità di uniformare i laboratori d’analisi). Quella al tampone antigenico rapido è ritenuta attendibile ma va confermata dal molecolare, mentre è il test sierologico a svelare la presenza di anticorpi in caso di avvenuto contagio (determinanti per l’autorizzazione a scendere in campo rimangono però sempre i tamponi di controllo).
In Australia, a questo punto, quantomeno la comunicazione delle positività risponde ad altre logiche. Secondo quanto riferito da Brett Sutton, responsabile sanitario locale, anche due dei primi quattro casi individuati (un uomo di 30 anni e un altro di 50) sarebbero stati considerati, in una seconda fase, guarigioni avvenute. La riclassificazione però – è stato specificato – non libera dall’obbligo della quarantena, insieme ai partecipanti agli stessi voli ritenuti “contatti stretti”.
APERTURE – All’ultimo aggiornamento, i tennisti rinchiusi in hotel e quindi privati degli allenamenti erano 72 (qui elencati). “Non sono previste scorciatoie“, ha precisato Sutton, dopo che erano state respinte nella giornata di ieri le richieste di allentamento delle misure avanzate da Novak Djokovic a nome dei giocatori (e con l’appoggio di Tennis Australia). Pur nella rigidità che da quelle parti abbiamo imparato a conoscere, va registrato – lo riporta 9news.au – l’atterraggio nella notte del primo volo da Sydney a Melbourne e come 25 dipartimenti dell’area di Sydney siano passati dalla zona rossa a quella arancione. A Melbourne, i controlli sui presenti negli hotel della quarantena rimangono però strettissimi e quotidiani. Vincenzo Santopadre ha raccontato di essere stato sottoposto a quattro tamponi in cinque giorni.