Passare 14 giorni chiuso in una stanza d’albergo non è mai una cosa piacevole, ancor di più se sei un atleta professionista che si sta preparando all’esordio stagionale. Sotto certi aspetti dunque è anche comprensibile che nei giorni scorsi siano arrivate critiche e lamentele da parte di alcuni dei 72 tennisti costretti all’isolamento forzato. La più dura forse è stata quella di Bautista Agut, che ha paragonato la sua condizione ad una prigione, salvo poi abbassare il tiro per mitigare le critiche.
Queste lamentele diventano ancora più legittime quando a parlare è una tennista risultata positiva al coronavirus che non ha ricevuto i trattamenti adeguati, come sta succedendo a Paula Badosa. Il suo caso di positività si è aggiunto al nome di Eddie Elliot, coach di Lauren Davis che ha raggiunto Melbourne con il volo partito da Los Angeles, e a quello di Sylvain Bruneau, allenatore di Bianca Andreescu – anche lei in isolamento. Paula Badosa, però, è l’unica rispetto a cui siano stati confermati sintomi associati al tampone positivo. La sua positività è emersa al settimo giorno di permanenza a Melbourne, e tutti i precedenti tamponi (a partire da quello fatto prima di partire) avevano dato esito negativo.
Intervistata due giorni fa dal quotidiano Marca, la tennista catalana ha sùbito espresso le sue preoccupazioni sulle condizioni fisiche: “Oggi è stato il primo giorno in cui mi sono mossa un po’, ho fatto addominali. Mi sento abbastanza stanca ma i miei sintomi sono diminuiti”. Questa è forse l’unica nota positiva, perché il resto delle sue dichiarazioni fanno emergere un’impreparazione generale preoccupante. “Da quando sono stato trasferita dall’hotel non sono più stata sottoposta a test. Ho chiesto di farne uno per avere una sorta di controllo sulla mia situazione e non ho ricevuto alcuna risposta. Ho anche chiamato i medici per dirmi che tipo di virus ho, perché sono passati sei giorni da quando mi hanno testato e dovrebbero saperlo. Dipende dal virus (si riferisce alle varianti del virus, ndr) che ho l’obbligo dei cinque o nove giorni di isolamento. Non mi hanno dato alcuna informazione”.
La distinzione tra ceppo classico e ceppo britannico fa una grossa differenza in termini di giorni di reclusione. “Se ho il virus normale, uscirò il 30 o 31 gennaio. Se è il ceppo britannico, sarebbe il 5 febbraio“ ha spiegato Badosa, ancora incerta su quando possa esser avvenuto il suo contagio. “Ci sono persone sul nostro aereo che sono risultate positive al ceppo britannico. Vorrei che fosse il virus normale e vorrei non averlo preso in volo, perché in quel caso quasi certamente si tratterebbe del nuovo ceppo. Se mi sono contagiata ad Abu Dhabi ci sono più probabilità che sia il coronavirus che già conoscevamo”.
La numero 67 del mondo attualmente è in un hotel ‘medico’, essendo lei l’unica tennista risultata positiva, e questo anziché agevolare il suo recupero sembra danneggiarla. “Le condizioni in cui siamo qui sono deplorevoli, non me le aspettavo. La prima cosa che si consiglia quando si ha un virus è aprire le finestre delle stanze per far fluire l’aria. Non ho finestre e la mia stanza è di appena 15 metri quadrati. È ovvio che l’unica cosa che respiro è il virus. Ho chiesto prodotti per la pulizia, come un aspirapolvere, e non mi danno niente. L’hotel è adeguato per una persona che fa una normale quarantena e poi va a lavorare in un ufficio e non ha esigenze di tipo atletico, ma io sono un’atleta professionista. Mi sento abbandonata perché non ho il materiale di allenamento che ho chiesto dopo cinque giorni, non mi dicono che variante del virus ho contratto – di solito dopo tre giorni si sa – e non ricevo nessuna informazione dal torneo…”.
Craig Tiley, direttore degli Australian Open, ha cercato quanto meno di mostrarsi vicino alla ragazza ma neanche il suo intervento è stato efficace. “È l’unica persona che mi ha chiamato per chiedermi come sto“ ha fatto sapere Badosa. “Gli ho detto che non riesco a trovare una soluzione a vari problemi e mi rimanda ad altre persone. Tutto è abbastanza disorganizzato, onestamente“. Inoltre, a differenza di quanto ha lasciato intendere Petra Kvitova, la tennista spagnola non era a conoscenza di questa eventualità prima di prendere l’aereo (anche se in realtà, sul documento mandato da Tennis Australia ai giocatori, questa eventualità era menzionata). “Quello che non mi sembra giusto è che le regole cambiano quando stai già volando, quando non hai possibilità di non partire“. Dalle sue parole sembra comunque che avrebbe optato lo stesso per il viaggio. “Ci avrei pensato molto perché correre il rischio di stare rinchiusa per due settimane e perdere la forma fisica della off-season è qualcosa che non voglio e non accetto. Starò un mese senza giocare. Per me, essendo così giovane, la cosa meno importante ora sono i soldi. Voglio prepararmi bene per migliorare a livello tennistico, fisico e mentale. Stando ferma per così tanto tempo non raggiungerò i miei obiettivi”.
Come è naturale, anche l’aspetto mentale ne risente. “Oggi non riuscivo a dormire per l’ansia e la claustrofobia, ho iniziato a sentirmi sopraffatta. Ho parlato con i medici sperando potessero darmi qualcosa per aiutarmi, ma non hanno fatto molto. Quando ti senti male, la cosa migliore è fare una passeggiata, prendere un po’ d’aria fresca, ed è esattamente quello che non posso fare. Ho messo della musica e ho fatto una doccia fredda. Non posso fare molto di più”.
Tennis Australia sta provando ad agevolare il rientro in campo di chi è in isolamento, e ha organizzato un torneo WTA 500 esclusivo per le tenniste che hanno passato 14 giorni chiuse in camera senza possibilità di allenarsi sui campi. Tuttavia, la 23enne spagnola non sfrutterà questa occasione. “Non rischierò il fisico per quel torneo perché quello che viene dopo è molto più importante. Lo Slam lo giocherò sicuramente. Ho combattuto tutta la vita per disputare i tornei del Grande Slam e l’ultima cosa che farei è non giocarci. Ci proverò perché non si sa mai. Anche in doppio con Danka Kovinic, se il mio corpo lo permette”. Non è ancora chiaro se la sua possibilità di scendere in campo per l’Australian Open resterà vincolata all’esito negativo del tampone, ma sappiamo che lo staff medico del torneo valuta ogni caso singolarmente – come accaduto ad esempio per Sandgren, che ha potuto raggiungere l’Australia nonostante il test positivo.
Intanto, a tenerle compagnia c’è il suo allenatore Javier Marti – figura fondamentale in questo momento così difficile per lei. “Abbiamo insistito molto sul fatto che in questa situazione volevamo stare insieme. Non so come avrei fatto a gestirla da sola. Ci stiamo spronando a vicenda“ ha concluso Badosa.
Proprio parlando di coach, Eddie Elliott – allenatore della statunitense Lauren Davis, anche lui come detto risultato positivo al virus – ha ricevuto invece un trattamento decisamente differente rispetto a quello riservato alla tennista. Ha destato scalpore infatti la decisione di far terminare la sua quarantena in hotel dopo appena 10 giorni; una volta svaniti i sintomi, gli è stato consentito di uscire. La positività di Elliot dunque, che ha costretto all’isolamento i 24 tennisti a bordo del volo partito da Los Angeles, ha scontato 4 giorni in meno rispetto a loro. Un elemento che potrebbe aumentare ulteriormente il senso di frustrazione di Paula Badosa, la cui partecipazione al torneo è appesa a un filo labile almeno quanto la sua condizione fisica, intaccata dai sintomi del virus e dalla mancanza di allenamento. E, a suo dire, dalla disorganizzazione di Tennis Australia.