Melbourne, l'Italia fa le valigie (Scanagatta, Crivelli, Mastroluca, Azzolini). Pegula e Brady, le amiche del nuovo corso americano (Crivelli)

Rassegna stampa

Melbourne, l’Italia fa le valigie (Scanagatta, Crivelli, Mastroluca, Azzolini). Pegula e Brady, le amiche del nuovo corso americano (Crivelli)

La rassegna stampa di martedì 16 febbraio 2021

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Melbourne, l’Italia fa le valigie (Ubaldo Scanagatta, La Nazione)

Una giornata azzurro-tenebra. Due italiani erano in ottavi in Australia, Fognini e Berrettini, e tutti e due sono con le valigie. Non che ci fosse troppo spazio per illudersi. Pensare a Fognini che batte Nadal e a Berrettini che si vendica delle due sconfitte con Tsitsipas, era da fan super ottimista. Però peggio di così non poteva andare. La prima batosta arriva, all’alba italiana, da Fognini che perde in 3 set (64 63 64) sciupando il vantaggio di 4-2 nel secondo set contro un Nadal non ancora al meglio e nervosetto. Quattro sfide perse con Fabio gli erano rimaste in testa. Però Fognini, 35 errori gratuiti nel match, ha pensato bene sul 4-2 di restituire subito il break e poi sul 4-3 di non sfuttare lo 0-40 sul servizio di Rafa. Così per lo spagnolo, 4 game di fila per il 6-4, è stata poi tutta discesa. Sogno di un quarto di finale all-Italians appena sfumato ed ecco la gaffe dello stesso Nadal: «Domani con Tsitsipas…». Rafa ha così anticipato involontariamente la mazzata del ritiro di Berrettini. Lo stiramento addominale procuratosi contro Khachanov, impedisce a Matteo di servire al 100%. Il rischio da non correre sarebbe stato, poi, di fermarsi per un mese o due. Che peccato però. Al mio primo Australian Open Edberg, nella finale 1990 con Lendl, era un set pari e 5-2 per lui al terzo quando si fece male allo stesso muscolo di Matteo e fu costretto a ritirarsi. Intanto Federer ha annunciato che giocherà sia Doha (8 marzo) sia Dubai la settimana dopo. Ha casa a Dubai. Era il minimo che potesse fare per ringraziare.

Il dolore batte Berrettini. E Fognini si inchina a Nadal (Riccardo Crivelli, La Gazzetta dello Sport)

La notizia arriva di prima mano da una fonte imprevedibile, Rafa Nadal: «Il prossimo turno con Tsitsipas sarà molto difficile». Solo che il greco dovrebbe giocare un paio d’ore dopo, e quindi le parole del maiorchino confermano quanto era nell’aria, ma non ancora ufficiale: Matteo Berrettini, inchiodato da un infortunio ai muscoli del torace, non ce la farà a scendere in campo contro il greco per il suo ottavo di finale. Ci ha provato fino all’ultimo, Berretto, fino alla rifinitura del pomeriggio, cancellata quando ha capito che scendere in campo con un ministrappo al muscolo obliquo esterno, avrebbe solo appesantito le conseguenze: «I dottori mi hanno detto che il problema avrebbe potuto peggiorare. Non valeva la pena rischiare, non ero in grado di giocare, mi faceva male anche solo a tossire. Non mi era mai successo, è un problema alla parte alta dell’addome e ancora non so bene cosa fare. Sicuramente riposo e fisioterapia. In questi due giorni ci eravamo concentrati sul tentativo di rientrare in campo, ma ci siamo accorti che non era il caso. E’ stata una botta tosta, soprattutto moralmente, perché dopo tanto tempo mi sentivo bene in campo e avevo trovato spirito e ritmo giusto. Però c’è tanto di positivo da ricavare da questo mese, con la finale di Atp Cup e gli ottavi qui, dopo tante vittorie contro gente forte. Adesso mi dovrò fermare obbligatoriamente per un po’, ma da Melbourne riparto con fiducia. Certo non mi metterò fretta». […] Del resto proprio Nadal, oltre alle anticipazioni non previste, può contribuire con un parere autorevole dall’alto della sua laurea honoris causa in infortunistica da tennis: «Nel 2009 cominciai gli Us Open con uno strappo di 6 millimetri all’addome e alla fine del torneo era di 26: giocare non fu una grande idea».

Per Fognini e Berrettini i sogni muoiono all’alba (Alessandro Mastroluca, Corriere dello Sport)

I bei sogni muoiono all’alba. Quando in Italia era appena mattina, quello che doveva essere un super lunedì azzurro sulla Rod laver Arena era già dissolto. Fabio Fognini ha perso in 6-3 6-4 6-2 contro Rafa Nadal, Matteo Berrettini non è proprio sceso in campo contro Stefanos Tsitsipas. A Fognini resta il rimpianto per il break di vantaggio non difeso nel secondo set, quel 4-2 destinato a rimanere come un fiore non colto. «Un rammarico c’è. Magari non avrei vinto in ogni caso, perché non ero fresco come gli altri giorni dal punto di vista atletico e tennistico. Il Fognini degli altri giorni avrebbe avuto più chances di trovarsi un set pari». Il suo bilancio del periodo passato in Australia rimane positivo. La buona notizia, ha sottolineato, è l’assenza di problemi alle caviglie operate l’anno scorso. Nadal, più efficiente al servizio, ha spinto meglio con il rovescio lungolinea, colpo con cui ha chiuso la partita, e ottenuto 12 punti su quindici discese a rete. Arrivato ai quarti senza perdere un set, può continuare a inseguire il ventunesimo Slam contro Stefanos Tsitsipas, promosso senza giocare per il forfait di Matteo Berrettini. «Non mi era mai successo un infortunio nella parte alta dell’addome. Ci siamo accorti che non era il caso di scendere in campo. L’obiettivo era di non far peggiorare le cose per non dover poi stare fermo dei mesi» ha detto il numero 1 azzurro in conferenza stampa. […] Proprio Nadal ha sottolineato quanto possa essere complicato decidere fino a che punto mettere alla prova il fisico. Il maiorchino ha ricordato quel che gli era successo allo US Open del 2009. «Ho iniziato il torneo con uno stiramento addominale di 6 millimetri e sono arrivato in semifinale. Dopo la sconfitta contro Juan Martin Del Potro, la lesione era di 26 millimetri Quella non fu una gran scelta, bisogna trovare un equilibrio». […]

Italia, fine corsa (Daniele Azzolini, Tuttosport)

Il nostro Slam nella bolla dei delusi, alla fine, è sembrato vivere di una trama già scritta. Nato da un match che chissà quale entusiasmi avrebbe scatenato se fosse girato al momento giusto, è finito con un appuntamento mancato, che prometteva battaglia aperta, se solo i due si fossero trovati. Ma non è successo… Dalla subitanea uscita di Jannik Sinner in primo turno, al ritiro di Matteo Berrettini che non ha potuto tentare il terzo assalto a Tsitsipas. Un involucro dall’aspetto dimesso nell’insieme, ma capace di contenere molte buone cose, dalle buone prove di Fognini e Berrettini, alle quattro presenze in secondo turno, con Sonego e Caruso dispersi solo al quinto set, allo stravagante ritorno di Sara Errani, che ogni tanto serve battendo da sotto, ma ritrova quel modo di stare in campo cucito a doppio filo con un carattere sanguigno e un palleggio che riesce ancora a condurre in apnea le avversarie. Alla fine, Matteo non ce l’ha fatta. L’infortunio alla regione intercostale non è di quelli da sottovalutare. E nemmeno Fognini ce l’ha fatta, perché Nadal quando ci si mette, è anche peggio di un infortunio. Giù di corda, Berretto si è fatto vivo in conferenza stampa: «I medici mi hanno consigliato di lasciar perdere, anzi, il quadro che mi hanno presentato non mi lascia tranquillo per nulla. È uno strappo intercostale, la diagnosi è questa. Giocare finirebbe per causarmi uno stop di tre mesi. L’unica è riposare e fare fisioterapia, nella speranza che tutto vada a posto, e soprattutto che non ritorni nelle prossime settimane, al primo allungo. Avevo trovato un buon feeling con i colpi, in campo mi sentivo a mio agio. Una brutta sorpresa, purtroppo». […] Nemmeno Fognini era nelle condizioni migliori per portare a spasso Rafa, nel loro diciassettesimo confronto (13 a 4). Eppure, Fabio non è tipo da non provarci e non ha un tennis che possa accontentarsi di fare da comparsa, anche contro un campione che proprio contro di lui ha deciso di giocare l’incontro migliore – fin qui – del suo Open d’Australia. Ne è sortito un confronto senza grandi speranze, per il nostro, eppure illuminato da colpi che solo Fabio può permettersi di fare. «Nessun rimpianto», ammette Fabio, «chissà, forse il Fognini dei giorni scorsi, un po’ meno affaticato, sarebbe stato in grado di sfruttare meglio le situazioni. Rafa ha giocato un gran match, poco da dire, ma quel 4-2 nel secondo, quando gli ho fatto il break, in altre condizioni sarei riuscito a portarlo fino in fondo. Resta comunque un Open da ricordare. All’arrivo in Australia, ormai quasi un mese fa, avrei firmato per le cinque vittorie che ho portato a casa, due in Atp Cup e tre nello Slam. È un buon avvio di stagione, ed è quello che speravo».

Pegula e Brady, le amiche del nuovo corso americano (Riccardo Crivelli, La Gazzetta dello Sport)

Ne resterà solo una. Ma quella che conoscerà la sconfitta non perderà il sorriso, perché l’amicizia è un valore più forte di una partita di tennis. Jessica Pegula e Jennifer Brady portano ai quarti di finale degli Australian Open, dove si affronteranno, il nuovo corso degli Stati Uniti, incapaci da tempo di produrre campioni tra gli uomini ma in grande fermento nel femminile. Jess e Jenn si conoscono da quando le misero insieme in un doppio di Fed Cup inutile per il punteggio finale: dopo le rispettive vittorie negli ottavi di Melbourne, si sono mandate messaggi di saluto nel tradizionale rito della scritta sulle telecamere. La Pegula è figlia di Terry, multimilionario nel settore del gas naturale e degli immobili, proprietario dei Buffalo Bills della Nfl e dei Buffalo Sabres della Nhl. Proprio assistendo agli allenamenti della squadra di football, Jess ha cambiato mentalità: «Vedevo quanta voglia di arrivare ci mettevano, quanta grinta. Ero ammirata dalla leadership del quarterback Josh Allen, dal suo impegno: ho provato ad applicarlo anche al tennis». Non aveva mai battuto una top ten, ora da numero 61 del mondo può sognare: «Sono semplicemente felice di essere arrivata fin qui, sarà comunque una grande opportunità per me o per Jennifer». La Brady è la solita, solida ragazzona americana che dalla Pennsylvania si è trasferita in Florida per seguire il lavoro di papà e a nove anni si è iscritta all’Accademia di Chris Evert. Campionessa universitaria con Ucla nel 2014, ferma quasi 2 anni dal 2017 per un infortunio alle ginocchia, ha fatto del basso profilo una scelta di vita e si è ritrovata a considerare nuovi orizzonti durante il lockdown, lei che si era scelta un coach tedesco (Michael Geserer) e ha dovuto rimanerne separata per 5 mesi: «Mi mandava un piano ogni giorno, sono andata avanti senza soste, è stata durissima. Ma ho tenuto, pensando all’aiuto che ne avrei tratto». Dopo lo stop forzato, sono arrivati infatti il primo titolo in carriera a Lexington e le semifinali agli Us Open, mentre l’esperienza della pandemia le è servita per superare senza traumi l’isolamento forzato di 14 giorni imposto in Australia a chi aveva volato coi positivi: «Tanti si sono lamentati, non io: ci sono cose peggiori nel mondo che stare chiusi in hotel». Jenny la filosofa.

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