Djokovic, nona sinfonia in Australia. Sarà n.1 più a lungo di Federer (Scanagatta). Nole suona la nona (Crivelli). Re Djokovic a Medvedev: "Attendere prego" (Mastroluca). Djokovic si riprende l'Australia e parte verso nuovi record (Piccardi). Djokovic alla nona (Azzolini)

Rassegna stampa

Djokovic, nona sinfonia in Australia. Sarà n.1 più a lungo di Federer (Scanagatta). Nole suona la nona (Crivelli). Re Djokovic a Medvedev: “Attendere prego” (Mastroluca). Djokovic si riprende l’Australia e parte verso nuovi record (Piccardi). Djokovic alla nona (Azzolini)

Il trionfo di Djokovic all’Australian Open nella rassegna stampa di lunedì 22 febbraio 2021

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Djokovic, nona sinfonia in Australia. Sarà n.1 più a lungo di Federer (Ubaldo Scanagatta, Nazione-Carlino-Giorno Sport)

Novak Djokovic cyborg. Bionico, al confine fra uomo e macchina. Nove finali all’Australian Open, nove vittorie, 18esimo Slam (a meno 2 rispetto ai 20 di Federer e Nadal). La nona, venuta su un Medvedev che reduce da 20 vittorie consecutive era diventato il favorito, è stata nettissima, figlia di un dominio tecnico tattico esagerato. Un solo set lottato, il primo vinto 75, e poi due 6-2 6-2 di fila per una finale conclusasi in meno di due ore e priva di vera suspence. Medvedev aveva ceduto soltanto 7 volte il game di battuta nel torneo, in 6 match, ma lo ha perso altre 7 volte ieri in una sola partita in cui ha servito 14 game.

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Un Djokovic perfetto gli ha dato l’ultima chance quando, vinto il primo set, ha patito un break nel primo game del secondo. Ma non era giornata per Medvedev, soltanto alla sua seconda finale Slam. Un doppio fallo sul primo punto, un paio di errori e break subito restituito. 4-1 e 5-2 in un baleno per Djokovic, con Medvedev furibondo con se stesso e che fracassa la racchetta ancora prima del 6-2 senza storia. Ciò prima di mollare gli ormeggi nel terzo. L’8 marzo Djokovic sarà n.1 del mondo per la settimana n.311 e scavalcherà Federer. N.2 resterà Nadal. La nuova generazione dei Medvedev, Zverev, Tsitsipas, Thiem, deve attendere.

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Nole suona la nona (Riccardo crivelli, La Gazzetta dello Sport)

Puoi regalare capolavori al mondo e farti aprire le porte del paradiso delle leggende con uno spartito tra le dita oppure tenendo in mano una racchetta. La Nona Sinfonia di Djokovic in Australia, più che un inno alla gioia, è l’esecuzione rabbiosa e incontenibile di un campione immortale, uscito da un mese di pressioni e polemiche con la potenza rigenerante di una forza mentale e tecnica senza uguali. Povero Medvedev, nuovo vessillifero di una generazione che vorrebbe liberarsi una volta per tutte dall’abbraccio mortale dei Magnifici Tre e invece finisce stritolata ancora e sempre quando il momento conta di più: Daniil è un’altra vittima dell’inestinguibile sete di vittoria di un fenomeno dalle mille vite e dalle mille soluzioni tattiche. Non è ancora matura l’ora della rivoluzione e lo sconsolato Orso russo, travolto in tre set e in meno di due ore dopo una striscia aperta di successi (20) che durava dal 30 ottobre, fotograferà la frustrazione sua e di tutti quelli che hanno avuto la sventura di incrociare il trio più forte di ogni epoca con una parola che guardacaso viene dal futuro: «Nole, Nadal e Federer sono dei cyborg» .

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La finale dura in pratica 20 minuti, il tempo per Medvedev di recuperare da 0-3 e fino al 5-5 del primo set: da quel momento, Daniil perderà cinque turni di servizio su sei uscendo completamente dal campo, annichilito dalla risposta del numero uno, la chiave di volta del dominio più ancora della sua battuta, che invece lo aveva portato fin qui in pompa magna. La Rod Laver Arena resta perciò il giardino di casa Djokovic, l’eden delle nove vittorie su nove finali, secondo nei successi singoli in uno Slam dopo Nadal e i suoi 13 Roland Garros, un feeling che non è stato incrinato neppure dalle condizioni decisamente straordinarie in cui i giocatori hanno preparato l’appuntamento: «E stato lo Slam più impegnativo della mia vita: l’infortunio, la quarantena, le condizioni in generale. Non sono l’unico che ha sperimentato tutto questo, perció non mi posso lamentare, ma non c’è dubbio che ci sono stati tanti ostacoli da superare. All’inizio non ci sentivamo così ben accolti in Australia».

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«Non mi sento vecchio o stanco, o cose del genere. Però capisco che da adesso in poi ogni Slam sarà sempre più duro, ci saranno nuovi avversari molto forti e molto affamati, come lo eravamo io, Nadal e Federer 10 o 15 anni fa. Dovró fare sempre più attenzione al mio programma e renderlo il più intelligente possibile, dando la priorità ai Major. Ora che supererò il primato di settimane in vetta al ranking (311 contro le 310 di Roger, accadrà l’8 marzo, ndr) potrò concentrarmi solo sul record degli Slam e questo forse mi aiuterà a selezionare gli obiettivi». Fenomeni disumani e senza tempo, che ti prosciugano le energie prima ancora di scendere in campo, con l’aura personale e il carisma, con la prepotenza tecnica affinata dall’esperienza.

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Medvedev sembrava l’uomo giusto al momento giusto per provare a regalare al tennis un mondo nuovo, perché in fondo aveva già giocato una finale degli Us Open contro Nadal perdendola per un’incollatura, eppure una volta di più non ha superato lo stress test: «Quando vado in campo, anche contro i Big Three, voglio sempre vincere. Ma loro sono qualcosa di speciale. Pensate che Djokovic ha vinto nove volte a Melbourne, significa che io per fare altrettanto dovrei vincere sempre il torneo fino a quando avró 34 anni. Oppure pensate alle 13 volte di Rafa a Parigi… Sono cifre assurde, come si fa a non pensare che siano i tre più forti della storia del tennis?». E il problema, per gli altri, è che la fine dei dominatori sembra ancora lontana, come Nole puntualizza con un certo sarcasmo: «Tutti parlano della nuova generazione che verrà e conquisterà il palcoscenico, ma realisticamente ció non sta ancora accadendo.

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Re Djokovic a Medvedev: “Attendere prego” (Alessandro Mastroluca, Corriere dello Sport)

Niente cambio della guardia, non ancora. Novak Djokovic è ancora il re dell’Australian Open. Ha vinto il suo nono titolo su nove finali, il terzo consecutivo, distruggendo pezzo per pezzo il tennis del russo Daniil Medvedev, battuto 7-5 6-2 6-2 in un’ora e 53 minuti. «Daniil è uno degli avversari più duri che abbia mai affrontato — ha detto durante la cerimonia di premiazione — Vincerai il tuo primo Slam, è solo questione di tempo. Ma apprezzerei molto sè aspettassi ancora qualche anno». Per ora, a Melbourne, c’è ancora un re su cui non tramonta mai il sole, il secondo campione dopo Rafa Nadal al Roland Garros a vincere così tante volte uno stesso Slam.

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Djokovic ha iniziato il match con l’ace numero 101 ed è salito subito 3-0, come in tutte le ultime quattro finali all’Australian Open. Medvedev ha recuperato fino al 3-3 ma ha capito subito che la missione sarebbe stata impossibile. Djokovic ha vinto più punti negli scambi brevi, conquistato il 68% di punti in risposta contro la seconda, vinto 16 dei 18 punti a rete e commesso appena 17 gratuiti. Contro un avversario atleticamente resistente e potenzialmente capace di togliergli il controllo del campo, come Dominic Thiem nella finale di un anno fa, il numero 1 del mondo cambia pelle. Gioca vicino al campo, attacca con feroce misura e non sbaglia un rovescio fino al nono game del primo set. Ha preso di mira il dritto del russo, non ha avuto alcuna paura del rovescio con cui Medvedev di solito rallenta gli scambi restituendo palle avvelenate difficili da rimandare oltre la rete.

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Medvedev, capace di spingere Rafa Nadal al quinto set dopo aver perso i primi due nella finale dello US Open del 2019, non ha retto innanzitutto di testa quando Djokovic ha portato la finale in un luogo a lui inaccessibile. Migliore al microfono durante la premiazione che in campo, Medvedev ha ricordato una giornata di allenamento trascorsa a Montecarlo con Djokovic nel 2015. «Ero molto timido, pensavo che lui non mi parlasse nemmeno, invece mi trattò come se fossimo grandi amici — ha detto il prossimo numero 3 del mondo, che già si allenava in Francia — Dicevano che non fosse troppo simpatico, ma ho avuto la conferma che è una grande persona, oltre che un grande campione».

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Di sicuro, ha detto il serbo, questo nono Australian Open gli è costato tanto dal punto di vista emotivo. Prima per le conseguenze della quarantena obbligatoria, poi per le critiche ricevute dopo l’infortunio. Tanti, infatti, hanno pensato che avesse finto o comunque esagerato le conseguenze del problema. «Capisco chi pensa che non fossi infortunato, ma quelle critiche erano ingiuste – ha detto – Comunque, vedrete tutto in un documentario che uscirà a fine anno”.

Djokovic si riprende l’Australia e parte verso nuovi record (Gaia Piccardi, Corriere della Sera)

Affamato di record come quando — bambino — giocava a tennis sul fondo di una piscina vuota sotto le bombe della Nato a Belgrado, il figlio della guerra si annette metodico un altro pezzettino di riscatto sociale chiamato Australian Open,

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Mentre la rivoluzione di Daniil Medvedev russa, Novak Djokovic risorge dalle sue ceneri e raggiunge la vertiginosa quota di 18 Major, un paio in meno degli altri due che supererà in tromba

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II Djoker che sembrava mezzo morto al terzo turno contro Fritz, che minacciava di non riuscire a scendere in campo con Raonic, che aveva ceduto il primo set nei guarti allo Zverev smanicato, e tornato il treno ad alta velocità Belgrado-mondo in finale all’Australian Open contro il moscóvita 25enne che sale al n.3 del ranking. Un match dominato in tre set (7-5, 6-2, 6-2), lasciandosi recuperare un break nel primo e poi non concedendo più niente, nemmeno le briciole al rivale sbatacchiato per 11 campo, rigido come un burattino, storto come sempre, annientato. Se Medvedev (alla seconda finale Slam perduta della carriera), con il suo tennis atipico ma efficace, sbilenco però produttivo, era sembrato l’uomo della svolta, Djokovic si conferma re in carica restaurando la supremazia dei Big Three sul resto dell’orbe terracqueo. La nuova generazione può attendere, Thiem campione a New York è Isolato ad anomalia del periodo pandemico, il tennis a livello Slam rimane un affare per pochissimi. Le 311 settimane al primo posto del ranking mondiale non ci dicono niente sul Djoker che non sapessimo già: 6 degli ultimi io Major, mentre Federer si ingobbiva sotto il peso dell’inevitabile invecchiamento (ad agosto saranno 40) e Nadal gestiva i soliti infortuni, sono entrati nel trolley del serbo che viaggia veloce e leggero (33 anni, uno meno di Rafa e 7 meno di Roger) verso i pochi record che ancora gli mancano, visto che nei confronti diretti è già davanti con entrambi i rivali (29-27 con lo spagnolo, 27-23 con lo svizzero).

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Djokovic alla nona (Daniele Azzolini, Tuttosport)

Sotto i flash, la bowl degli Open svela la propria magia. I volti istoriati sembrano animarsi nei riflessi della luce, mischiandosi al volto dell’ultimo vincitore che si specchia sul fondo lucido. Ha la forma di una coppa da punch, come la Davis, e nell’inseguirsi dei lampi sembra voglia raccontare di eventi vicini e lontani. Norman, la chiamano. Perché dedicata a Norman Brookes, che ne fu uno dei primi proprietari. Un mago, per tutti. Australasiatico, per di più. Il campione di un tennis miracoloso che riunì due nazioni in una, Australia e Nuova Zelanda. È la riproduzione di un vaso storico, il vaso di Warwick, ritrovato a pezzi in uno dei laghetti di Villa Adriana, a Tivoli, e restaurato dai migliori artisti del Settecento, su tutti il Piranesi. Il personaggio raffigurato, al centro di altre divinità, è Bacco. La Coppa è un invito alla libagione, alla festa di tutti, e racconta della divinità più popolare che vi sia. ll baccante è invece Novak Djokovic, e alla fine, laggiù sotto, down under come dicono gli australiani, festeggia sempre e solo lui. Nove vittorie in nove finali. La metà degli Slam conquistati da Nole, diciotto da ieri, sono stati celebrati alzando la coppa di Bacco, malgrado Nole sia, per sua stessa ammissione, «il campione che non sopporta lo champagne», cioè l’elemento liquido che meglio si sposa con le vittorie. E con la Coppa in questione. Che volete farci. Il tennis ama le proprie contraddizioni, i molti ossimori che ne fanno uno sport insieme umanissimo e ai confini del divino. Fateci caso… Mentre il popolo del tennis dibatte da tempo sulla reale dotazione di simpatia del serbo, ecco che a difenderlo scende in campo proprio Daniil Medvedev, lo sfidante imbelle, il ventiquattrenne russo che vedrà scadere a breve il suo status di “eterno giovane;

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La nona del Djoker porta con sé una sentenza limpida e cristallina nel suo significato sportivo. Per i più giovani non c’è spazio. La distanza fra gli iscritti al Club dei Più Forti (sempre loro, Federer, Nadal, Djokovic) e i molti in fila per chiederne l’ammissione, è ancora abissale. Il più vicino, Dominic DominatorThiem, ha 27 anni, ed è l’unico che possa vantare una vittoria. Gli altri sono ancora alle prese con una domanda cui non trovano risposta. Come si gioca una finale? E soprattutto, come si vince? Non come ha tentato di fare Daniil Medvedev, se ci perdonate la banalità. La finale del russo è durata dieci game e si è spenta sul 5 pari del primo set. Da il in poi c’è stato solo Djokovic,

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Novak rilancia la sfida ai suoi pari. Ai primi di marzo raggiungerà e supererà Federer per numero di settimane in vetta alla classifica. Poi tornerà a caccia delle sue prede preferite, gli Slam. «Io, Rafa e Roger siamo qui per vincere ancora. Che altro? Vogliamo evitare che i giovani vincano gli Slam al nostro posto. Ci piace vedercela fra noi». Non proprio le parole che Rafa e Roger avrebbero usato.

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