Il personal branding nel mondo del tennis: il caso dei Big Four

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Il personal branding nel mondo del tennis: il caso dei Big Four

In che modo Federer, Nadal, Djokovic e Murray hanno costruito i rispettivi marchi?

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Gli sportivi hanno sempre avuto fan appassionati e devoti, ma diventare sempre più visibili implica la crescita del personal branding – ma di cosa si tratta? È la pratica di posizionare attivamente e costruire una “narrativa di valore” sulla propria persona, creando un marchio, un timbro o uno mnemonico a supporto di questo messaggio, associazione, aspettativa e/o fede nella mente di un “consumatore” (appassionato, squadra, sponsor ecc.).

Il termine è stato coniato da Tom Peters, esperto di gestione aziendale, alla fine degli anni ’90 nel suo saggio “The Brand Called You“, che esamina il ruolo del marketing nella creazione di un’immagine distintiva nel mondo delle corporation Americane. Anche se l’articolo ha più di 20 anni, i suoi contenuti hanno ancora più rilevanza per l’odierno mondo ipersaturo, ipercompetitivo e iperconnesso in cui le strategie di differenziazione stanno diventando sempre più complesse. Il mercato dello sport, infatti, si caratterizza per l’elevato grado di complessità, in quanto vede come protagonisti una moltitudine di attori, ognuno di essi con determinate caratteristiche e interessi. Seguendo la categorizzazione del marketing sportivo, il personal branding può essere inteso come incorporato nel marketing dei singoli atleti, ed è una sotto-branca del marketing sportivo.

Inizialmente, il marketing sportivo riguardava esclusivamente product placement e vendita di prodotti, e solo verso la fine degli anni ’70 l’uso dello sport come strumento di marketing iniziò davvero a catturare l’immaginario collettivo aziendale. Tuttavia, occorre distinguere tra la sponsorizzazione sportiva che riguarda principalmente la consapevolezza del marchio, e il marketing sportivo che verte sull’attivazione di contratti di sponsorizzazione. Si tratta di creare una connessione tra il simbolo sportivo e il marchio e comunicarlo al consumatore, cercando di trovare quanti più punti in comune tra la storia aziendale e quella del simbolo, al fine di creare una narrativa comprensibile e apprezzata dal consumatore.

La popolarità dello sport e la conseguente copertura mediatica hanno fatto sì che i migliori giocatori riuscissero a catturare i cuori e le menti del pubblico, iniziando così a trascendere la propria disciplina. È interessante notare che le aziende non considerano soltanto il ritorno degli investimenti in termini monetari, ma mirano soprattutto a creare legami emotivi con i consumatori. Il marketing sportivo si basa sulla creazione di passione per il consumatore e sulla conquista di cuori e menti, risultati che le campagne pubblicitarie non sono sempre in grado di raggiungere.

IL CASO NIKE-JORDAN FA DA SPARTIACQUE

Una storia che ha sicuramente cambiato il marketing sportivo è stata quella dell’indiscussa icona del basket Michael Jordan che, messo sotto contratto dal colosso sportivo Nike, è diventato così importante da essere riconosciuto dai consumatori come una branca completamente differente dall’azienda dell’Oregon. Spesso sentiamo dire “queste scarpe sono della Jordan”, oppure “questa maglietta è Jordan”, omettendo completamente il fatto che il marchio completo sia Nike Jordan. Pertanto, alla fine del 1997 l’azienda di Portland capì che il marchio Jordan era così forte da poter diventare una sottomarca della Nike, e fu così che nacque “The Jordan Brand” e, per celebrare questo evento, fu rilasciato il primo modello Air Jordan: The Air Jordan XIII. Le scarpe Jordan da quel momento in poi non supportarono più il baffo della Nike e contennero solo il logo chiamato Jumpman:

MARCHE STORICHE DEL TENNIS

Ma torniamo al mondo del tennis e facciamo qualche passo indietro. I primi marchi di successo furono quelli di ex-giocatori come Lacoste, Perry e Tacchini, i quali hanno dato vita a importanti aziende di vendita di indumenti e accessori sportivi, iniziative imprenditoriali che hanno fatto leva sugli strumenti di marketing specifici per attrezzature e abbigliamento sportivo:

Tutti questi casi imprenditoriali hanno in comune il fatto che la costituzione delle aziende di produzione e commercializzazione è avvenuta dopo che il tennista in questione aveva finito la carriera sportiva, sfruttando nel caso di Lacoste e Perry una fama già acquisita, ma ristretta solo a livello degli appassionati. Queste marche, seppur non più dominanti, sono ancora presenti al giorno d’oggi:

  • Lacoste può ancora vantare la sponsorizzazione di tre giocatrici e cinque giocatori tra i primi 50 dei rispettivi ranking, tra cui i recenti finalisti dell’Australian Open, Djokovic e Medvedev
  • Fred Perry si è rivista nel 2009 come sponsor di Andy Murray e dal 2019 organizza un importante torneo giovanile nel Regno Unito
  • Sergio Tacchini è riapparso recentemente come sponsor tecnico, dopo aver dominato le sponsorizzazioni dei tennisti durante gli anni ‘80.

Come per Lacoste e Fred Perry, parliamo di un marchio fortemente ancorato al contesto nazionale. Immaginiamo un adolescente di nome Ubaldo sguainare i suoi dritti nella Firenze degli anni ‘60, indossando una maglietta Fred Perry o Lacoste e leggendo le gesta dei migliori tennisti dell’epoca su “La Nazione”. Come tanti altri giovani, si identificava nelle loro vittorie, raccontate attraverso la radio prima e la televisione poi, con il corredo delle foto illustrative dei giornali.

GLI SPONSOR CONTEMPORANEI

Ancora oggi, il maggior numero di sponsorizzazioni di un tennista riguarda abbigliamento e accessori sportivi:

Figura 1 – Sponsorizzazioni di tennisti professionisti per settore merceologico luglio 2019 – Statista

La distribuzione delle marche è cambiata, tuttavia, come si nota considerando i primi 30 giocatori del mondo in entrambi i circuiti:

Figura 2 – Fonte: scoreandchange.com – marzo 2020

Quindi cosa è cambiato? Semplicemente le variabili di contesto (esterne ed interne) sono diverse, e c’è una maggiore consapevolezza da parte degli sportivi di successo del valore della loro immagine. L’ambiente esterno è costituito dai fattori apparentemente più lontani dall’azienda, tra cui ricordiamo tecnologie, tendenze demografiche e sociali, questioni economiche, legislazione politica, preoccupazioni naturali e sostenibili. L’ambiente interno è costituito da variabili più vicine, quali: risorse, competenze, capacità di fornire servizi, cultura orientata al cliente, prestazioni dei reparti, fornitori e outsourcing, sponsorizzazioni, canali di marketing (punto di vendita, società finanziarie, società di comunicazione) e pubblico. Queste variabili confluiscono nella matrice SWOT (Strength-punti di forza; Weakness-punti di debolezza; Opportunities-opportunità; Threats-minacce), che a sua volta confluisce nel piano di marketing, consentendo agli esperti di mitigare i rischi, migliorando l’efficienza dei processi e l’efficacia delle decisioni delle attività di marketing.

La strategia pubblicitaria e di marketing si è evoluta negli ultimi 30 anni, e nessuna tattica che le aziende e le organizzazioni utilizzano per raggiungere i consumatori ha subìto più trasformazioni della sponsorizzazione sportiva. Nei decenni passati, i dirigenti pubblicitari potevano acquistare grandi quantità di spazi pubblicitari sulle reti televisive e bombardare gli spettatori con gli spot. La formula era semplice: vinceva chi spendeva di più. Oggi, tuttavia, poiché i consumatori guardano meno la televisione e la selezione delle opzioni di visualizzazione è aumentata in modo esponenziale, i brand sono costretti a frazionare la spesa pubblicitaria per trovare nuovi modi di coinvolgere potenziali clienti. Ci sono voluti anni di magri introiti per rendersi conto che il semplice pagamento del proprio logo per apparire accanto a quello di una squadra sportiva professionale, l’acquisto di pubblicità televisiva o la pubblicità negli stadi durante le partite non forniscono più lo stesso rendimento di un tempo.

Dunque, se la nozione di ottenere un elevato ritorno sull’investimento dalle campagne pubblicitarie tradizionali è quasi morta, le aziende come possono ottenere successo per i propri marchi di fronte ai consumatori? Bisogna fare leva sulle passioni dei clienti e promuovere le relazioni di marca: le collaborazioni oggi hanno lo scopo di migliorare l’esperienza del consumatore o dell’appassionato e si basano sulla costruzione di punti di connessione rilevanti tra atleta e marchio aziendale rappresentato.

Oggi assistiamo al proliferare di marchi personali, come quelli riportati qui sotto. Normalmente costituiscono dei sotto-marchi, con delle debite eccezioni come quella di Roger Federer, capace di riacquistare la sua RF dopo una lunga battaglia legale con Nike. I brand auto-referenziali sono solo la punta dell’iceberg di una strategia di costruzione di un marchio per una carriera lunga e di successo al di fuori dello sport. Anche dopo che la carriera sportiva di un atleta è finita, molti portano con sé il loro marchio personale, proprio come Michael Jordan:

STRATEGIE

Le distanze tra appassionati e campioni dello sport si sono assottigliate, visto che social media e web contribuiscono a creare coinvolgimento emotivo e fidelizzazione, unitamente ai canali tradizionali. Tendenzialmente si possono osservare alcune regole nella costruzione di una forte marca identitaria:

  1. Creare coerenza tra personalità, valori dell’atleta e personal brand. È importante creare una storia personale che metta l’atleta in una luce autentica, che non sia troppo lontana dalle sue caratteristiche e dal suo marchio personale. Non bisogna creare una discrepanza tra la tua storia reale e l’immagine che si intende comunicare all’esterno. Quindi bisogna sempre controllare che la narrazione personale sia allineata con il nucleo dell’essere persona.
  2. Utilizzare il social marketing e promuovere cause filantropiche. La manifestazione dell’altruismo degli sportivi si manifesta in cause dove esistono forti disuguaglianze. Atleti che sinceramente cercano di aiutare a risolvere anche un piccolo problema non saranno investiti solo dei meriti della positività alla risoluzione del problema stesso, ma beneficeranno anche di un impatto significativo sul loro marchio personale e sul loro posizionamento.
  3. Controllare il marchio personale nel dettaglio. Quando non si trascurano le minuzie, diventa possibile pensare alla formazione di strategie di pubbliche relazioni davvero interessanti per lo sviluppo del brand che possono rivolgere messaggi a segmenti ristretti di professionisti, con i fan ordinari che potrebbero non esserne nemmeno consapevoli.
  4. Selezionare gli strumenti adeguati ad interagire con ciascuno dei segmenti importanti del pubblico di destinazione. Nella maggior parte dei casi, durante la costruzione dei marchi degli atleti ci si limita ad una serie standard di canali e strumenti. Ad oggi risulta sufficiente per portare il proprio marchio personale al vertice, poiché in realtà nessuno sta cercando di ottenere di più nello sport, ma nel prossimo futuro non sarà abbastanza, date le enormi pressioni competitive. Pertanto, si rende necessario investire l’80% in più per ottenere il 100% reale. Il mondo che ci circonda si sviluppa rapidamente e si deve lavorare al meglio per trovarsi meritatamente al suo interno.
  5. Ogni azione deve essere inquadrata con il posizionamento del marchio personale. Un atleta che ha visibilità globale deve porre attenzione a qualsiasi azione personale, dato che questa è rilevante per il posizionamento del suo marchio, costruito attorno alla sua personalità e convinzioni individuali, in modo che il cambio risulti naturale nei momenti di crisi.

I MARCHI PERSONALI DEI TENNISTI

Al fine di riscontrare le caratteristiche sopra descritte è stata condotta una piccola ricerca empirica sui siti personali e sulle iniziative filantropiche dei Fab Four. Di seguito sono riassunte le loro vendite in relazione alle loro fondazioni o accademie:

Pur non disponendo di una fondazione o di una collezione di abbigliamento con il marchio personale, Sir Andrew Barron Murray è coinvolto in differenti iniziative filantropiche. Tanto Murray quanto Djokovic hanno icone di connessione a Sina Weibo, un sito di microblogging cinese, che di fatto è un ibrido fra Twitter e Facebook, ed è uno dei siti più frequentati in Cina. L’approccio numerico di Djokovic con i social è peraltro molto originale, dato che nel suo sito è presente un contatore che somma tutti i suoi tifosi sparpagliati per i vari canali social, riportando gli ultimi tweet:

La concezione di Nadal della relazione con i suoi fans è invece più tradizionale, annoverando una sorta di bacheca virtuale con numerose foto scattate in compagnia dei suoi devoti seguaci. Sulla stessa linea di Nadal troviamo Federer, che usa i canali classici, ovvero FB, Instagram e Twitter, con una galleria di foto storiche degli incontri disputati nelle sue stagioni da professionista. Ricordiamo comunque che anche altri tennisti come Stan Wawrinka, Stefanos Tsitsipas, Marco Cecchinato, e più recentemente Jannik Sinner (come riportato da Ubitennis), hanno optato per la costruzione di un marchio personale, con la finalità di migliorare la strategia di comunicazione e marketing.

CONCLUSIONI

Perché il personal branding sta diventando sempre più comune? Se guardiamo a chi è già in possesso di un marchio, la risposta è strettamente legata al business dello sport professionistico ed è semplicemente la capacità di un atleta di generare un ritorno dalla propria immagine. Analizzando il concetto con spirito critico e tenendo a mente l’obiettivo di massimizzazione delle entrate monetarie per uno sportivo durante la sua breve carriera, ci sono tre motivazioni alla base nella costruzione di un “marchio personale sportivo” che sono:

  • Efficienza
  • Paura e rilevanza
  • Livello di importanza, che cambierà a seconda di dove si trova un atleta professionista nella sua carriera.

Se a inizio o a metà carriera un marchio personale o un logo di supporto sono forme di coinvolgimento efficiente di aziende sponsorizzatrici, perché si indicano i valori che un atleta possiede e che un marchio potrebbe sfruttare attraverso l’affiliazione, man mano che lo sportivo si avvia verso il crepuscolo della sua carriera professionistica, la motivazione diventa paura e rilevanza o, più precisamente, la paura di non essere più rilevanti.

Le capacità dell’atleta professionista stabiliranno naturalmente un certo posizionamento nella mente degli stakeholders, ma coltivare attivamente nel tempo un posizionamento, derivato da questa capacità, è un’impresa strategica che richiede non solo un cambiamento nella mentalità di un individuo, ma, soprattutto, un cambiamento nella cultura manageriale per incoraggiare gli sportivi a pensare a lungo termine e oltre l’immediatezza della loro abilità fisica.

Coltivare il benessere mentale e fisico di uno sportivo professionista è il lavoro di un manager o un allenatore, ma quando si tratta di pensare al dopo molti atleti sono tristemente impreparati. Un atleta ritirato proverrà da un mondo dove tutto ruota attorno a lui e approderà a un altro in cui rapidamente perde attenzioni. Pertanto, un forte riconoscimento del marchio produrrà opportunità per gli atleti durante la loro carriera, e una volta che avranno smesso di giocare l’efficacia con cui hanno definito, posizionato e costruito la loro immagine e i loro valori avrà un impatto sulle loro prospettive future. Se rinviano troppo la anzidetta definizione del loro marchio, la mancanza di rilevanza che temono così tanto minerà il valore che offrono alla società, in cui distinguersi richiede ben altro che un logo.


Le fonti web consultate per questo articolo includono: 
How to develop an athlete’s personal brand – 2018
Personal Branding; it’s more than just a logo – 2018
Sport Marketing & Storytelling di Ferdinando Scognamiglio Capitoli 1 e 2 – 2018

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