La favola di Matteo (Crivelli). Berrettini sei un mito (Mastroluca). Il braccio di Berrettini non trema: "A Wimbledon tutto è possibile" (Piccardi). Berrettini tra i magnifici quattro, come lui soltanto Pietrangeli (Semeraro). Federer resa amara. È l'ultima recita ai Championships? "Ancora non lo so" (Pierelli)

Rassegna stampa

La favola di Matteo (Crivelli). Berrettini sei un mito (Mastroluca). Il braccio di Berrettini non trema: “A Wimbledon tutto è possibile” (Piccardi). Berrettini tra i magnifici quattro, come lui soltanto Pietrangeli (Semeraro). Federer resa amara. È l’ultima recita ai Championships? “Ancora non lo so” (Pierelli)

La rassegna stampa di giovedì 8 luglio 2021

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La favola di Matteo (Riccardo Crivelli, Gazzetta dello Sport)

È tutto un equilibrio sopra la follia. Nel tempio scorazza un gigante colorato d’azzurro. Si chiama Matteo Berrettini e la storia da ieri sera gli riserverà una pagina speciale del suo romanzo eterno: «Questa è una cosa da pazzi». Perche per 61 anni, che nello sport rappresentano praticamente un’era geologica, immaginare un italiano nelle semifinali dei Championships, lo Slam più affascinante e al contempo più ostico, assomigliava al desiderio insano di un visionario. E invece Nicola Pietrangeli, che compì l’impresa nel 1960 prima di fermarsi contro il meraviglioso Rod Laver, adesso non è più da solo. Raggiunto da un ragazzo partito da lontano, senza le stimmate del predestinato ma capace, con il lavoro e íl sacrificio e una feroce volontà di migliorare e imparare, di scalare passo dopo passo le pareti impervie del paradiso, fino a sognare una domenica tutta tricolore tra Wimbledon e Wembley. In mezzo domani, ci sarà un incrocio certamente non banale contro il polacco Hurkacz, giustiziere di ciò che è rimasto di Federer, però questi dieci giorni sui prati più sacri ci hanno consegnato fin qui un profeta sul quale riversare una fede assoluta.

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Che risposta Berrettini, invece, lucida una volta di più il blasone del rinascimento azzurro, conquistando la seconda semifinale Slam della carriera dopo gli Us Open 2019, ma lo fa con una consapevolezza ben diversa rispetto a quei giorni e con ambizioni ormai conclamate. Se la sfida contro l’amico Auger-Aliassime doveva costituire il momento della verità, l’esame finalmente decisivo per misurare il valore e lo spessore del numero 9 del mondo in coda a quattro turni teneri, la risposta è stata debordante. Perché Berretto, più che con il gioco, altalenante come era prevedibile di fronte al peso psicologico dell’evento, la conduce dalla sua parte con la personalità maturata in questi due anni di frequentazione dell’aria rarefatta dell’alta classifica. Partito con il turbo, tanto che dopo 20 minuti è già sopra 5-1, l’allievo di Santopadre si incarta quando deve chiudere il primo set, si fa strappare uno dei due break guadagnati e nonostante l’esito felice del parziale rimette in fiducia il canadese. Che poi, per tutto il secondo set e fino al 5-5 del terzo, è il miglior interprete della partita, perché serve meglio e riesce a comandare sulla diagonale di sinistra, quella più delicata per l’azzurro, poco incisivo nei suoi turni di battuta e quindi obbligato a sopportare troppi scambi prolungati. Ma nel 12′ game del terzo parziale, con due errori sanguinosi tra cui un doppio fallo, Felix consegna le chiavi della semifinale all’avversario, uscendo sostanzialmente dal campo nel quarto set, mentre Berrettini ritrova d’incanto il servizio e soprattutto il velenoso back di rovescio. Dopo 3 ore e 4 minuti, una pagina memorabile del nostro tennis è scritta, e Matteo si inginocchia quasi sull’erba in una sorta di preghiera augurale verso lidi leggendari: «Sono particolarmente fiero di me, ho vinto una partita nella quale per lunghi tratto il mio rivale mi ha sovrastato e a me non riusciva nulla di quello che mi serviva. Eppure sono rimasto li, attaccato alla sfida, senza farmi travolgere dalle sensazioni negative e quando il momento è tomato dalla mia parte sono stato bravo a sfruttarlo. Non era facile giocare contro Felix, è davvero un amico e ci conosciamo molto bene. Non so se sono mai stato così continuo, cerco però di vincere tutte le partite. Stavolta il livello non era così importante, contava il successo».

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Ma il desiderio di una fenomenale rivincita contro Federer dopo la dura lezione di due anni fa è evaporato con la mesta eliminazione del Divino per mano di un Hurkacz perfetto: «Sicuramente sfidare Roger sul Centrale avrebbe avuto un’altra mistica, ho visto il risultato sul tabellone e non nego che mi abbia un po’ deconcentrato. Ma Hubert ha battuto Sinner a Miami, sarà un avversario pericoloso, si adatta benissimo alle superfici veloci ed è in grande fiducia: come puoi sottovalutare uno che ha battuto prima Medvedev e poi Roger?». Per la sesta volta nel torneo, però, Matteo affronterà un giocatore che gli sta dietro in classifica: «Rispetto alla semifinale degli Us Open del 2019, sono molto più consapevole dei miei mezzi, so di essere migliorato molto come giocatore e come uomo. Per questo, alla fine, che ci fosse Federer o Hurkacz non avrebbe cambiato le mie prospettive. lo non mi voglio fermare qui».

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Berrettini sei un mito (Alessandro Mastroluca, Corriere dello Sport)

Sorride e allarga le braccia, Matteo Berrettini. Abbraccia tutto il pubblico del Campo 1 di Wimbledon, tutti i tifosi che dall’Italia hanno trepidato per lui come per la Nazionale di Mancini impegnata nella semifinale dell’Europeo nel vicino stadio di Wembley. Berrettini è entrato nella storia del tennis italiano. L’ha fatto dalla porta principale, con una prestazione da campione capace di rendere al meglio con i suoi colpi migliori, nei momenti che decidono il destino. Il romano ha sconfitto Felix Auger-Aliassime 6-3 5-7 7-5 6-3

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Contava di più la presenza scenica, e in questo Berrettini si è rivelato superiore al ventenne canadese con cui ha stretto i rapporti anche perché le rispettive fidanzate sono cugine tra loro. L’IMPRESA. Berrettini ha iniziato il match alla sua maniera: servizi potenti, variazioni, scambi rapidi. Gradualmente, però, Auger-Aliassime gli è entrato sotto pelle. Nel secondo set, è salito anche molto con il servizio mentre l’azzurro otteneva meno punti con la prima e in risposta rispetto alle quattro partite precedenti. Per tutto il terzo set, la tensione si avvertiva a ogni colpo, a ogni game.

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Berrettini ha chiuso il match con 12 ace e 33 vincenti complessivi, e la sicurezza di chi si conosce bene. SORPRESA HURKACZ. In semifinale incontrerà la sorpresa della giornata, il polacco Hubert Hurkacz chi in uno degli esempi fulgidi della totale imprevedibilità del tennis e della vita ha sconfitto 6-3 7-6(4) 6-0 Roger Federer, che ha abbandonato lo stadio dove ha celebrato otto trionfi accompagnato da un’ovazione simile a un ultimo omaggio alla memoria. Il polacco non aveva mai superato il terzo turno negli Slam prima di questo torneo. Qui ha realizzato il sogno di piegare il suo idolo sul Centrale di Wimbledon, rifilandogli anche il terzo 0-6 nei major, il primo a Wimbledon dopo quelli incassati contro l’australiano Pat Rafter nel 1999 e Rafa Nadal nel 2008, sempre al Roland Garros. Hurkacz, numero 18 del mondo, è il quarto polacco (uomo-o donna) in semifinale WIMBLEDON. Dopo la partita, Federer ha smentito propositi di ritiro immediati. «Durante la riabilitazione, dopo gli interventi al ginocchio, Wimbledon era il mio obiettivo – ha spiegato – ora che è finito, devo ripensare tutto. Ne parlerò col mio team, capiremo cosa ha funzionato e cosa no. Ho fatto fatica, è vero, quando le cose si sono messe male contro Auger-Aliassime a Halle e Hurkacz qui, ma sapevo che sarebbe stata dura. Dobbiamo prendere la giusta decisione, ma la mia volontà è naturalmente di giocare ancora»

Il braccio di Berrettini non trema: “A Wimbledon tutto è possibile” (Gaia Piccardi, Corriere della Sera)

Perdiamo il maestro, però guadagniamo un erede: Nick Pietrangeli, sconfitto sull’erbetta vintage di Church Road da Rod Laver nel 1960, non è più solo. Sessantuno anni dopo, nell’era del cinghiale bianco Federer abbattuto dalla gioventù del polacco Hubi Hurkacz (24 anni contro 40), Matteo Berrettini è il canguro’ del Nuovo Salario (Roma) che si prende la seconda semifinale Slam della carriera (Us Open 2019) e un po’ di storia. Servono quattro set di passione con l’amico canadese Felix Auger-Aliassime per convincersi che l’impresa è possibile, che dodici lustri abbondanti non sono passati invano: «Mi sento pieno di fiducia, ho vinto non giocando il mio miglior tennis. Ora, a Wimbledon, tutto è possibile». Mentre sul prato centrale Hurkacz commette il reato di vilipendio della bandiera rifilando a un Federer crepuscolare 6-0 al terzo set

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Matteo comincia come meglio non potrebbe la sua avventura con il n.19 del ranking, già sconfitto sul verde di Stoccarda nel 2019, quando l’azzurro era un progetto del campione che è oggi. Non c’è nulla del gioco di Auger-Aliassime che Berrettini possa temere, non la diagonale di rovescio, non il servizio, non i cambi di ritmo che il canadese non porta in dote. Eppure, dopo un primo set scarno ed essenziale (6-3), vuoto di scambi per non dare energia al palleggio del rivale, l’azzurro si trascina nel secondo qualche dubbio che inceppa la macchina perfetta Berrettini facendo sembrare l’altro, il giovane Felix (2o anni), un battitore con la nitroglicerina nel braccio (7-5 per il canadese). A quel punto, rianimato dagli sguardi della fidanzata Ajla in tribuna, Matteo torna solido al servizio

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Il resto del match è poco più di una formalità (6-3) che ci lascia il piacere di assaporare la vittoria storica di un altro italiano, oltre alla compagnia dei celestini di Roberto Mancini, capace di far parlare bene di noi a Londra e nel mondo, perché Wimbledon lo conoscono anche le tribù della Papuasia: «Sono fiero di me, ho ingoiato bocconi amari ma ne sono uscito più forte». Avevamo accarezzato il sogno di un Berrettini-Federer, domani sul centrale dopo Djokovic-Shapovalov, l’altra semifinale, rivincita della lezione del 2019, finita con Matteo che ringraziava a rete il maestro («Per me sarà sempre un gigante») ancora sfolgorante (sarebbe arrivato in finale con il Djoker sperperando due match point sul suo servizio, molti fanno risalire l’inzio della fine a quell’ordalia mai digerita, ma questa è un’altra storia). Invece tra Matteo e la finale di Wimbledon c’è un simpatico pennellone di Wroclaw, Hurkacz, che già ci aveva dato un dispiacere lo scorso aprile battendo Jannik Sinner nella finale del Master l000 di Miami.

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Berrettini tra i magnifici quattro, come lui soltanto Pietrangeli (Stefano Semeraro, La Stampa)

Sull’ace che ha chiuso la partita sono scoppiati tutti a ridere: Matteo Berrettini, con le braccia alzate, la fidanzata Ajla Tomljanovic in tribuna, persino il suo avversario Felix Auger-Aliassime dall’altra parte del campo. Spiegazione: non era un ace, la sassata di Matteo aveva sfiorato il net. Il tempo di giocare un altro punto, però, e la partita è finita davvero. La conferma, come ha titolato ieri l’Equipe parlando dell’Italia del calcio, che la storia la si può scrivere anche «in allegria». Dunque godiamocela, sorridiamo, abbracciamoci, concediamoci un carosello privato suonando il clacson dei sogni: sessantuno anni dopo Pietrangeli c’è di nuovo un azzurro in semifinale a Wimbledon. Solo a scriverlo fa strano, ma l’impressione è che dovremo abituarci. Non è ancora finale, certo; di mezzo domani c’è il polacco Hubert Hurkacz, il n. 18 del mondo che a febbraio ha battuto Jannik Sinner nella finale di Miami e ieri ha spento l’ultima illusione di Federer. Ma guardando bene, da Wimbledon in lontananza si vede l’arco di Wembley. Di essere l’italiano più erbivoro di sempre, Matteo, l’unico ad aver vinto due tornei pro sul verde e in striscia vincente da dieci match dopo il trionfo al Queen’s, lo ha dimostrato anche ieri, nei quattro set prima facili, poi dannatamente nervosi, alla fine trionfali che gli sono serviti per spostare fuori dal Centre Court il carissimo amico, quasi parente Felix (a gennaio in Australia hanno passato insieme le due settimane di quarantena, le loro fidanzate sono cugine).

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In campo è uscito con la furia di Chiesa; poi si è incartato sul 5-2 del primo set, vincendolo dopo aver ceduto uno dei break ma lasciandosifessurare dalle risposte del canadese e dalla paura di vincere. Nel secondo set è sceso all’inferno, nel terzo e nel quarto ne è uscito usando gli appigli di sempre, servizio – uno dei più temibili del circuito – e diritto.

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Mancano due match all’impensabile, comunque vada abbiamo un grande giocatore. Un top-10 con il bollino verde, che alla prima semifinale Slam, nel 2019 a New York, era arrivato a fari spenti, mentre questa se l’è conquistata da testa di serie numero 7, vincendo tutte le partite che era “obbligato” a vincere e silenziando anche i fantasmi che abitano questi campi.

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Federer resa amara. È l’ultima recita ai Championships? “Ancora non lo so” (Matteo Pierelli, Gazzetta dello Sport)

È un semplice arrivederci o un addio nel posto dove ha scritto buona parte della sua leggenda? «Non lo so, non lo so davvero» risponde a bassa voce il campionissimo. Ma Roger Federer che esce a testa china dal Centrale che tante volte ha applaudito i suoi gesti nobili, dopo aver preso un 6-0 (prima volta a Wimbledon, terza in uno Slam) contro Hurkacz, è un’immagine forte.

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Non è tanto la sconfitta, ma il modo in cui è arrivata che preoccupa gli sterminati tifosi del Divino. Erano 19 anni, dal 2002 contro Mario Ancic, che lo svizzero, trionfatore otto volte sui prati più prestigiosi, non perdeva in tre set a Wimbledon un match che contro Hurkacz è stato senza storia.

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Eppure nel secondo set si è trovato in vantaggio 4-1. Poi, quasi all’improvviso, è sceso il buio. Nel tie-break, sul 3-2 per Hurkacz, Roger si costruisce un gran punto ma al momento di chiudere a rete una volee elementare scivola e butta tutto all’aria: l’emblema di quella che è stata la giornata di ieri. L’ultima a Wimbledon? «Non lo so davvero se è stata la mia ultima sul Centrale – ha detto ancora il 20 volte vincitore di Slam -. A tutto ciò che avverrà dopo Wimbledon penserò nei prossimi giorni. Dopo quello che ho passato sono molto contento di essere arrivato fino a qui, anche se deluso per come ho giocato con Hurkacz che è stato nettamente il migliore in campo.

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Cosi, l’Olimpiade, che si gioca al meglio dei tre set e non dei cinque come negli Slam, potrebbe essere un obiettivo più alla portata del Divino che tra l’altro ai Giochi non ha mal vinto l’oro in singolare (fu argento a Londra 2012), ma “solo” in doppio (insieme con Wawrinka) a Pechino 2008. «Non ho preso una decisione nemmeno per le Olimpiadi – ha detto ancora Roger -. Adesso mi prenderò un paio di giorni e poi vedrb cosa fare. Devo vedere cosa ha funzionato e cosa no, come va il ginocchio e altro. Nel mio tennis mancano tante cose che 10,15, 20 anni fa mi venivano semplici e naturali e ora no. Il mio obiettivo è sempre stato quello di tomare a giocare un altro Wimbledon. Sono riuscito a farcela quest’anno. E per questo sono davvero felice. Ma ora devo prendermi del tempo, senza fretta, e poi decidere. Il ritiro immediato comunque non è un’opzione: l’obiettivo è giocare ancora». Sospiro di sollievo.

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