Riprovaci Matteo (Crivelli). Attacco sul dritto, lì Djokovic è più fragile (Mastroluca). Berrettini non ha paura del Djoker: "Adesso so di poterlo battere" (Piccardi). C'è Djokovic, riprovaci ancora Matteo. Berrettini sente l'ora dell'impresa (Semeraro)

Rassegna stampa

Riprovaci Matteo (Crivelli). Attacco sul dritto, lì Djokovic è più fragile (Mastroluca). Berrettini non ha paura del Djoker: “Adesso so di poterlo battere” (Piccardi). C’è Djokovic, riprovaci ancora Matteo. Berrettini sente l’ora dell’impresa (Semeraro)

La rassegna stampa di mercoledì 8 settembre 2021

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Riprovaci Matteo (Riccardo Crivelli, Gazzetta dello Sport)

Ancora tu, non ci sorprende lo sai. Il terzo incontro al vertice del 2021 tra Djokovic e Berrettini avrà come scenario ancora uno Slam: dopo i quarti di Parigi e la storica finale di Wimbledon, con due vittorie di Novak, ecco i quarti degli Us Open, quando in Italia sarà già notte inoltrata. La loro è la sfida dell’anno nel Major. Ovvio: i campionissimi sono abituati a frequentare le praterie delle divinità ed è li che regolano i loro conti da fenomeni. E Matteo appartiene ormai al circolo ristretto dei top player capaci di marchiare gli albi d’oro dei quattro tornei più importanti, come hanno certificato i Championships di luglio seppur nella sconfitta. Al 15′ Slam in carriera, Berretto ha già raggiunto la seconda settimana in sette occasioni e per quattro volte si è spinto almeno ai quarti, e dunque che possa incrociare, da testa di serie numero 6, il più forte giocatore del mondo nelle fasi più calde rappresenta una piacevole normalità e la conferma di una continuità a livelli elevatissimi.

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Djokovic, infatti, è a tre partite dal Grande Slam e Matteo costituisce il primo, vero crash test sul percorso dell’impresa più mitologica del tennis, anche se il numero uno negli ottavi ha impiegato un’ora per venire a capo del ritmo forsennato del giovane yankee Brooksby, prima di allungare deciso Pure Berretto, nel torneo, ha brillato solo a sprazzi, ma il suo motore diesel è pronto a scaldarsi a dovere. E poi c’è un altro atout importante da cui attingere: «Contro Novak ho giocato su tutte le superfici e ogni volta, malgrado le sconfitte, ho imparato qualcosa. Sicuramente conosco abbastanza quello che gli piace fare e lui conosce me. Ma dal punto di vista mentale penso di aver fatto uno scatto in più: quello di credere ancora di più in quello che so fare e dunque di poterlo battere. Lui è il giocatore più forte del mondo però l’ho messo in difficoltà nelle due partite di quest’anno e dunque devo avere fiducia». Lievitata di pari passo con la consapevolezza che le scorie dell’infortunio alla gamba sinistra siano ormai alle spalle: «All’inizio del torneo non ero sicuro al 100% di poter giocare quattro, cinque set con l’intensità di questi primi quattro turni. Infatti in uno degli allenamenti prima del torneo sono rimasto in campo per tre ore e con coach Santopadre cl eravamo detti che era importante fare una cosa del genere. Inoltre quel giorno c’era un’umidità pazzesca. Mi sono forzato di stare in campo perché sapevo che avrebbe potuto accadere di giocare match tirati; poi la tensione del match è sempre diversa da gestire. Comunque mi sento bene e in forma».

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Apparentemente, il traguardo che si avvicina non sta cambiando l’approccio del Djoker: «La pressione è quella che mi metto da quando sono diventato un tennista professionista, ma non può essere un’ossessione. Il tennis è uno sport tale che devi davvero voltare pagina il giorno dopo. Hai finito con questo torneo e ti chiedi quale sarà il prossimo, quale sarà la prossima sfida, íl prossimo obiettivo che devi raggiungere e dove stai andando. Non hai molto tempo ed energie per riflettere su tutto quello che hai passato. Certo, apprezzo ogni singolo passo del viaggio. Un giorno, ovviamente, quando non giocherò più, probabilmente avrò una prospettiva un po’ più ampia sulle cose e capirò un po’ meglio quello che ho passato». Ma coach Ivanisevic lo vuole concentrato sul presente: «Farà il Grande Slam, perché più la tensione sale e più gioca meglio». La parola a Berretto.

Attacco sul dritto, lì Djokovic è più fragile (Alessandro Mastroluca, Corriere dello Sport)

“Prima ti prende le gambe, poi l’anima». È sintetico ma puntuale il ritratto che Andy Roddick ex numero 1 del mondo e ultimo statunitense ad aver vinto lo US Open, ha tracciato di Novak Djokovic.

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Nel teatro dell’ultimo Slam della stagione, poi, non ha mai perso un quarto di finale. Giocherà il suo dodicesimo in carriera contro Matteo Berrettini, che gli ha tolto un set negli ultimi due confronti diretti, il quarto del Roland Garros e la finale di Wimbledon, la prima di sempre per un italiano.

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al suo servizio Djokovic riesce a rispondere con più frequenza e costanza. Sarà determinante la percentuale e lïnprevedibilità delle prime di servizio di Matteo, che gli possono consentire di giocare con più tranquillità il diritto pesante come colpo successivo. Il serbo, infatti, è il giocatore che più di chiunque si è dimostrato in grado non solo di neutralizzare le sue prime a 200 chilometri orari e oltre, ma anche di indirizzare la risposta verso l’angolo sinistro, fuori dalla zona di sicurezza del numero 1 azzurro.

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Perché più lo scambio si allunga, più aumentano le possibilità di Djokovic di orientarlo a suo favore anche attraverso gli improvvisi cambi in lungolinea, a cui ricorre in misura maggiore rispetto a quanto si vede in media allo US Open. Da questo punto di vista, il romano non è mai riuscito a sfidarlo alla pari con il lungolinea di rovescio a Wimbledon. A New York può tentare un’altra strada, esplorata solo in parte benché con successo, ai Championships. L’italiano ha infatti messo maggiormente in difficoltà il numero 1 del mondo quando l’ha attaccato subito, con i primi colpi, sul diritto. Il serbo infatti si difende e contrattacca meglio se aggredito sul rovescio. PENSARE FUORI DALLE RIGIE. A NewYork, il nuovo numero 7 del mondo (secondo miglior italiano nel ranking ATP dal 1973) potrà provare a giocare con lo spazio a suo favore. Non tanto quello interna al campo, quanto quello esterno. Gli “out” dell’Arthur Ashe Stadium, infatti, sono più stretti rispetto ai campi centrali degli akri Slam, e soprattutto sui due lati lunghi non sono simmetrici. Dunque un attacco più stretto, un colpo giocato più corto ma angolato, è più efficace perché l’avversario ha meno tempo per reagire. Berrettini dovrà provare ad essere prcxlatoreper non farsi prendere alle gambe.

Berrettini non ha paura del Djoker: “Adesso so di poterlo battere” (Gaia Piccardi, Corriere della Sera)

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Matteo Berrettini, da lunedì numero 7 del mondo, stanotte a New York tenta il revival dell’impresa riuscita a Roberta Vinci nel 2015: frapporsi tra il miglior tennista dell’orbe terracqueo (quella volta era Serena Williams) e la conquista del Grande Slam. Diventare, cioè, la nemesi di una storia già scritta, l’indelebile macchia azzurra sul capolavoro annunciato. Ecco perché solo Roberta Vinci, oggi talent di Eurosport spesso al microfono quando in campo c’è il romano, può leggere Berrettini-Djokovic, sfida dei quarti dell’Open Usa. «Matteo ha più possibilità di battere il serbo di quante non ne avessi io di battere Serena — è il parere dell’ex numero 7 del ranking —. lo ero sfavorita, Matteo ormai è nell’elite del tennis; io ero lì per congiuntura divina, non avevo avuto un briciolo della sua costanza durante la stagione». Ottavi a Melbourne, quarti a Parigi, finale a Londra, quarti a New York: «Mi sento al livello di Tsitsipas e Zverev, e loro lo sanno» ha detto l’azzurro dopo la vittoria sul bielorusso Ivashka. Più la consapevolezza di essere un finalista Slam: «È scolpita dentro di me». E in uno sport di situazioni gestite dalla testa come il tennis, questa certezza è l’architrave su cui costruire le missioni impossibili. Berrettini per strada ha perso quattro set, però non è stato impeccabile nemmeno Djokovic, impegnato dai giovanissimi (Rune e Brooksby) e dal veterano Nishikori:

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La convinzione di potercela fare può anche nascere strada facendo, come capitò alla Vinci con Serena («Partii malissimo, facendomi prendere a pallate nel primo set, ma poi mi sono detta: io qui non ci sono arrivata per caso, vediamo se mi offre uno spiraglio. E quello spiraglio è arrivato»), il nuovo Berrettini sa reagire ai passaggi a vuoto, scuotersi («Tre set su cinque hai tutto il tempo di riprenderti»), sopperire con l’ace al doppio fallo: «Mi piace il suo atteggiamento a New York, non si demoralizza mai. Mostra tutta la sua forza interiore senza mai essere arrogante o presuntuoso». La forza esteriore arriva dal clan: coach Santopadre, che lo conosce come le sue tasche, la fidanzata Ajla, insomma la squadra fortunata della bolla di Wimbledon. Ma come si affronta il numero uno del mondo, il satanasso che ti ha già battuto tre volte su tre, concedendoti al massimo un set (il terzo a Parigi, il primo a Londra)? «Matteo dovrà servire senza sbavature contro il miglior ribattitore del circuito, salire di qualità con il rovescio, non solo quello in back, uscire dalla diagonale dove Djokovic lo inchioderà. Ma prima di chiedergli di giocare il rovescio, e trovare il rovescio di Matteo non è facile perché sa spostarsi molto bene, gli stuzzicherà il dritto. È con quel colpo che dovrà fare la differenza. Senza inventarsi nulla: solido nelle sue armi, sereno, positivo».

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C’è Djokovic, riprovaci ancora Matteo. Berrettini sente l’ora dell’impresa (Stefano Semeraro, La Stampa)

Corne nelle mappe degli antichi, anche sulla cartina degli Slam inevitabilmente arriva il territorio pericoloso su cui campeggia la scritta: Hic est Djokovic. Qui c’è il numero uno del mondo, qui cambia tutto, l’orografia della tensione e il sentiero delle strategie possibili. Che diventa sottile come un tratto di penna. Matteo Berrettini, il numero 1 del mondo e il Più Grande di sempre in fieri – in caccia del terzo Grande Slam maschile della storia – lo ha già incrociato tre volte: nel 2019 alle Finals, quest’anno nei quarti del Roland Garros e in finale a Wimbledon. Una batosta e due mezze maratone, ormai un classico in progress. Stasera si replica, nei quarti degli Us Open, il torneo che il Djoker ha vinto tre volte e nel quale Matteo è arrivato una volta in semifinale. Ma non si recita più a soggetto. «Ci ho giocato su tutte le superfici, indoor e non indoor – dice Berrettini – sicuramente so come ama giocare lui, e lui conosce me; anzi penso lui mi conosca meglio, visto che mi ha sempre battuto. Ma dal punto di vista mentale credo di aver fatto uno scatto in più: adesso so di poterlo battere. Perché le ultime volte che ci siamo incontrati l’ho messo in difficoltà».

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Un rendimento da top ten non casuale – oggi è numero 8 – non uno sparo nel buio. Finora a New York non si sono visti né il miglior Djokovic né il miglior Berrettini. Arrivare nei quarti di uno Slam però è come scollinare, si cambia valle, ci si prepara alla volata. Il Nole degli ultimi mesi è un Diesel spietato, parte lento e tritura alla distanza, anche il giovane e creativo Brooksby lunedì dopo un set e mezzo di grinta e bollicine si è piantato. «Djokovic prima ti spezza le gambe – dice l’ex n. 1 Andy Roddick – poi ti ruba l’anima». Per quanto riguarda il fisico Berretta, costretto a saltare i Giochi di Tokyo da un infortunio alla coscia, manda segnali rassicuranti. Specie dopo i quattro set asportati al tedesco Otte.

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Restano gli inganni del Diavolo. «Matteo è il Martello del tennis – dice Nole -. Insieme con Del Potro è forse quello che colpisce più forte diritto e servizio. Se è in giornata alla battuta, è letale su tutte le superfici. Abbiamo avuto un paio di match combattuti a Parigi e Wimbledon, e spero che questo finisca come quelli…». Smentirlo sarebbe un colpaccio epocale. Sulla diagonale del rovescio Matteo rischia di perdere il senno, come esorcismi dovrà usare servizio, diritto e drop shot.

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