Paula Badosa, crisi e successo - Pagina 4 di 4

Al femminile

Paula Badosa, crisi e successo

La vincitrice del torneo di Indian Wells 2021 prima di affermarsi ad alti livelli ha vissuto lunghe stagioni piene di difficoltà

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Paula Badosa - WTA Indian Wells 2021 (via Twitter, @BNPPARIBASOPEN)
 

Tecnicamente Badosa è una tipica giocatrice del tennis di oggi. Grazie anche al suo 1,80 di altezza (secondo la scheda WTA, forse un po’ generosa) propone un gioco di pressione da fondo campo quasi del tutto simmetrico, senza cioè particolari squilibri di rendimento fra il lato del dritto e quello del rovescio.

La prima di servizio è potente, vicina ai 200 km/h, mentre ha margini di miglioramento nelle battute più lavorate. Penso sia da consolidare anche il rendimento sulla seconda, anche se i doppi falli che a volte la affliggono sono più dettati da tensione nervosa che da particolari lacune tecniche.

Dopo il sorprendente esordio a Miami 2015, poi rafforzato del successo al Roland Garros 2016 junior, mi era rimasto l’interesse per le sue potenzialità, e quindi in passato mi era capitato di seguirla in alcuni match durante le sue stagioni più difficili. Ebbene, a mio avviso il maggiore progresso rispetto ad allora deriva dalla mobilità. Paula ha compiuto fondamentali miglioramenti nella velocità di avvicinamento alla palla e nella rapidità di coordinazione. Di conseguenza è cresciuta nelle fasi in cui ha il controllo dello scambio, ma forse ancora di più nelle fasi in cui è costretta a difendere; un ambito di gioco nella quale era abbastanza deficitaria nei suoi inizi da professionista.

Durante lo scambio si affida quasi sempre a dritti e rovesci in topspin. Altri colpi, come quelli in back, o le variazioni sulla verticale (sia sotto forma di discese a rete, che di palle corte) sono piuttosto rari. E visto che fa ricorso a un ventaglio di colpi abbastanza limitato, è difficile per Badosa proporre particolari alchimie tattiche nella costruzione del punto.

Ricordo però che stiamo parlando di una giocatrice che, a dispetto dell’età (compirà 24 anni il 15 novembre), è da poco sui grandi palcoscenici WTA, ed è quindi prematuro considerarla una tennista del tutto “fatta e finita”. Certo, nel circuito di oggi ci sono giocatrici più creative di lei, però credo le vada concesso il tempo di esprimersi per alcune stagioni prima di arrivare a criticarla per questo.

Del resto: chi ci dice che non possa migliorare ancora? Cito un aspetto. Ho già parlato dei suoi progressi per quanto riguarda la mobilità. Ecco, secondo me ultimamente è migliorata in un elemento affine: nella lettura del gioco altrui. Affine perché, di fronte alle parabole avversarie, è utilissimo essere rapide e reattive atleticamente; però non è meno utile essere rapide mentalmente. Significa cioè saper intuire con una frazione di secondo di anticipo le intenzioni di chi si fronteggia.

Per esempio questa è una dote che ha contribuito a rendere Caroline Wozniacki la fenomenale tennista di difesa che tutti conosciamo. Ricordo che Caroline sul piano atletico era super-resistente, ma non era altrettanto scattante sul breve: eppure quasi mai le sfuggiva qualche parabola, proprio perché sapeva muoversi con un istante di anticipo nella direzione giusta.

Altro aspetto a favore di Badosa. Nelle partite vincenti di Indian Wells ha dimostrato di essere in grado di misurarsi contro qualsiasi genere di avversaria. Ha sconfitto sei giocatrici molto diverse fra loro: Yastremska, Gauff, Krejcikova, Kerber, Jabeur, Azarenka. È passata da una tennista super offensiva come Yastremska a una fortissima in difesa come Kerber. E poi da una tennista dalla raffinata intelligenza geometrica come Krejcikova a una dall’atletismo superiore come Gauff.

Infine nei due turni conclusivi è stata capace di superare prima una delle tenniste più aritmiche e creative sui tempi di gioco come Jabeur, e poi una delle tenniste più capaci di rendere lo scambio sempre più incalzante come Azarenka. Insomma, una serie di avversarie così differenti da sembrare il risultato di una scelta compiuta a tavolino, quasi con intenti “scientifici”, per sondare le capacità di Badosa. E Paula se l’è cavata alla grande.

La finale contro Vika è stata una vera battaglia, durata oltre tre ore di gioco (7-6, 2-6, 7-6). Molti, anche fra i lettori, l’hanno valutata come una delle più belle finali dell’anno, se non la migliore. E lo sostiene anche questo articolo uscito sul sito WTA. Dunque un parere molto diffuso e del tutto legittimo, anche se personalmente la vedo in modo un po’ meno positivo.

Il match mi ha appassionato per l’intensità, per l’equilibrio e per la suspense; ma non mi ha del tutto convinto perché ho avuto la sensazione che la partita si sia decisa più sugli errori che sulle prodezze. Fra le due contendenti non ha prevalso chi nei momenti determinanti ha saputo sfoderare più vincenti, ma a chi ha sbagliato meno. Ma naturalmente posso avere torto.

Del resto, a dispetto di quanto ho detto sopra sulla limitata creatività di Badosa, la partita mi ha colpito per una aspetto tecnico-tattico piuttosto raro. Mi spiego. Badosa ha spesso scelto di giocare al centro, ma lo ha fatto con una tale accuratezza e precisione, da mettere in imbarazzo Azarenka; tanto che in diverse occasioni Vika mi è sembrata incerta se colpire con il dritto e con il rovescio. E questa incertezza le ha fatto perdere istanti preziosi, che sarebbero serviti per preparare il colpo al meglio e caricarlo di più.

Sappiamo che indirizzare al corpo per mettere in crisi l’avversaria è una strategia tipica di chi serve, tanto che il servizio al corpo è un colpo codificato nelle statistiche. Ma è molto meno usuale fare qualcosa di simile durante lo scambio. Ed è ancora meno frequente vedere una tale strategia sviluppata così bene da mettere in difficoltà una tennista molto solida nei fondamentali come Azarenka.

Perché un conto è indirizzare banalmente verso il centro geometrico del campo, un conto è puntare un “bersaglio” mobile come una avversaria che si sposta di volta in volta durante lo scambio. Eppure spesso Badosa è sembrata saper trovare proprio la “zona di conflitto” fra il dritto e il rovescio di Vika. Davvero sorprendente. Insomma, comunque si valuti la finale, abbiamo assistito a un match degno di essere ricordato.

Per chiudere ci sarebbe da affrontare il capitolo sul futuro di Badosa. Sappiamo che ogni giocatrice che raggiunge per la prima volta grandi traguardi cambia di status nel circuito, e di conseguenza cambiano anche le aspettative nei suoi confronti. Così come cambiano le attenzioni della avversarie, che cominciano a dedicarsi allo studio dei punti deboli di una giocatrice che si è dimostrata una concorrente pericolosa.

Per molti aspetti questi discorsi sono più o meno sempre gli stessi, tanto che a volte ho la sensazione di annoiare, ripetendo concetti già espressi in molti articoli già pubblicati. Però nel caso di Paula qualcosa di speciale c’è. Lei non sta vivendo il primo successo da teenager, sull’onda di un entusiasmo che non ha ancora conosciuto il disincanto della sconfitta e del fallimento. No, nel caso di Badosa questi risultati arrivano dopo un lungo periodo di crisi che sicuramente ha inciso sul suo carattere e sul modo di affrontare la professione.

Naturalmente queste specificità non ci aiutano a formulare previsioni più sicure per il futuro. Però, almeno ai miei occhi, aumentano la curiosità nei suoi confronti, perché probabilmente nel tempo Badosa si è costruita una sensibilità particolare per affrontare “trionfo e disastro” e quindi potrebbe misurarsi con questi due impostori partendo da un punto di vista meno usuale. Già la prossima stagione ci dirà qualcosa di più.

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