Che bella l'ItalDavis (Mastroluca, Guerrini, Martucci, Piccardi, Rossi, Semeraro). Galan il vegetariano e un doppio meraviglia. Ecco la sfida colombiana (Crivelli). Sonego: "La partita più bella della vita" (Guerrini). Chiamatelo Jimbo (Azzolini)

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Che bella l’ItalDavis (Mastroluca, Guerrini, Martucci, Piccardi, Rossi, Semeraro). Galan il vegetariano e un doppio meraviglia. Ecco la sfida colombiana (Crivelli). Sonego: “La partita più bella della vita” (Guerrini). Chiamatelo Jimbo (Azzolini)

La rassegna stampa del 27 novembre 2021

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Sonego&Sinner prima da sogno (Alessandro Mastroluca, Il Corriere dello Sport)

Il gran ballo dei debuttanti Lorenzo Sonego e Jannik Sinner alla prima esperienza in Coppa Davis, abbattono i giganti statunitensi Reilly Opelka e John Isner; quattro metri e venti in due. L’Italia a questo punto è la grande favorita per il primo posto nel girone. La musica degli azzurri inizia a suonarla Sonego, l’uomo di casa che coinvolge ed emoziona. Piega 6-3 7-6(4) Reilly Opelka, fallosissimo in campo (27 gratuiti a 3) e nervosissimo dopo la partita. In conferenza stampa, ha risposto a monosillabi a un paio di domande e ha lasciato la sala. Poi è entrato in scena Sinner e in un’oretta ha rifilato a John Isner un 6-2 6-0 da annoverare come la più pesante sconfitta della sua carriera. «È stato bello vedere la commozione negli occhi del mio coach Gipo Arbino»» ha raccontato Sonego, che per tutta la partita ha cercato il pubblico. […] «Ho vissuto il momento più emozionante della mia carriera» ha detto il torinese. Lorenzo, visibilmente più energico, ha preso il controllo della partita già dai primi punti. Nell’ottavo game, poi, ha firmato il break che ha indirizzato il primo set. Aiutato anche da un segnale di buon auspicio, come ha raccontato dopo il match. «Sul 4-3 hanno messo la mia canzone (“Un solo secondo”, incisa con il rapper AlterEdo; ndr), quindi poi è stato più facile fare il break – ha spiegato il torinese, felice dell’impresa – Mi aspettavo dei momenti difficili contro Opelka, che non ti dà ritmo. Ho cercato di farlo muovere, di fare pochi errori. Ci sono riuscito. L’ultimo punto è stato bellissimo, l’atmosfera era incredibile. Il match si è deciso soprattutto sul piano mentale, sono stato bravo a giocare una gara in crescendo». E a limitare a tre i gratuiti contro i 27 dell’avversario. Dopo la gioia, Sonego non dimentica Matteo Berrettini, l’amico che avrebbe voluto essere qui a Torino ma ha lasciato in lacrime il Pala Alpitour una settimana fa. «Mi ha scritto ieri, mi sarebbe piaciuto condividere queste emozioni con lui – ha detto – Spero guarisca presto, si merita di giocare e vivere giornate così. Per me è stato devastante vederlo in quello stato dopo la partita con Zverev. Ci tenevo a giocare la Davis con Matteo. E’ un grande esempio, sto sempre imparando da lui. Ha un atteggiamento diverso dagli altri, è una grande persona». CAPOLAVORO SINNER. Sinner prolunga lo show, anche se con uno stile diverso. Se fosse un attore, sarebbe più Gassman che Proietti: meno mattatore e più essenziale. Eppure capace di scaldare per nettezza di colpi, freddezza di testa, maturità di interpretazione. Giocare in Nazionale gli piace. «Quando ho visto la maglia azzurra mi sono emozionato – ha raccontato – è la più bella con cui abbia giocato quest’anno». Domina la scena contro un avversario che non riesce a stargli dietro e perde cinque volte il servizio. Poi chiude alla Isner con un potente ace esterno da sinistra dopo 62 minuti di monologo. VERSO LA COLOMBIA l’talia ringrazia anche Mardy Fish, alla prima da capitano come Filippo Volandri. «In questo ruolo, posso sbagliare solo a scegliere chi far giocare con chi» diceva alla vigilia. Ha puntato tutto sull’altezza, che però è solo mezza bellezza, e sacrificato un brillante Frances Tiafoe: a posteriori, non una grande idea. Agli azzurri non resta che battere oggi la Colombia per centrare il primo posto nel girone. Il traguardo vale la certezza di disputare anche il quarto di finale in casa al Pala Alpitour il 29 contro la vincente dell’altro girone torinese, con ogni probabilità la Croazia.

Pazzi di loro (Piero Guerrini, Tuttosport)

 

[…] Vola l’Italia dei debuttanti. Verrebbe da dire verso Madrid e le semifinali, ma capitan Volandri, anch’egli esordiente respinge qualsiasi previsione intempestiva. E allora limitiamoci ai voli pindarici. Inneggiando a Lorenzo Sonego e Jannik Sinner. Prima il gioiello costruito in casa, poi il fenomeno Totale: due ore e mezzo di dominio puro e Stati Uniti stracciati sul 2-0. Il quarto di finale ipotecato, Colombia del super doppio Farah-Cabal permettendo. Ma con due singolaristi del genere, uno che si esalta nella pugna e l’altro che dispensa colpi pregiati è difficile immaginare destino diverso per i latino-americani oggi dalle 16 al Pala Alpitour. E se qualcuno nutre dubbi a posteriori sull’effettiva consistenza statunitense e soprattutto sulla scelta dei due giganti d’argilla – Reilly Opelka e John Isner – effettuata dal capitano Mardy Fish, ci pensa lui stesso a chiarire: «Ha pesato la defezione improvvisa di Taylor Fritz. Frances Tiafoe è arrivato in fretta e furia, solo mercoledì. Fritz ci avrebbe permesso di schierare John da n. 2. Ma la verità è che questa Italia avrebbe battuto chiunque». A inquadrare meglio la situazione costribuisce Isner: «Non avevo mai perso 6-2 6-0. Mai così. Sinner sarà presto uno dei primi tre al mondo». Ma primaa di ammirare Sinner caterpillar ci si è potuti gustare la favola realizzata di Sonny. Come a Roma e più che a Roma in semifinale, anzi di più, Lorenzo da Torino si esalta col pubblico, si nutre dell’energia e la trasmette in uno scambio di entusiasmo Opelka è uno che fa male con il servizio, ma se lo sposti o se lo colpisci al corpo (cioè se gli rispondi addosso), fatica a mettersi in moto. Sonego esegue il piano a perfezione nell’arena del suo quartiere. Concede una sola palla break e nell’annullarla inducendo l’hipster Anni 70 a steccare malamente un dritto (perché Opelka quando sbaglia lo fa alla grande), chiude la partita. Spinto dalla sua canzone “Un solo canzone” che risuona nell’amplificatore centra il break subito dopo. Nel secondo set tiene sempre il servizio con comodo, mentre Opelka deve annullare una palla break. […] Jannik poi prende a schiaffi (palLate cioè) Isner, incurante dell’emozione che sostiene di aver provato, «perché qui non giochi per te stesso, ma per un Paese intero. E giochi per una squadra, i tuoi compagni. Hai responsabilità. Quando ho ricevuto maglia azzurra è stata una grande emozione, ho ricordato di quando vedevo la Davis in tv». Non c’è storia col rosso in campo. Fish lo ammette: «Avrò visto 700 incontri di Isner e mai era staio trattato così. Sinner ha un futuro luminoso».Deve pensarlo pure l’organizzatore Piqué che riposta sui social un “football challenge” in cui Jannik incanta palleggiando una palla da tennis coi piedi. Volandri poi sostituisce l’acciaccato Bolelli con il terzo debuttante Lorenzo Musetti in doppio. E la strana coppia con il sempre disponibile Fabio Fognini per un set e oltre funziona benone prima di cedere a Ram-Sock. Impossibile immaginare che la Colombia con il nr.. 111 Daniel Galan contro Sinner e il n. 275 Nicolas Mejia contro turbo Sonego arrivi in equilibrio al doppio. La testa vola a lunedi, al quarto di finale, molto probabilmente contro la Croazia. […] E a questa Italia manca Berrettini. Volandri sottolinea: “È un successo di squadra, per come i ragazzi sono arrivati preparati a fine novembre. Devo ringraziare loro, i coach, i team». Fognini chiosa: «Il capitano è fortunato, avrà una grande squadra per 10 anni. Io sono onorato di esserci». Italia, una famiglia felice.

Che bella l’Italdavis (Vincenzo Martucci, Il Messaggero)

[…] La giovane Italia senza esperienza di coppa Davis, azzera proprio coi due esordienti, Lorenzo Sonego prima e Jannik Sinner subito dopo, altezza e servizio dei due pivot americani, il 2.11 Reilly Opelka e il 2.08 John Isner, facendo apparire facilissimo un successo sulla carta ben più problematico, al Pala Alpitour di Torino, contro avversari vicini in classifica (Sonego numero 27, Opelka 26, Sinner 10, Isner oggi 24, tre anni fa 8), temibili sul veloce indoor. LORENZO IL MAGNIFICO Lorenzo Sonego è magnifico, freddo, col tono di voce sempre pacato, mentre in campo si gasa con la sua canzone “Un solo secondo”, supera l’unica palla break sul 3-3 30-40, carica la gente di casa e vola irresistibile, col 90% di punti con la prima di servizio e tre soli errori non forzati, fino al 6-3 7-6 in un’ora e mezza. «Contro avversari che non danno ritmo come Opelka devi stare sempre concentrato, tutti i punti, un break può decidere il set. Capitan Volandri mi ha aiutato, mi diceva sempre dove dovevo rispondere, io sono stato bravo a gestire le aspettative, a non mettermi pressione, a cercare di godermi il momento più emozionante della carriera davanti agli amici, ai genitori e al maestro Gipo Arbino in lacrime a fine match. Così, in questa squadra di amici coi quali è bello vincere e perdere, insieme, ero rilassato e ho giocato la miglior partita di sempre, io che vivo a 200 metri da qui: sempre aggressivo, l’ho fatto muovere e sono salito sempre più con la risposta», racconta il 26enne di Torino, già protagonista a Roma a maggio dei colpacci contro Monfils, Thiem e Rublev, con lo stop solo con Djokovic in tre set in semifinale, «Il pubblico mi esalta». Sull’1-0, Italia, Sinner spazza via come un ciclone Isner 6-2 6-0 in un’oretta, vendicando il ko di quest’anno a Cincinnati, cancellando i 16 anni fra i suoi 20 anni – più giovane top 60 ATP Tour al numero 10 (il secondo è il 19enne Lorenzo Musetti, 59) – e il veterano. Che è il secondo battitore di sempre con oltre 13mila ace, il servizio già veloce a 253 all’ora e il maratoneta del Tour con le 11 ore 5 minuti a Wimbledon 2010, ma s’inchina: «Jannik è stato semplicemente troppo forte, non c’era molto che potessi fare, ha un talento incredibile ed è un ragazzo molto carino. Non avevo mai perso così netto. Salirà fra i primi 3 del mondo, per la felicità del nostro sport». Come Sonego anche Sinner insiste sulla parola “insieme”. «Siamo una bella squadra, di gente, forte e onesta che si aiuta, siamo in fiducia per i risultati di quest’anno con in più l’esperienza di Fabio e Simone, che sono anche una grande coppia di doppio (ma ieri con Fognini è stato schierato Musetti: hanno lasciato strada in due set a Ram e Sock, ndc). Se ci fosse anche Matteo (Berrettini) saremmo ancora più forti ma possiamo cambiare titolari, siamo tutti sotto il numero 60 del mondo, lo sappiamo, questa dev’essere la mentalità di una squadra: non sottovalutare nessuno perché vincere non è mai facile. Anche contro la Colombia». Che ha due singolaristi numero 111 e 275 del mondo.

E’ già la Davis di Sinner e Sonego. I debuttanti sbranano gli Usa (Gaia Piccardi, Il Corriere della Sera)

[…] I debuttanti, Sonego e Sinner, schiantano la superpotenza Usa ed è un evento pieno di presagi: ogni volta che italiani hanno battuto americani in Coppa Davis, dal lontano 1928 a oggi, è stata finale (1960, 1961, 1998). E pazienza se questo di Torino è più un Campionato del Mondo che una vera insalatiera, il format è cambiato insieme a tempora e mores, inutile rimpiangere il passato, è più divertente vivere il presente. Il 2-0 secco all’ora dell’aperitivo, con il doppio ancora da giocare (debutto con sconfitta di Lorenzo Musetti accanto al senatore Fabio Fognini), era un risultato forse pronosticabile; è il modo in cui l’Italia lo ha ottenuto che stupisce. L’enfant du pays e il barone rosso umiliano i pivottoni Usa senza pietà. A Sonego, sostenuto dal tifo di casa e dalla musica rap da lui stesso incisa, non trema il braccio con Opelka («Ero più felice che teso, la settimana da spettatore alle Atp Finals mi ha caricato tanto e mi ha permesso di vivere con serenità il match di Davis»); Sinner rifila a Isner, veterano del circuito, il punteggio più severo della carriera, ottenendo in cambio la consacrazione: «Jannik diventerà uno dei tre migliori tennisti del ranking, il veloce indoor sarà la sua superficie, il nostro sport con lui è in ottime mani» è la profezia dello yankee che fu protagonista con Mahut a Wimbledon dell’incontro più lungo della storia del tennis (11 ore e 5′ spalmati su tre giorni). Mardy Fish, capitano degli Usa, è d’accordo: «Era la prima volta che vedevo Jannik Sinner da vicino: avrebbe battuto chiunque, sono rimasto stupito. Ha un futuro enorme, non c’è dubbio». Manca il numero uno d’Italia, Matteo Berrettini infortunato alle Finals e ricordato da tutti con affetto («Questa vittoria è per lui, oltre che per la mia famiglia e il mio allenatore con gli occhi umidi: sono partito dal basso, non ho le qualità dei giovani più forti, ho dovuto lavorare il doppio per stare al passo» dice Sonego), ma il futuro è già qui. Sinner canta l’inno sotto la mascherina e racconta di aver provato la maglia azzurra in camera, alla vigilia, per vedere l’effetto che fa: «Una T-shirt con la scritta Italia sulla schiena non l’avevo mai indossata, è la più bella della stagione, mi sono emozionato». Jannik è il giovane leader della nuova Nazionale di Filippo Volandri, c.t. orgoglioso («E stata una giornata di prime volte, per me e i ragazzi, finita bene»), il cui percorso in questa variante torinese della new Davis Cup sembra segnato: battere la Colombia oggi per vincere il girone, il quarto (probabilmente) con la Croazia di Cilic lunedì per agguantare le finali di Madrid e sognare in grande. Volandri ci crede: «Questo gruppo è una famiglia, ecco spiegato in parte il risultato. Jannik non mi stupisce, mi impressiona. Lorenzo è stato stupendo. Ogni partita fa storia a sé ma vedo che cominciano a conoscerci e temerci». Ed è solo l’inizio.

Sonego e Sinner come due veterani (Paolo Rossi, La Repubblica)

[…] La Giovane Italia (ma quante volte abbiamo usato questa espressione nel corso degli Anni Novanta, nella speranza di una ricostruzione, di un ciclo poi mai arrivato davvero?) è salita sul ring, ha preso gli Stati Uniti e li ha strapazzati: Sonego e Sinner con un uno/due hanno annichilito i due giganti (in senso letterale, essendo alt[i oltre due metri) americani, Opelka e Isner. Il delitto perfetto, scrisse una volta Ilie Nastase. Pardon, in realtà il debutto perfetto di capitan Volandri che non ha sbagliato una sola scelta, puntando dritto sull’inedito: Sonego e Sinner non avevano ancora indossato la maglia azzurra. «Un colore che mi piace, forse la maglia più bella che ho indossato: con lo scudetto, e la scritta Italia dietro. Per me è una cosa importante» ha candidamente confessato Sinner. E vogliamo parlare di Sonego? È decollato quando il dj del Pala Alpitour gli ha messo la sua canzone al cambio campo (il reggaeton estivo Un solo secondo): «Ho sentito la mia voce, mi sono fatto una risata e mi sono gasato…». Poteva essere altrimenti? La famiglia Sonego abita a duecento metri dall’impianto: «Esco felice per aver fatto piangere il mio coach, Gipo Arbino. E peccato che i biglietti non sono stati sufficienti: avrei portato un’armata di tifosi». Tutti, rigorosamente, granata. La pratica Usa, sbrigata con una facilità disarmante, pone l’Italia in alto ora, a livello di pronostici. «Errore, questo lo dobbiamo evitare. La Colombia è più ostica di quel che si pensa: restiamo sul presente» ammonisce Sinner che, per una volta, si è ritrovato lontano dal gestire le cose con il coach e mentore, Riccardo Piatti. «Con Volandri e gli altri abbiamo avuto una settimana per conoscerci, ma quando si parla lo stesso linguaggio va bene. Non so se vinceremo la Davis, ma ci proveremo. Non siamo qui solo per partecipare». E qui il rammarico per l’assenza di Matteo Berrettini, pensando alla fase finale di Madrid che è in altura, e dove il suo servizio avrebbe fatto sfracelli, si fa forte e fa venire il magone per quello che avrebbe ulteriormente potuto essere. «Matteo mi ha incitato alla vigilia, sono devastato per quello che gli è accaduto» racconta Sonego. Poi, il pensiero successivo: «Siamo tutti forti, lo dice la nostra classifica individuale. Pensiamo a fare il nostro gioco, i conti li facciamo alla fine». La vittoria sprint ha consentito a Volandri di risparmiare Simone Bolelli in doppio, dopo una pallata al costato ricevuta in allenamento, schierando Fognini/Musetti che hanno anche impensierito Sock/Ram nel primo set, perso al tie-break. A quel punto, il match è scivolato via. Italia-Usa finisce 2-1, ma il punto serve solo agli Usa per sperare di essere ripescati, mentre si riconoscono i meriti azzurri: «Impressionanti» ha ammesso Mardy Fish, il ct. Concetto ribadito anche da Isner: «Io penso che Sinner entrerà tra i Top 3 del mondo». Volandri ne prende atto: «Fa piacere che il mondo si accorga di noi, avremo maggiori responsabilità. Ma il nostro è un lavoro di squadra che non è iniziato oggi».

Davis, Sinner leader della nuova Italia. “Vogliamo la coppa” (Stefano Semeraro, La Stampa)

[…] Il modo in cui l’Italia di Coppa Davis ha chiuso il conto gli Stati Uniti già nei singolari, al netto dei demeriti degli avversari, la dice lunga sulla qualità di una squadra che pure deve fare a meno del n. 7 del mondo, Matteo Berrettini. Sul carattere, sulla gara, sulla voglia di riprendersi la Coppa, 45 anni dopo Santiago. Che Panatta, Pietrangeli, Barazzutti e Bertolucci siano in città in questi giorni – domani al Torino Film Festival presenteranno il documentario «La squadra» sull’avventura in Davis del ’76 – è un dettaglio, una cabala della memoria che agevola il sogno. Ma forse ieri, all’ombra di quel ricordo, è nato qualcosa di importante. «Gli italiani avrebbero battuto chiunque al mondo», afferma il capitano Mardy Fish. Contro i giganti Opelka e Isner, 4 metri e 20 in due, non c’è stata storia, eppure “Filo” Volandri, lui stesso al debutto sulla panca, aveva schierato due esordienti. Lorenzo Sonego nel match fra i numeri 2 è entrato in campo direttamente dal microonde di casa sua, trecento metri dal Pala Alpitour. Ha tremato sull’unica palla break concessa in tutta la partita a Reilly Opelka – sul 3 pari del primo set – poi ha chiuso 6-3 7-6 in un’ora e mezzo scarsa, il 100 per cento di prime palle piazzate nel tie-break in faccia a Reilly, il babau del servizio. Jannik Sinner all’altro pivot Isner – onestamente un po’ brasato: ma perché Fish non ha schierato Tiafoe? – ha lasciato due game, 6-2 6-0. Una dimostrazione di superiorità assoluta, la peggior sconfitta in carriera di Isner e, anche se Jan non lo ammetterebbe neanche sotto minaccia di tagliargli il ciuffo ribelle, una camera con vista Insalatiera prenotata per Madrid. «Non ti puoi mai aspettare partite facili – dice – e contro la Colombia (oggi alle 16, ndr) sarà difficilissima: perché tutti si aspettano una vittoria. Però è vero che siamo una squadra di grandi giocatori, e lo saremmo ancora di più se Matteo fosse con noi. Io, Sonego, Musetti, Fognini possiamo giocare in singolare, fare cambi in base agli avversari, l’esperienza di Fabio e Simone aiuta molto noi giovani. È un gruppo nuovo ma unito, onesto, ci sosteniamo. E abbiamo una mentalità vincente. La maglia azzurra? È bellissima, blu e con lo scudetto, alla vigilia l’ho provata per vedere come mi stava. Poi da piccolo guardavo in tv la squadra italiana che giocava in Davis, ora ne faccio parte, è un grande onore, questa vittoria la metto fra le top tre di quest’anno». Fare programmi senza certezze è un esercizio pericoloso, ma se oggi batteremo la Colombia lunedì nei quarti potremmo trovarci una Croazia abbordabile, e in semifinale, venerdì a Madrid, forse la Svezia dei non irresistibili fratelli Ymer. «No, previsioni non ne faccio», dice Jannik. «Bisogna vivere nel presente, ma è chiaro che alla Coppa ci pensiamo. Siamo qui per quello, non certo per partecipare»

Galan il vegetariano e un doppio meraviglia. Ecco la sfida colombiana (Riccardo Crivelli, La Gazzetta dello Sport)

[…] Della Coppa Davis, in Colombia, interessa il giusto: per utilizzare una battuta piuttosto scontata, il tennis da quelle parti è un caffè piuttosto ristretto. C’è stato, è vero, un torneo Atp a Bogotà per tre anni (fino al 2015) e resiste ancora quello femminile, ma come dice Alejandro Falla, capitano della squadra che affronteremo oggi pomeriggio, «il nostro sport da noi ha numeri molto piccoli, perciò è un onore essere qui per la seconda volta (i Colombiani disputarono le Finals anche nel 2019, ndr), la Davis è qualcosa di molto grande per la nostra federazione, speriamo che questa visibilità serva a incassare qualche soldo da investire sui giovani». Coppia regina Eppure, malgrado si muova da sempre alla periferia dell’impero delle racchette, la Colombia da qualche anno sta regalando al circuito una delle coppie di doppio più forti di quest’epoca: Juan Sebastian Cabal e Robert Farah nel 2019 hanno vinto Wimbledon e Us Open, approdando al numero uno della specialità (adesso sono decimi) e continuano a rappresentare il più solido fondamento delle speranze degli altri «Cafeteros» e la ragione per cui non bisogna comunque sottovalutare l’incrocio odierno, visto che nel format attuale il doppio ha un peso specifico enorme. Più che compagni, Cabal e Farah sono quasi fratelli: si conoscono da quando hanno sette anni e cominciarono ad affrontarsi nei tornei giovanili. In realtà Robert non è colombiano, bensì un libanese nato in Canada ed emigrato a Cali con i genitori nel 1990. A furia di sfidarsi e vincere tutto a livello juniores in patria, hanno cementato un’amicizia indissolubile, ma entrambi sarebbero stati destinati a cambiare passione sportiva se un bel giorno l’amministratore delegato di Colsanitas, la più grande compagnia assicurativa sanitaria del paese, non avesse finanziato la nascita di un’accademia per far allenare insieme tutti i migliori prospetti della nazione. Nel 2006 Farah si trasferisce negli Stati Uniti per giocare al college e la coppia, costituita appena un anno prima, si separa: entrambi proveranno l’avventura da singolaristi, arrivando in top 200. Nel 2010, però, si ritrovano definitivamente e la strada è segnata, perché vincono i primi tre tornei disputati (due Futures e un Challenger) . Da quel momento la loro diventerà un’ascesa impetuosa: «Siamo sempre stati molto competitivi e quando ci affrontavamo in singolare era sempre una sfida all’ultimo sangue. Così abbiamo unito le forze». Nel 2020 Farah scampa una squalifica per doping (anabolizzanti) dimostrando che la contaminazione era avvenuta attraverso una bistecca adulterata. Solo verdura Un guaio che il miglior singolarista colombiano, Daniel Galan, elemento interessante che sta flirtando da tempo con la top 100 (è 111, ma a inizio novembre era 102, best ranking) e con un fisico da tennista moderno (è 1.91), avrebbe decisamente evitato. Il nativo di Bucaramanga, infatti, è stato il primo giocatore (insieme a Djokovic) a dichiararsi completamente vegetariano. Una scelta che nasce dai genitori, Santos e Doris, entrambi pallavolisti di buon livello (il padre, tra l’altro, è ancora oggi il suo allenatore) che abbandonarono la carne lui all’università e lei per problemi di salute: quando si sono sposati, hanno trasmesso il messaggio ai figli. Daniel è il minore di quattro, tutti tennisti: prima di lui, il migliore era stato Sat, numero 650 nel 2007. Giocatore solido, Galan quest’anno ha affrontato due volte Sonego (a Miami e a Wimbledon) perdendo sempre ma dopo battaglie combattute. Capitan Falla ci punta: «In Davis si esalta e sicuramente tirerà fuori il meglio. Siamo sfavoriti, ma perché non crederci». O scommetterci un caffè

Sonego: “La partita più bella della mia vita” (Piero Guerrini, Tuttosport)

Non era successo nemmeno al chitarrista rock John MCenroe. Di trionfare ballando su una propria canzone. Sonny ha ora un record mondiale. […] E in più dall’amplificatore esce “Un solo secondo” Sonny carica ancora la Ia folla. Lorenzo, cosa significa questa vittoria così netta contro Opelka? «Sicuramente è la partita più bella della mia vita. Io vivo a duecentometri da qui, mi alleno al Circolo della Stampa Sporting. Mi sono goduto ogni singolo attimo, dall’ingresso in campo alla fine. Emotivamente il miglior momento della mia carriera il pubblico mi esalta». Davvero nemmeno un po’ di nervosismo? «No, ero rilassato perche siamo un gruppo unito, si vince e si perde tutti assieme. Ero carico a mille, nessuna pressione, volevo soltanto divertirmi. Giocare a Torino è stato un sogno realizzato Ero davvero felice e avevo buone sensazioni. Poi mi piace giocare per la squadra». Cosa temevaa di Opelka? «Per la risposta, ho ascoltato i consigli di capitan Volandri, lui è stato un grande giocatore e ha sempre risposto bene. Opelka non ti dà mai ritmo. Magari non risponde per tre giochi, poi tira due vincenti consecutivi, non sai cosa aspettarti. Il punto in cui ho annullato la palla break è stato molto importante, sapevo di dover commettere pochi errori, di di doverlo spostare, muovere per il campo. Ho provato a giocare tutti i punti, anche quando ero sotto 40-0, per Cercare di togliergli sicurezze. Ha funzionato.». Il gioco è stato impressionante per solidità e lucidità, due palle al corpo del macchinoso Opelka. «Al cambio campo hanno fatto ascoltare la mia canzone, “Un solo secondo’; mi ha caricato ancor più. Mi ha fatto sorridere. Da li è diventato tutto più facile. Ho risposto bene. Lui mi ha anche commesso un doppio fallo, perché si sentiva sotto pressione, visto che rispondevo E il pubblico mi ha dato una grande mano». Quando ha saputo da Volandri che avrebbe giocato? E chi ha chiamato? «Ieri sera, ci tenevo tantissimo, non vedevo l’ora. Ho pensato subito dee avrei do- vuto concentrarmi su ogni punto. Ho chiamato subito mamma, la fidanzata, gli amici. I biglietti non mi sono bastati, avrei voluto portare qui con me tutti quelli che conosceva l’ ho fatto idealmente. Una volta in campo mi ha anche aiutato vedere che riuscivo a rispondere». Non ha potuto indossare la maschera granata del Torino «Sono obbligato a mettere le FP2 altrimenti l’avrei portata di sicuro». Vivere l’atmosfera delle Nitto Atp Finals in città, poi la Davis in campo è staia d’aiuto? «Quella settimana mi ha caricata in modo incredibile, vedere oltre alla cita il Pala Alpitour ilvpubblico scaldarsi per i miei compagni. Venire qui mi ha aiutato. E da quando Matteo si è infortunato e mi ha detto che non ce l’avrebbe fatta, mi sono preparato mentalmente a giocare. Volandri avrebbe potuto scegliere Lorenzo Musetti o Fabio Fognini, siamo una squadra molto forte,ma io non potevo permettermi di non farmi trovare pronto. Alla fine ho esultato, urlato e ho guardato gli spalti incrociato gli occhi di amici mia, fidanzata Vederli emozionati mi ha reso felice. Vedere il mio allenatore Gipo Arbino commosso alle lacrime mi ha riempito il cuore». Si è sentile con Berrettini alla vigilia? «Con Matteo siamo amici, ci sentiamo sempre, anche ieri mi ha scritto. Spero si rimetta presto, merita di vivere queste emozioni speciali. Ha un modo di proporsi, un atteggiamento unico, oltre ad essere un campione. Vederlo a terra durante la partita con Zverev alle Finals mi ha devastato. Mi sono immedesimato. Questa vittoria è dedicata anche a lui». La semifinale a Roma e il successo a Torino da debuttante azzurro. Ripensa al percorso? «Sono partito dal basso. Avevo meno qualità di altri e ho dovuto lavorare ancora di più, viaggiare sempre per fare esperienze, grazie all’aiuto della Fit. Cercherò di raggiungere anche le Finals. Non sarà facile ma lavoro per crescere ogni giorno».

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E Djokovic scopre il valore dell’umiltà (Daniele Azzolini, Tuttosport)

Essere Novak Djokovic è diventato difficile. Anche per lui, legittimo proprietario della griffe più vincente che si sia mai vista. Essere sempre il tennista giusto al posto giusto nel momento giusto, mette ansia. Fa salire la pressione. Crea quell’apprensione sorda e lancinante come un mal di denti che si traduce in una profonda inquietudine. E l’angoscia, da sempre, è la nemica più traditrice. Così l’uomo che ha sempre avuto una risposta corretta, opportuna, legittima e appropriata da dare ai propri avversari, qualunque fosse il lecito dubbio che questi gli abbiano proposto, vive questa parte della sua stagione, forse una delle ultime anche per lui, con le immancabili voglie di vincere e assoggettare il mondo del tennis, ma anche con la scoperta che un nuovo avversario potrebbe impedirglielo. Uno che mai si sarebbe aspettato di avere contro. Uno che molto gli somiglia. Se stesso…Non smette di vincere, del resto non l’ha mai fatto. Ma vi riesce senza sprintare come un tempo, macchina umana opposta a umani senza patente. Appare cauto, preoccupato, afflitto da pensieri che non ha mai avuto, e il gioco non sgorga com’era solito fare, non fluisce dalla testa alle membra con la facilita cui si era — e ci aveva —abituato. Lo riconosce con onestà. «Nei giochi finali del secondo set ero sul chi vive, temevo che un errore stupido, banale, di quelli che possono capitare in qualsiasi momento di un match potesse spingere l’incontro verso una deriva faticosa, difficile da correggere, da sistemare. Da recuperare…». Il match è quello con Karen Khachanov, quarti di finale di un Roland Garros che, visto con gli occhi del dominatore degli Australian Open dello scorso gennaio, appariva di facile annessione. Poi le cose si sono complicate. C’è stato l’ultimo stop per il Covid, che non gli ha permesso di prendere parte ai Masters 1000 della primavera americana, e dopo, al ritorno in campo, qualche risultato è andato di traverso. La sconfitta contro Medvedev a Dubai, sempre dolorosa da accettare. Quella con Musetti a Montecarlo. E ancora un altro stop, a Banja Luka opposto all’amico Lajovic fin lì sempre battuto. Prima dello scivolone romano contro Holger Rune. C’è stata la risalita di Carlos Alcaraz, a sfilargli il numero uno, e insieme la convinzione che sarebbe stato più difficile di come l’aveva previsto e valutato. Fino al Roland Garros che vale più di un semplice riscatto. È il torneo che può prolungare il sogno di giungere a quel Grand Slam disperso sotto le bordate di Medvedev agli US Open 2021. Perso il primo set, sotto le spinte attente, potenti sebbene un bel po’ ripetitive di Karen Khachanov, scontento di sé e dei consigli che gli venivano dal proprio team, Djokovic ha scelto di giocare accontentandosi di ciò che riusciva a fare. Scelta difficile per uno come lui, ma importante in prospettiva. Perché un bagno di umiltà fa sempre bene, e forse il Djoker ne aveva bisogno. E perché lo ha costretto a lavorare senza cercare l’impossibile. Ha tenuto lungo il palleggio e le uniche sortite che si è concesso sono giunte sui precisi drop shot che hanno avuto il merito di interrompere gli scambi da fondo campo, spesso favorevoli al russo. Su queste premesse, Nole ha costruito un tie break di rara efficacia, nel quale è sembrato tornare se stesso. Sette punti perfetti per esecuzione e tempistica che hanno cambiato segno alla partita. «Ho ritrovato le certezze perdute, in quel momento, e mi sono ritrovato in partita. Non avevo cominciato nel migliore dei modi, come se una parte di me fosse rimasta nello spogliatoio, e Khachanov giocava un ottimo tennis.  Quel tie break mi ha rilanciato. Ho tenuto bene nel set successivo, e tutto è tornato a procedere per il verso giusto». […] È la semifinale numero 45 per Djokovic, Federer ne ha appena una in più. Ma è l’unico, il serbo, ad aver ottenuto almeno dieci semifinali in tutti gli Slam. «Sono ancora in gara, l’importante è questo. Non ho idea di chi possa essere il mio avversario. Con Alcaraz la sfida è aperta, l’unica volta che ci siamo trovati di fronte  è stato lui a vincere». Accontentato. O forse non proprio, chissà. Magari, in cuor suo, la speranza che Tsitsipas potesse fare lo sgambetto ad Alcaraz, Djokovic la coltivava, ma la possibilità non ha mai preso realmente corpo, nemmeno in un terzo set in cui Carlos, forse per troppa fretta, ha messo da parte l’attenzione con cui aveva condotto il match e non è riuscito a impedire che Tsitsipas lo rimontasse dal 5-2 al 5 pari. Da lì lo spagnolo è ripartito e il match nel tie break è tornato sotto il suo stretto dominio. Un bel salto di qualità, per Alcaraz. Dai ceffoni con cui si era liberato di Musetti, alla tormenta di colpi da kappaò con cui ha steso Tsitsipas. Un messaggio su cui Djokovic è invitato a meditare.

La voce dei padroni (Federica Cocchi, La Gazzetta dello Sport)

 

Non poteva che finire così, con lo scontro fra Titani in semifinale. Novak Djokovic e Carlos Alcaraz: passato, presente e futuro del tennis. E pazienza se non è finale, c’è comunque tantissimo da giocarsi: punti, gloria, storia. Novak e Carlos, non semplici giocatori di tennis. E se del serbo sappiamo, abbiamo visto, toccato con mano di cosa sia capace, lo spagnolo riesce ogni volta a stupire. Una progressione impressionante, che fa venire voglia di affacciarsi al futuro per sbirciare le prossime imprese. Forse l’ha fatto per regalare al torneo quel pizzico di suspence. Forse per fare un brutto scherzo a Karen Khachanov, o semplicemente perché è entrato in campo un po’ così, svogliato. Come i comuni mortali quando non hanno nessuna voglia di andare in ufficio. La differenza tra Novak Djokovic e i comuni mortali, anche quelli che giocano a tennis, è che lui a un certo punto mangia un dattero, va alla toilette, e torna in modalità drago. Ieri è successo più o meno così. E alla fine, liberatosi del russo in quattro set, ha portato a casa la semifinale numero 45 in uno Slam, terzo di sempre tra uomini e donne dietro a Chris Evert, a quota 52, e a una sola lunghezza da Roger Federer, che ne ha collezionate 46. Novak Djokovic è un uomo in missione. O forse con più di una missione. La sola certezza è che per tutte lo snodo è necessariamente Parigi. Qui, se vincesse il titolo, tornerebbe numero 1 al mondo., altrimenti la corona resta a Carlos. Non solo, diventerebbe il giocatore con più Slam di sempre, a quota 23, e potrebbe continuare la corsa verso il Grande Slam. Lo ha dichiarato più volte: «Voglio entrare nella storia e stabilire quanti più record possibili». Così, dopo due anni nel limbo dei non vaccinati, con tanti tornei saltati e l’America dall’altra parte della luna, può finalmente rimettere nel mirino la storia. La chiave di volta del match di ieri contro Khachanov è stata il tie break del secondo set. Lì la sudditanza psicologica imposta al russo è stata evidente. E questo è l’effetto che Nole fa ai giocatori «comuni». Con lui non si gioca mai alla pari: il russo, nel primo punto del tie break, ha tentato uno sciagurato schiaffo al volo direttamente sulla racchetta del serbo, rapido a infilarlo col suo rovescio lungolinea. In quel momento Djokovic ha ficcato il grimaldello nella testa del numero 11 al mondo scardinandone tutte le sicurezze. Khachanov non è più stato capace di fare un punto, ha ceduto il tie break a zero e ha perso il servizio anche in apertura del terzo set. Gli argini sono crollati e il serbo ha potuto dilagare. […] Al traguardo della finale manca l’ostacolo più grande Carlos Alcaraz. Uno che parla la sua stessa lingua, quella dei fenomeni, la mastica benissimo anche se ha 16 anni di meno. Uno che annichilisce gli avversari, li paralizza come Medusa col suo sguardo. Carlos lo ha dimostrato anche ieri facendo sembrare Stefanos Tsitsipas un esordiente. Ha fatto tutto lui, ha dominato, ha sbagliato, ha permesso addirittura a Stefanos di tentare la rimonta prima di metterlo ko. Il pubblico che si aspettava la grande battaglia ha dovuto accontentarsi di tre set, con la concessione di un tie break al terzo. Per lo spettacolo vero, ripassate venerdì.

Djokovic-Alcaraz, ecco i mostruosi (Alessandro Nizegorodcew, Corriere dello Sport)

Parigi, la città delle luci, dove i desideri diventano realtà. La semifinale dei sogni è servita. Carlos Alcaraz contro Novak Djokovic. L’enfant prodige apposto al grande campione, chi insegue il primo Roland Garros (e secondo Major) contro chi punta il record assoluto di 23 Slam. Un match che (finalmente) si disputerà per la seconda volta nel circuito ATP. Al penultimo atto Alcaraz e Djokovic sono arrivati dopo due quarti profondamente diversi. Alcaraz ha letteralmente dominato il match contro il malcapitato Stefanos Tsitsipas, annichilito con il punteggio di 6-2 6-1 7-6(5). Un unico momento di difficoltà, più mentale che tecnico, è giunto sul 5-3 del terzo set: servendo per il match lo spagnolo ha perso per la prima e unica volta la battuta. «Ho smarrito un po’ la concentrazione – ha raccontato Alcaraz – ma sono stato bravo a ritrovarmi nel tiebreak». Vincenti su vincenti, pochissimi errori. […] Il quarto di finale di Novak Djokovic non è stato affatto semplice. Il serbo ha fatto fatica a entrare in partita contro Karen Khachanov, che per (quasi) due set ha decisamente giocato meglio. Il russo ha vinto 6-4 il primo set e non ha concesso alcuna chance a Djokovic sino al 6-6 del secondo parziale. «Il tiebreak ha rappresentato il turning point – ha spiegato il due volte vincitore del Roland Garros -. Conquistare o perdere quel set avrebbe fatto una bella differenza». Djokovic ha dominato il tiebreak 7 punti a 0 con una serie di punti di qualità impressionante, trovando la fiducia e la sicurezza smarrite a inizio incontro per un punteggio finale di 4-6 7-6(0) 6-2 6-4. […] «Se vuoi essere il migliore, devi sconfiggere il migliore». Djokovic e Alcaraz hanno usato le stesse identiche parole per presentare il match dei sogni, cercando di togliersi un po’ di pressione di dosso. È insolito, per Djokovic, affrontare un match da sfavorito (questo dicono le quote), ma da un certo punto di vista potrebbe anche essere un vantaggio. L’analisi del match (in campo venerdì), che per molti sarà una finale anticipata, non è semplice: la speranza è che Parigi possa regalare la partita dei sogni, dei desideri.

Ruggito Zverev per andare oltre tutti i suoi guai (Ronald Giammò, Corriere dello Sport)

Battuto Tiafoe e approdato al 4′ turno del Roland Garros sullo stesso campo dove un anno prima, opposto in semifinale a Rafa Nadal, fu costretto al ritiro dopo esser ruzzolato nella polvere ed essersi rotto quasi tutti i legamenti della sua caviglia destra, Alexander Zverev dichiarò di non aver fatto caso alla ricorrenza perché “concentrato su quel che doveva fare”, e che l’emozione l’aveva ormai smaltita da giorni quando era entrato la prima volta per il match contro Molcan. Superato l’altra sera Dimitrov, oggi contro l’argentino Etcheverry, il tedesco ex n.2 del mondo avrà l’occasione di tornare lì dove tutto si era interrotto, ritrovando un’altra semifinale a Parigi e con lei l’integrità per puntare a quel titolo Slam che ancora gli manca lì dove il suo tennis ha maggiori chance di coglierlo. La coincidenza in questi giorni avrà di certo attraversato i suoi pensieri senza però distoglierlo dal suo obiettivo, “giocare a tennis e farlo contro i migliori giocatori del mondo“. Una partita alla volta. Nei lunghi mesi lontano dai campi, Sascha ha infatti appreso a sue spese quanto la fretta possa rivelarsi fatale […] Incappato in un edema osseo per aver forzato i tempi di recupero in vista della fase a gironi di Coppa Davis dello scorso settembre, Zverev ha fatto voto di calma e umiltà consapevole che solo dal tempo e dalle inevitabili sconfitte sarebbe passato il ritorno ai suoi standard. La convivenza con le difficoltà non è d’altronde condizione a lui estranea. Se la lunga investigazione condotta dall’Atp sull’accusa di abusi domestici sollevata dalla sua ex compagna si è conclusa di recente con un nulla di fatto, il diabete che lo costringe a punture di insulina tra un cambio di campo e l’altro è diventata, invece, una causa per la quale spendersi nel tentativo di normalizzare una condizione ben diversa dai tanti toilet break cui sempre più spesso furbescamente si ricorre. Anche della rabbia antica oggi è rimasto ben poco, solo un ruggito, quello che accompagna le sue vittorie e che insieme alla sua capigliatura gli valso il soprannome di “Leone”. Non basterà per farsi re. Ma Parigi è la città giusta per provarci. 

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Rassegna stampa

“Manca Nadal non è vera Parigi Sinner, più grinta” (Cocchi). Mamma Elina dall’oblio alla rinascita (Giammò). Memorie di uno scriba Il tesoro di Gianni Clerici donato alla Cattolica (Crosetti). Bad boy Rune sofferenza e vittoria dopo 4 ore (Martucci)

La rassegna stampa di martedì 6 giugno 2023

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Sentenza McEnroe: “Manca Nadal non è vera Parigi Sinner, più grinta”. (Federica Cocchi, La Gazzetta dello Sport)

 Lui non le manda a dire. Se c’è una cosa che John McEnroe ha mantenuto inalterata, è certamente la schiettezza. La stessa che lo ha fatto sbottare dopo la sconfitta prematura di Jannik Sinner contro Daniel Altmaier. Una delusione anche per lui: «La vittoria se l’è proprio mangiata – ha detto Big Mac su Eurosport, dove commenta lo Slam parigino -. Non c’entra un bel niente la sfortuna, ha avuto tante chance e non le ha raccolte. Queste sono partite che fanno male, ti restano le scorie per mesi, se non per anni». ? Insomma John, questo Sinner rha fatta proprio arrabbiare. Come può uscire da questo momento il nostro numero 1? «Gli scenari a volte cambiano per un punto. Guardate cosa gli è successo a New York: avrebbe potuto vincere lo Us Open se avesse concretizzato quel match point contro Alcaraz. Sembrava davvero a un passo per fare il grande salto. Probabilmente avere tutti gli occhi addosso gli ha messo troppa pressione, forse è questo che ha inciso sul suo rendimento, anche se parliamo sempre di un ottimo giocatore» .

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Restando in Italia, c’era una volta Matteo BerrettinL.. «Già, è stato davvero sfortunato con tutti i guai fisici che ha dovuto affrontare. Ho sentito che tornerà sull’erba, ma non sarà facile dopo tanto tempo fuori. Avrà perso fiducia, si sentirà un po’ frustrato. La cosa positiva è che ha solo 27 anni e se anche non tornerà ai livelli più alti penso che possa comunque ancora fare danni nei tornei con quel servizio e quel dritto. Sull’erba si sentirà più a proprio agio e anche se non avrà la migliore condizione atletica. Deve cercare di pensare positivo, anche se capisco che detto da fuori sembra tutto facile». ? II romano è stato attaccato anche sui social che stanno diventando un problema per molti sportivi presi di mira. li Roland Garros ha creato un’appeazione che II protegge dagli attacchi degli haters. «E un argomento di cui io non posso dire molto perché non sono su nessun social. Per fortuna quando giocavo non esistevano, ora non sento il bisogno di usarli. Penso che per molti giocatori possano essere una distrazione, soprattutto se gli haters li prendono di mira». ? Come sta vivendo questo Roland Garros senza Rafa Nadal? Sembra strano un po’ a tutti. «Senza di lui qui non è la stessa cosa. Ha fatto di tutto per tornare, ma ha dovuto arrendersi. Credo che ora che è padre i suoi orizzonti siano anche leggermente cambiati, infatti ha parlato di ritiro dopo il prossimo anno, ma modo suo, giocando. Qualunque cosa decida di fare va rispettato. Guardate Murray per esempio, anche lui ha voluto tornare per decidere autonomamente quando salutare. E non importa se non è lo stesso Murray di prima». ?

[…]

Non vede Djokovic favorito per il titolo? «Come ho detto per Nadal prima, uno come Djokovic non è mai da sottovalutare però metto prima Alcaraz tra i candidati alla vittoria». ? Lo spagnolo ormai è una certezza. Sembra non avere punti debolL «Alcaraz è la novità, quello è ha portato una ventata d’aria fresca con un tennis elettrizzante e spettacolare, ha una tale personalità che tutti sperano che vinca e lui lo avverte. Tutti vogliono vederlo giocare e vincere. Io per primo mi auguro che continui a fare bene, ha solo 20 anni è si è già guadagnato il ruolo di ambasciatore del nostro sport». ? I Big 3 sono in dismissione: Federer ha smesso, Nadal ha indicato il prossimo anno come [‘ultimo della carriera. Resta Djokovic, ma chi altro vede in grado di poter vincere più di uno Slam? «Alcaraz potrebbe vincerne dieci o anche di più, anche Rune è in grado di vincerne un po’. Carlos è già maturo, il danese deve ancora fare un po’ di esperienza ma entrambi saranno protagonisti dei prossimi anni, con qualche altro che ogni tanto conquisterà uno Slam». Il futuro non aspetta.

Mamma Elina dall’oblio alla rinascita (Ronald Giammò, Corriere dello Sport)

Incolpevole sulle cause, per la Wta è arrivato il momento di far i conti con gli effetti di un conflitto scoppiato ormai più di un anno fa, le cui conseguenze a lungo ha cercato di ignorare, differire e gestire; fiduciosa che l’ordinaria routine avrebbe prevalso sulle straordinarie circostanze. La vetrina, contrariamente a quanto accaduto negli ultimi quindici mesi, quando ucraini russi e bielorussi si sono affrontati in anonimi incontri di primi turni, stavolta è più importante. E maggiore l’esposizione, viste le protagoniste che oggi nei quarti del Roland Garros si sfideranno con in palio un posto in semifinale. Da una parte la bielorussa Aryna Sabalenka, n.2 del mondo giunta a Parigi con ambizioni da nuova leader del ranking. Dall’altra, l’ucraina Elina Svitolina, oggi signora Monfils, ex n.3 del mondo e madre da otto mesi, rientrata lo scorso marzo sul circuito e vincitrice due settimane fa a Strasburgo del suo 18°titolo.

[…]

La lunga assenza dai campi non è bastata invece per mettere a tacere Svitolina. Precipitata nel ranking, la virtuale n.73 del mondo è comunque rimasta in prima linea promuovendo campagne di sensibilizzazione e raccolte fondi. Oggi, complice la nuova ribalta ottenuta a Parigi, non perde occasione per rilanciare il suo messaggio. Ho affrontato due russe nei miei ultimi due match – ha dichiarato dopo la vittoria contro Kasatkina, conclusa con un gesto d intesa tra le due -: non cambierà nulla, ma ci sono abituata». Non gioca solo per sé, Svitolina, sa bene che i suoi risultati «possono aiutare nello spirito tutti quelli che stanno combattendo per il nostro Paese» e che lo sport «è una delle aree più delicate su cui si ripercuote questo conflitto». Che non si sia ancora riusciti a trovare la sintesi giusta per conviverci, non vuol dire che non si debba continuare a tentare di farlo. Ad Aryna, Elina e al lom quarto di finale Slam, l’occasione di provarci.

Memorie di uno scriba Il tesoro di Gianni Clerici donato alla Cattolica  (Crosetti, La Repubblica)

Il suo ultimo gesto bianco fu scivolare fuori dalla vita, esattamente un anno fa. Ma i grandi tesori non finiscono così, nella banalità della morte. Quello di Gianni Clerici, il nostro scriba, l’inimitabile principe del tennis e della scrittura, era uno scrigno pieno di parole, le sue e quelle che lo nutrivano. Un tempo lo avremmo definito archivio però nel caso di Gianni sarebbe riduttivo. Bisogna invece immaginare una miniera d’oro piena di carta, dove le pepite sono i libri, i quaderni di appunti, i taccuini, i manoscritti, le poesie, le fotografie, le note di viaggio, le diverse stesure dei suoi romanzi, i vecchi giornali, le riviste. E poi quell’infinita dichiarazione d’amore di sua moglie Annamaria che lui chiamava Marianna, perché le parole sono un gioco: cioè tutti gli articoli di Clerici che la sua sposa ritagliava e conservava in ordinati libroni, anno per anno.

[…]

«Papà teneva tutto, era un collezionista nato» racconta la figlia Carlotta. «Nel suo studio abbiamo trovato testi corretti a mano da Giorgio Bassani e Mario Soldati, i taccuini delle interviste, i libri che leggeva per scrivere i suoi, alcuni incipit di romanzi che non hanno visto la luce e naturalmente le diverse versioni dei suoi testi. Credo se ne possa ricavare una sorta di “metodo Clerici” prezioso per i giovani, compresi, forse, i suoi aspiranti colleghi di domani». Quando non era in giro per il mondo Gianni lavorava nel meraviglioso studio a vetrate sul lago di Como, il luogo che oggi in qualche modo si trasferisce a Brescia. Era, di fatto, quasi un museo. «Per noi si tratta di un dono incomparabile, ottenuto grazie alla fondamentale mediazione del prof. Francesco Rognoni, ordinario di Letteratura inglese e angloamericana», spiega Pierangelo Goffi, responsabile della biblioteca della Cattolica di Brescia. «Si tratta di oltre mille libri, e delle preziose carte di uno dei più grandi giornalisti di sempre. Ce ne prenderemo cura, ne faremo oggetto di studio e ricerca, come meritano».

[…]

«Lo aiutavo come potevo col pc, e c’era da diventare matti perché i computer e la rivoluzione digitale non erano proprio il suo forte. A volte accadeva che papà mi dettasse i pezzi ed era comunque uno spettacolo seguire l’avventura delle sue parole proprio lì, in quel preciso momento, mentre nascevano». Molti degli oggetti appartenuti a Gianni si trovano già nella Hall of Fame di Newport, ad esempio la sua famosa collezione d’arte, ma il corpus bresciano non sarà da meno. Sarà la chiave per entrare nelle stanze del nostro amato scriba, ammalianti di capoversi e fantasia, dove la luce delle parole rischiarerà ancora per molto tempo i giorni e i ricordi. 

Bad boy Rune sofferenza e vittoria dopo 4 ore (Vincenzo Martucci, Il Messaggero)

È giusto che il match del torneo si disputi sul campo intitolato alla mitica Suzanne Lenglen. È giusto che, a dispetto di presunzione e fretta e poi gambe molli e rabbia il duello che blocca tutto il Roland Garros davanti ai tabelloni luminosi lo vinca il nuovo Connors, il bad boy con la faccia d’angelo, l’Holland del tennis, Holger Rune, che ha più coraggio. rafforzato dall’incoscienza dei suoi 20 anni e dal ricordo della beffa del super tie-break di Melbourne contro Rublev: «Mi sono detto: Comunque vada, questi momenti rimarranno per sempre con te, rilassati e vivili al massimo». È giusto che lo sconfitto, il pedalatore argentino Francisco Cerundolo, portabandiera dei peones del purgatorio Challenger, riceva gli onori delle armi, dopo 3 ore 59′ e l’eloquente 7-6 3-6 6-41-6 7-6 (7).

[…]

E’ giusto che l’ultimo protetto di Mouratoglou faccia un test così importante contro un avversario col quale non lega e ci ha perso 4 volte su 4, sempre sulla terra, ma ha battuto 3 settimane fa a Roma. MAIA LA BRASILIANA. È giusto anche che la storia del tennis donne passi per lo stesso stadio intitolato alla indimenticabile tennista: 55 anni dopo i trionfi Slam del 1968 di Maria Ester Bueno, la deliziosa ballerina del net tanto amata anche a Roma, la mancina Beatriz “Bia” Haddad Maia, batte dopo una maratona di 3 ore 38′ Sara Sorribes Tormo e riporta una brasiliana nei quarti Majors. E’ giusto, ma anche sfortunatissimo il doppio Kato-Sutjiadi, squalificato per aver colpito involontariamente una raccattapalle: se la stava cavando con un richiamo, ma le avversarie, Bouzkova e Sorribes Tormo hanno richiamato l’arbitro: “La ragazza sta piangendo”. Oggi quarti uomini Alcaraz-Tsitsipas e Djokovic-Khachanov, oltre a Muchova-Pavlyuchenkova e Svitolina-Sabalenka. 

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Rassegna stampa

Musetti all’esame Alcaraz (Azzolini, Bertolucci, Nizegorodcew). Capolinea Cocciaretto: «Cerco ancora continuità» (Giammò). Nadal dopo l’operazione: «Spero di recuperare in 5 mesi» (Crivelli)

La rassegna stampa di domenica 4 giugno 2023

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Musetti l’artista ci prova ancora (Daniele Azzolini, Tuttosport)

Fu lui a condurre la danza, come un tanguero argentino che intrecci passi proibiti di milonga offrendo alla sua bella un’unica certezza, quella che lasciandosi trascinare nei vortici della danza avrebbe evitato di cadere troppo presto ai suoi piedi. Cronaca di una vittoria che qualcuno definì di straordinaria casualità, dimenticando come fra due oppositori di livello assai vicino, le doti artistiche finiscono sempre per aggiungere slancio a chi potrà disporle sul campo. Era il 25 luglio di un anno fa, Rothembaun Club di Amburgo, Lorenzo Musetti opposto a Carlos Alcaraz, il giovane di El Palmar che di lì a poco diverrà numero uno. E fu un’impresa vera. Pochi però seppero coglierne l’aspetto più sorprendente. Lollo riuscì a resistere agli scossoni, violenti, tremendi, minacciosi che Alcaraz gli scatenò contro per tutto il match. Musetti vinse sopportando, difendendosi, conservandosi, e lasciò che a tratteggiare i tocchi e i drop che poi fecero la differenza fossero le sue qualità di raffinato artigiano. Oppure pensavate che l’arte, in campo tennistico, potesse nascere fuori dalla fatica, dal dolore, dalla sopportazione? I due si ritrovano oggi, campo Centrale, terzo match, e c’è grande curiosità. Il tempo trascorso da quei giorni di Amburgo ha dato sia all’uno sia all’altro, secondo misura e necessità. Svelto e vorace, Alcaraz ha colto titoli prestigiosi, quattro Masters, uno Slam, il numero uno. Musetti è salito ai piani alti tra molte buone prove, togliendosi la soddisfazione di battere Djokovic negli ottavi a Montecarlo. L’unico, con Rune, a infilare gli ultimi due numeri uno del Tour. Partecipando all’attesa, Mats si è esposto con lecito, ma forse eccessivo fervore, a favore di Musetti. Sostiene gli ricordi Federer e avrebbe potuto fermarsi già lì. C’è qualcuno di più grande che possa fare da nume tutelare al nostro ragazzo di Carrara? E invece Mats ha aggiunto pure Kuerten, Guga, Gustavo, che a Parigi visse, in comunanza con un pubblico divenutogli spontaneamente amico, tre stagioni liete, alternando vittorie e sorrisi indimenticabili. E il bello è che nella celebrazione di Mats non è quello di Federer il nome che appare osé al punto da avvertirlo fuori luogo. E’ quello di Guga, che certo sorprendeva come anche Musetti sa fare, ma lo faceva inventando smorzate da ogni posizione e in tutti gli stili. Carpiate, con il triplo avvitamento, anche con il doppio salto mortale. Della pallina, ovviamente, non il suo. Ma chissà che Guga non fosse capace anche di quello, buffo com’era: un tipo che si muoveva come un fumetto e quando si lanciava sulla palla sembrava che una parte del corpo gli si allungasse come una molla, e tutto il resto lo seguisse qualche secondo dopo. Anche Musetti sostiene di ispirarsi a Federer, e il fatto che tutti l’abbiano preso sul serio testimonia dell’alta considerazione di cui gode il ragazzo. Non dovrà diventare un tormento l’idea di introdurre nel proprio tennis il più alto numero di variazioni possibile, perché molte di queste Lorenzo le ha già nel proprio bagaglio tecnico. Problematico invece sarà rendere naturale il fluire delle stesse, nel corso dei match, produrre variabili in automatico, senza pensarci, proprio come faceva Roger. Si tratterà di un lungo studio, e di un’ancora più lunga applicazione, ma Lollo è l’unico che ce la possa fare. Contro di lui, Alcaraz ha una sola possibilità, che però rientra nei confini naturali del suo tennis. Dovrà spingere a tavoletta sin dai primi scambi, dovrà triturare il gioco di Musetti e più ancora la positività con cui l’italiano sembra lietamente convivere in questo Roland Garros che finora l’ha visto incapace di sprecare un solo set, e addirittura regolare una testa di serie come Norrie quasi fosse un ragazzino. Se Carlos avrà il passo cui nessuno resiste, Musetti non avrà grandi chances, ma se Lorenzo saprà aprirsi varchi invitanti, e su quelli lavorare con colpi e variazioni che non daranno modo ad Alcaraz di dare continuità al proprio incedere, il match potrebbe cambiare di segno, e una nuova impresa assumere connotati realistici. […]

L’ora di Musetti, test di maturità (Paolo Bertolucci, La Gazzetta dello Sport)

 

Il consiglio è di mettersi comodi in poltrona e godersi lo spettacolo: la sfida di oggi degli ottavi tra Alcaraz e Musetti promette di essere elettrizzante, oltre a mettere di fronte due tra i talenti più luminosi della nuova generazione. E se lo spagnolo ha già illustrato le sue qualità vincendo gli Us Open e issandosi fino al numero uno del mondo, il carrarese ha trovato nel rosso parigino il terreno fertile per dimenticare un avvio di stagione complicato e rilanciare la candidatura verso traguardi di grande prestigio su quella che rimane la sua superficie d’elezione. Non c’è dubbio che il confronto contro Alcaraz rappresenti per Lorenzo un esame decisivo per testare le ambizioni di fronte al giocatore che, insieme a Djokovic, rappresenta in questo momento l’ostacolo più alto su un campo da tennis. La sensazione, a dire il vero, è che il nostro giocatore abbia trovato la forma ideale proprio nell’appuntamento che conta di più e quindi possa presentarsi al match con la condizione tecnica e psicologica perfetta per rimanere sulla scia del numero uno del mondo. Confortato pure dal precedente di 11 mesi fa ad Amburgo, con la vittoria in finale[…]. A Parigi, Musetti è stato capace di sorvolare un tabellone complicato grazie al ritrovato equilibrio tra le sconfinate soluzioni di gioco a disposizione e le scelte strategiche adeguate ai vari momenti della partita, fino a dominare in modo imbarazzante Norrie, che pure è numero 13 della classifica. Dopo i tormenti di inizio stagione, determinati anche da alcune scelte sbagliate di calendario, che hanno portato a qualche inattesa sconfitta di troppo finendo per minarne le certezze in una pericolosa spirale di dubbi, Musetti ha scavato dentro di sé per ritrovare voglia e motivazioni e il ritorno sulla terra europea ne ha accompagnato la rinascita. La vittoria di Montecarlo su Djokovic, seppur contro un rivale ammaccato, è stato il segnale che la via intrapresa stava finalmente indirizzandosi verso la giusta direzione. Conosciamo tutti le enormi qualità di Alcaraz, la sua completezza in ogni zona del campo, la sua debordante strapotenza fisica, ma proprio la ricchezza del suo arsenale finisce a volte per confonderlo, rendendone meno lucide le scelte, con la conseguenza di consegnare tratti di partita agli avversari. Musetti, fornito di un bagaglio tecnico di raffinata qualità, dovrà appunto provare ad ampliare queste crepe dello spagnolo, intanto rimanendo sempre attaccato mentalmente alla sfida, cercando poi di complicargli il percorso con variazioni di ritmo, cambi di traiettorie, il giusto mix tra improvvise accelerazioni da fondo e palle senza peso, in modo che Carlos debba fare fatica a leggere i vari momenti della partita e a imporre il proprio poderoso canovaccio tecnico. […]

«Musetti, serve la perfezione» (Alessandro Nizegorodcew, Corriere dello Sport)

Non si sono affrontati spesso, ma si conoscono da anni. Sin da quando, giovanissimi, prendevano parte ai più importanti tornei internazionali Under 12 e Under 14. Carlos Alcaraz e Lorenzo Musetti si affronteranno nel pomeriggio odierno, sul Philippe Chattier, per una sfida che vale un posto nei quarti di finale del Roland Garros. […] Lo scorso anno, nella finale dell’ATP 500 di Amburgo, Musetti riuscì a imporsi a sorpresa 6-4 6-7 6-4. Il pronostico pende nettamente dalla parte di Alcaraz, ma il risultato non è affatto scontato. «Dall’altra parte della rete prima di tutto ci sarà un amico – ha raccontato Musetti – Alcaraz ha aperto una nuova via, quella della Next Generation, conquistando il primo Slam dell’era post Fab 3. Per giocatori come me, Rune, Sinner, e chiunque altro vaglia provare a inseguire risultati di prestigio, Carlos è fonte di ispirazione». Alcaraz contro Musetti è potenza ed esplosività centro talento e sagacia tattica, colpo bimane opposto al rovescio a una mano; è anche la personalità straripante del numero 1 al mondo contro un ragazzo che sempre di più sta maturando e capendo come affrontare i momenti di difficoltà, dentro e fuori dal campo. «Sarà una grande sfida – ha spiegato lo spagnolo dopo il successo al terzo turno contro Shapovalov – Musetti è un talento, sta esprimendo un tennis di alto livello e ha battuto ottimi avversari. Ricordo molto bene la sfida di Amburgo, che è stata per me davvero complicata. Ho voglia di affrontarlo e penso che il pubblico si divertirà, poiché tra me e Lorenzo ci saranno scambi intensi e grandi colpi». Musetti ha già battuto Alcaraz, ma il tennis “3 set su 5” è quasi un altro sport. Alcaraz al quinto set ha perso solamente una volta su nove. […] Atleticamente sembra imbattibile. La sensazione è che non faccia fatica, che non si stanchi mai. Musetti può aggrapparsi a uno stato di forma eccellente e ai precedenti (siamo nella pura scaramanzia) di “Carlitos” con gli italiani: sei le vittorie azzurre contro Alcaraz nei 15 precedenti; Sinner (tre volte), Sonego, Berrettini e lo stesso Musetti sono riusciti a sconfiggerlo. «Musetti dovrà essere perfetto». Fabio Colangelo, direttore tecnico de La Stampa Sporting e coach internazionale, non usa giri di parole. «Le prestazioni di Lorenzo contro Shevchenko e Norrie sono state straordinarie, ma per sconfiggere Alcaraz servirà qualcosa in più». […] «Il tema principale sarà la profondità dei colpi e la capacità di aggredire Alcaraz al momento giusto. Dovrà servire tante prime, variare e giocare al meglio il kick alla battuta, per tenere lo spagnolo lontano dal campo. Lorenzo dovrà anche scegliere la palla giusta per eseguire il rovescio lungolinea in accelerazione, colpo che sarà fondamentale per giocarsela alla pari». […]

Capolinea Cocciaretto: «Cerco ancora continuità» (Ronald Giammò, Corriere dello Sport)

Finisce contro la statunitense Bernarda Pera l’avventura di Elisabetta Cocciaretto al Roland Garros, ma resta un po’ di rammarico per l’occasione avuta e per le condizioni in cui l’azzurra è stata costretta a giocarsela. Al fastidio al ginocchio sinistro, che già nel turno precedente l’aveva costretta a ricorrere a un bendaggio, ieri si è aggiunto anche un problema muscolare alla coscia destra, fasciata nel corso del primo set e da lì diventata motivo di costante apprensione, tanto nel gioco quanto nella testa dell’azzurra. «È dalla seconda partita che avevo male al ginocchio – ha poi dichiarato Cocciaretto – solo un’infiammazione, niente di grave, ma non avendolo caricato per via della tensione alla fine mi venuto un fastidio all’adduttore e per evitare che peggiorasse l’ho fasciato». Peccato. Perché, dopo la sua prima vittoria contro una Top 10 (Kvitova al 1′ turno) e la conferma arrivata contro la svizzera Waltert, sarebbe bastato davvero poco più di quanto fatto per portare a casa una partita dal copione davvero imprevedibile, in cui i break concessi sono stati addirittura superiori ai turni di battuta conservati. Fallose ed emozionate entrambe per un match che avrebbe proiettato la vincitrice al suo primo ottavo in uno Slam. Cocciaretto si è dimostrata meno robusta dell’americana sulla seconda di servizio e meno lucida nell’evitare alcuni errori proprio nelle fasi cruciali dell’incontro. «Quel problema un po’ ha influito e mi è dispiaciuto non essere al 100% – ha ancora sottolineato – Ho avuto le mie occasioni, ma non sono riuscita a restare concentrata su quel che dovevo fare, e credo di dover ancora trovare la continuità per giocare e vincere più partite a questo livello». Detto del rammarico, resta l’orgoglio con cui l’azzurra ha provato a far di necessità virtù, riuscendo anche a portarsi sul 2-0 prima di regalare alla sua rivale la chance di rifarsi sotto nel secondo set. Giunte al tie-break, e incappata in altri due errori, la marchigiana ha infine visto involarsi la sua avversaria e con lei il sogno di approdare al suo primo ottavo Slam. […]

Nadal dopo l’operazione: «Spero di recuperare in 5 mesi» (Riccardo Crivelli, La Gazzetta dello Sport)

Compleanno da convalescente. Come gli era successo soltanto nel 2016, quando si ritirò prima del terzo turno del Roland Garros a causa di un infortunio al polso sinistro. Stavolta Nadal, 37 anni compiuti proprio ieri, a Parigi non c’era neppure andato (non accadeva dal 2004) per i guai al muscolo ileopsoas della gamba sinistra che lo tiene fermo da gennaio, quando usci al secondo turno degli Australian Open per mano dello statunitense McDonald. Anzi, i saluti ai milioni di tifosi che lo hanno festeggiato sui social sono arrivati dal divano di casa dopo la foto dall’ospedale del giorno prima: il vincitore di 22 Slam, infatti, venerdì a Barcellona si è sottoposto a un intervento in artroscopia al muscolo lesionato per risolvere definitivamente il problema. Dopo la notizia dell’operazione, ieri Rafa ha fornito dettagli più precisi: «Tutto è andato bene e l’artroscopia è stata effettuata per pulire e rinforzare il tendine dello psoas sinistro che mi ha costretto ai box dallo scorso gennaio. Inoltre è stata sistemata una vecchia lesione del labbro dell’anca che certamente aiuterà una migliore guarigione del tendine. Inizierò subito la riabilitazione funzionale progressiva e il normale processo di recupero mi dicono che sia di 5 mesi, se tutto va bene. Ancora una volta grazie per il sostegno che mi avete mostrato e mi mostrate ogni giorno. Inoltre è il giorno del mio compleanno. Non lo festeggio dove avrei voluto, ma comunque grazie». Dunque, le previsioni illustrate durante la conferenza stampa del 18 maggio nella natia Maiorca, quando annunciò che non avrebbe giocato a Parigi e probabilmente avrebbe dovuto fermarsi per tutta la stagione, si sono rivelate aderenti alla realtà. Conoscendo la feroce determinazione del fuoriclasse dl Manacor e ammettendo che la riabilitazione possa procedere senza intoppi, è plausibile immaginare un Nadal pronto a novembre, a stagione ormai conclusa ad eccezione delle finali di Coppa Davis, in programma a Malaga dal 21 al 26 di quel mese. Se la Spagna dovesse qualificarsi è molto suggestiva l’ipotesi, già ventilata dalla stesso giocatore, di far coincidere il rientro con quell’appuntamento. Molto più realistico immaginare un Nadal pronto per l’inizio del 2024, proiettato sugli Australian Open e poi su quella che per sua stessa ammissione sarà l’ultima annata sul circuito, magari alla ricerca di quel 15′ sigillo al Roland Garros cui quest’anno ha dovuto rinunciare a malincuore: «II piano – come ha detto tre settimane fa – è quello di giocare nella prossima stagione i tornei che più di tutti ho amato e che maggiormente hanno segnato la mia storia da professionista anche per non disputare un anno da comparsa». Ti aspettiamo, Rafa.

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