Caso Djokovic - Ha prevalso la ragion di Stato. E’ stata una scelta politica ma credo sia giusto così - Pagina 2 di 4

Editoriali del Direttore

Caso Djokovic – Ha prevalso la ragion di Stato. E’ stata una scelta politica ma credo sia giusto così

Dalla vicenda escono male tutti, Craig Tiley in testa. Poi Djokovic e non per essere andato a Melbourne. Ma per come ci è andato. Male anche l’Australia. Bravi soltanto tutti i giudici

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Sul mistero del certificato di positività, denunciato da Der Spiegel, prima negativo, poi positivo, e la presunta confusione di date, non ho alcuna chiave di lettura e quindi non presumo un bel nulla perché mi mancano troppe conoscenze e dettagli.

Non avevo dato allora, e non do ancora oggi, alcuna colpa a Djokovic per essersi fidato di Craig Tiley quando il direttore dell’Australian Open gli ha detto che poteva godere di un’esenzione nel caso di una sua raggiunta positività a ridosso dell’Australian Open.

Certo la coincidenza di raggiungerla con 6 giorni di ritardo, il 16 dicembre, quando la dead-line conosciuta dallo stesso Djokovic era il 10, non poteva non insospettire i maligni emuli del detto andreottiano che non ripeterò più. Gli smemorati lo troveranno sull’ultimo editoriale.

Il primo responsabile di tutto questo caos è quindi stato certamente, indiscutibilmente, il direttore sudafricano del torneo.

Anche fra Stato di Vittoria e Stato federale c’è stato un discreto rimpallo di responsabilità. Quante volte abbiamo assistito noi in Italia a discrepanze normative fra regione, provincie e comuni. E pratiche che nello stesso ente impiegavano mesi per passare da un tavolo all’altro nella stessa stanza.

Abbiamo così scoperto che tutto il mondo, anche Down Under, è Paese. E che c’è – vedi Tiley – qualche dirigente più disinvolto di un altro quando c’è da tirare acqua al proprio mulino.

Era insopportabilmente doloroso per Tiley pensare di dover rinunciare in partenza al nonuplo campione d’Australia Djokovic, quando Federer è in pantofole, Nadal ha un piede barlaccio, Tsitsipas un gomito malmesso, Murray l’anca di Noè (rubo la spiritosa immagine all’amico Stefano Semeraro per avergliela sentita pronunciare in un collegamento su Radio Sportiva) e Wawrinka è disperso in qualche montagna svizzera.

Tiley non si è fatto scrupoli, ha ricevuto due lettere che gli spiegavano che l’esenzione dal vaccino per partecipare all’AO valeva soltanto per gli australiani residenti in Australia e Nuova Zelanda, ma le ha buttate nel cestino.

Chi vuoi che fermi all’aeroporto Djokovic se presenta un documento che gli permette di entrare pur non avendo fatto il vaccino?

Probabilmente nessuno, forse…se Nole non avesse commesso l’incredibile ingenuità di inviare dall’aeroporto quel suo annuncio giulivo accompagnato da un sorriso a 32 denti via Instagram – ma quanti guai conseguono quotidianamente a questa mania di comunicare tutto e di più? – “Oggi sto andando in Australia con un’esenzione medica, andiamo 2022”.

Grande ingenuità, sostengo, da parte di un giocatore di cui tutti conoscevano benissimo la convinta, pervicace ritrosia a vaccinarsi. Perfino prima che spuntassero i vaccini.

Djokovic padrone di non vaccinarsi? Sì, certo (anche se da trivaccinato disapprovo apertamente), ma allora quando ti rendi conto che su 128 pretendenti al tabellone di uno Slam tutti gli altri accettano di vaccinarsi, tu resti libero di non farlo. Ma allora te ne resti a casa (come Sandgren e Herbert).

A pagina 3 il post Instagram galeotto

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