Caso Djokovic - Ha prevalso la ragion di Stato. E’ stata una scelta politica ma credo sia giusto così - Pagina 3 di 4

Editoriali del Direttore

Caso Djokovic – Ha prevalso la ragion di Stato. E’ stata una scelta politica ma credo sia giusto così

Dalla vicenda escono male tutti, Craig Tiley in testa. Poi Djokovic e non per essere andato a Melbourne. Ma per come ci è andato. Male anche l’Australia. Bravi soltanto tutti i giudici

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Oppure, una volta che il semaforo rosso diventa giallo farlocco grazie a un daltonico Tiley, tu superi quel semaforo con la più estrema prudenza del più prudente motociclista (ci potrebbe essere una telecamera che ti becca in flagrante, con il giallo non si sa mai), senza sgassare ma tenendo un comportamento sottotraccia, indossando ovunque il casco (la mascherina), parcheggiando all’interno della zona normalmente proibita ma stando bene attento a rispettare tutte le regole esistenti, certo senza suonare il clacson (dei social).

Novak, superficialità o arroganza che fosse derivante dai vizi di cui sono naturale preda quasi tutte le star– chi più chi meno – si è sentito talmente stracoperto dalle assicurazioni di Tiley che ha clamorosamente sottovalutato con quell’improvvido Instagram quelle che invece avrebbero dovuto essere le più che prevedibili reazioni di tutti quegli australiani vittime delle regole più severe al mondo, per mesi e mesi, 262 giorni di lockdown a Melbourne, guai a presenziare a matrimoni e funerali, distanziamenti controllati, viaggi interstati proibiti, decine di migliaia di familiari confinati all’estero se all’estero si trovavano.

Scoppiata una mezza rivoluzione a seguito di quell’impopolarissimo Instagram, ecco che anche i politici meno svegli sono stati costretti a svegliarsi.

Ci sono le elezioni fra quattro mesi, come dimenticarlo?

Ma attenzione, queste ultime righe farebbero pensare che anch’io sostenga come tanti – e certamente come la stragrande maggioranza della popolazione serba in adorazione per Nole (anche quella che non crede sia Gesù e neppure Spartaco) –  il marcio della politica.

Non è così. Io do piena ragione al giudice Kelly quando ha detto :”Ma che cosa poteva fare quest’uomo?” a riguardo di Djokovic che arriva bello tranquillo in piena notte a Melbourne, gli tolgono portafogli e telefonino impedendogli qualsiasi assistenza da parte di un legale – e per me è già quasi un mistero che lui già ne avesse uno in Australia – che non poteva davvero contattare attraverso un piccione viaggiatore speditogli alle 6 del mattino.

Gli officials dell’aeroporto gli facevano le domande e le osservazioni più ridicole e assurde che io abbia mai sentito. Ho sinceramente ammirato Novak per la calma, la tranquillità, la serena lucidità con cui è riuscito a rispondere senza perdere le staffe. Quel comportamento intelligente lo ha certo aiutato nel momento in cui il giudice Kelly ha letto il verbale dell’interrogario, avvenuto dopo che al primissimo controllo Novak era passato indenne. E Kelly non si è fatto condizionare da altre (eventuali) pressioni nel giudicare come gli pareva giusto. Djokovic era venuto in Australia perché il suo referente, Tennis Australia, gli aveva detto che non ci sarebbero stati problemi.

Ma quando sopra ho detto “non è così” è perché non mi sono per nulla scandalizzato quando il ministero dell’immigrazione ha disposto una nuova revoca del visto.

Semmai non c’era bisogno di infierire sequestrandolo come se fosse un criminale, perché si doveva comunque capire che Djokovic – salvo che fosse stato ritenuto complice di qualche lacchezzo assolutamente non provato- era venuto in Australia credendo di avere un visto valido.

Vero che per equità verso gli altri disgraziati ospiti del Park Hotel, fra scarafaggi e vermi, si poteva dire: perché loro, e da anni, sì e Djokovic per 4 giorni no?

Io non so per quali motivi tutti gli altri sono “in detenzione lì”, però so perché c’era Djokovic…e la peggior disuguaglianza e ingiustizia, diceva il grande giurista Calamandrei, è “trattare in maniera uguale situazioni disuguali”.

Arrivo finalmente – direte! – in fondo e alla sentenza che al momento in cui scrivo è priva delle motivazioni.

Se ci si trova in uno Stato democratico, e non dittatoriale, si deve accettare che prevalga la ragion di Stato in presenza di certe situazioni.

I tre giudici della corte federale hanno dato ragione – e vedremo poi le loro motivazioni – perché hanno condiviso maggiormente l’arringa dell’avvocato del ministro Hawke Stephen Lloyd che quella dell’avvocato di Djokovic Nick Wood che si è spinto troppo in là quando ha preteso di sostenere che non era vero che Djokovic si fosse dichiarato contro i vaccini, mettendo in dubbio la sua appartenenza alla corrente No Vax.

A pagina 4 Il capolavoro dell’avvocato Lloyd

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