È Barty-party all'Australian Open: Ashleigh prima australiana a vincere in casa dopo 44 anni [VIDEO]

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È Barty-party all’Australian Open: Ashleigh prima australiana a vincere in casa dopo 44 anni [VIDEO]

Melbourne Park festeggia la sua nuova campionessa. Battuta Collins in due set, rimontando da 1-5 il secondo. Terzo Slam su tre superfici diverse

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Ashleigh Barty - Australian Open 2022 (foto Twitter - @WTA)
 

[1] A. Barty b. [27] D. Collins 6-3 7-6

Può fare finalmente festa Melbourne Park, che incorona la sua nuova campionessa: la numero incontrastata 1 del tennis femminile, Ashleigh Barty. In una finale in cui ha avuto molti più problemi rispetto ai precedenti turni, dove aveva ceduto solamente 21 giochi, Barty ha battuto 6-3 7-6(2) una grandissima Danielle Collins. Ha vinto il suo terzo trofeo dello Slam, il primo Australian Open, e lo ha fatto senza perdere neanche un set. Una liberazione per Ash e gli australiani, dopo tanta pressione accumulata in queste due settimane in cui il trionfo sembrava già scritto: è lei infatti la prima australiana a trionfare nel Major di casa in singolare singolare dopo 44 anni. L’ultima volta che a vincere fu una tennista aussie era il 1978, quando Christine O’Neil batté l’americana Betty Nagelsen, curiosamente con lo stesso punteggio della finale 2022, 6-3 7-6.

Collins era la quarta tennista statunitense di fila che Barty affrontava. Complice anche l’enorme tensione, Collins l’ha messa ben più in difficoltà rispetto ad Anisimova, Pegula e Keys. Queste quattro avversarie tra l’altro le aveva messe in fila anche al Roland Garros 2019, torneo in cui trionfò per la prima volta a livello Slam. Ma a proposito di America, lo US Open ora rimane l’unico titolo Major da conquistare in singolo (l’ha vinto in doppio): ha in bacheca il titolo degli altri tre, su tutte e tre le diverse superfici. L’unica tennista in attività ad aver raggiunto un risultato simile è Serena Williams, sulle cui orme Ash sta costruendo un periodo da assoluta dominatrice nel circuito femminile.

 

LA PARTITAIl boato che ha accolto in campo Ashleigh Barty per la sua prima finale all’Australian Open è una di quelle cose che verranno ricordate per quanto riguarda quest’edizione del torneo. L’impressione è che la Rod Laver Arena sia stata riempita se non al 90, almeno per un 80% abbondante. Si perdeva il conto di bandiere e cappelli australiani insieme alle classiche magliette gialle, tutti pronti a festeggiare il primo titolo di un’australiana a Melbourne in singolare in 44 anni. Si è vista comunque anche una piccola parte di pubblico che tifava per Danielle Collins.

La statunitense era chiamata ad aggredire la partita per poter avere una chance all’inizio. Per i primi 3 game infatti si è entrati pochissimo nello scambio. Barty ha avuto l’aiuto necessario dal suo servizio per vincere punti facili ed entrare in partita bene, nonostante la pressione del suo pubblico le abbia fatto scappare un paio di rovesci in slice e dritti. Invece Collins ha provato subito a divorare la palla col il rovescio sulle seconde di Ash: una grafica ha mostrato che questo atteggiamento aggressivo ha costretto Barty a stare un metro e mezzo dietro la linea di fondo nei due precedenti giocati ad Adelaide, mentre la statunitense giocava in media ben dentro il rettangolo.

Collins ha portato Barty ai vantaggi per la prima volta sul 2-2. L’ennesimo regalo con il dritto della numero 1 mondiale ha dato una palla break a Danielle, ma Barty con lo stesso coraggio impersonato nel cinema dall’inquadrato Russell Crowe (seduto a bordocampo, beato lui!) ha piazzato un dritto imprendibile per annullarla. Probabilmente un filo più sciolta Barty nel sesto game. È riuscita a entrare meglio nel palleggio, mettendo i piedi dentro al campo per prendersi la prima palla break della sua partita. Un doppio fallo di Collins le ha dato il 4-2. Con poco più del 50% di prime in campo, Barty ha fatto metà dei punti con la seconda in campo, ma 15/16 con la prima. Infatti Danielle ha risposto solo al 30% delle sue prime, mentre nel torneo era riuscita a ribattere al 77% di quelle servite dalle precedenti sei avversarie. In 32 minuti il primo set è andato nelle mani dell’australiana, 6-3

Nonostante un buon primo punto vinto da Barty, il secondo è iniziato nel segno di Collins. Nel primo turno di battuta di Barty, l’americana si è guadagnata due palle break, si è vista annullare la prima dall’ace, ma sulla seconda ha messo i piedi dentro il campo e ha accompagnato con uno dei suoi ‘Come on!’ il break, 2-0. Danielle con la grinta e la convinzione che da sempre la contraddistinguono, ha portato avanti il suo vantaggio fino al 4-1, aiutata da una ritrovata prima di servizio (quasi il 70% di prime nel set, 80 nelle fasi centrali). Barty ha commesso due doppi falli nel suo terzo turno di battuta del parziale, subendo un secondo break. Per la prima volta nel torneo ha ceduto più di quattro game in un singolo set.

Ma Collins non ha ben gestito il primo momento in cui poteva servire per portare la finale al terzo e ha fatto rientrare Barty. Sul 5-3, dal 30-0 per la statunitense, Barty ha pescato due vincenti col dritto che provano il suo status di numero 1 mondiale. Poi sul 30-30, ha approfittato di una seconda attaccabile e il rovescio in rete di Danielle le ha permesso di completare la rimonta. Ashleigh ha dovuto superare un altro momento difficile nel dodicesimo game, ma ben quattro servizio vincenti hanno cancellato il mini-vantaggio di 15-30 conquistato da Collins. L’inizio di tie-break è stato straordinario per la miglior giocatrice del circuito. Si è visto un primo schema con la palla corta dell’intero match sul 3-0 e poi con il servizio ha amministrato il vantaggio, fino al 6-2. Qui un passante di dritto vincente ha chiuso nella maniera migliore un torneo memorabile per l’Australia e per Ashleigh Barty. Da pelle d’oca vedere per la prima volta Barty rilasciare tutte le emozioni in un unico urlo liberatorio, qualcosa che non si vede quasi mai da parte sua. Ma questa è la sua serata.



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Wozniacki, Raducanu, Osaka, Kerber… Quali wild card all’Australian Open 2024?

Decisione difficile per Tennis Australia: tante giocatrici di grande richiamo non avranno la classifica per entrare in main draw

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Caroline Wozniacki - US Open 2023 (Twitter @usopen)
Caroline Wozniacki - US Open 2023 (Twitter @usopen)

L’Australian Open 2024 si preannuncia essere uno Slam di grandi rientri per il tennis femminile: diverse giocatrici sono state fuori per tempo dal circuito e sono “nobili decadute” della classifica, di conseguenza non hanno il ranking per partecipare al primo Slam della stagione. Su tutte c’è Caroline Wozniacki, che ha già annunciato di aver terminato la stagione 2023 dopo l’ottavo raggiunto allo US Open perdendo in tre set contro Coco Gauff. La danese è rientrata alla grande dopo la doppia maternità ed è risalita al numero 242 del ranking. In conferenza stampa ha annunciato che Melbourne sarà un grande obiettivo all’inizio del prossimo anno: verosimilmente un invito andrà alla campionessa dell’edizione 2018.

Non solo la 33enne di Odense: proverà a rientrare anche un’altra neo-mamma come Naomi Osaka. La giapponese, due volte campionessa in Australia, aveva dichiarato ancora prima di Wozniacki di voler tornare in campo appena dopo aver concluso la prima maternità.

Stesso discorso per Angelique Kerber, vincitrice del primo Major dell’anno nel 2016: la tedesca ha espresso più volte la volontà di rientrare. La tedesca potrebbe usufruire però del ranking protetto. Chi non si vuole arrendere è Venus Williams che ha ottenuto qualche buon risultato in questo 2023 e cerca di continuare per togliersi qualche altra soddisfazione.

 

La prossima stagione vedrà anche il rientro di Emma Raducanu dopo tre interventi chirurgici, a entrambi i polsi e alla caviglia: anche la britannica può utilizzare il ranking protetto.

Capitolo a parte riguarda invece Garbine Muguruza e Simona Halep. La spagnola si è presa quest’anno una pausa di riflessione dal tennis, ma nel 2024 vuole tornare a competere. L’iberica è stata finalista degli Open d’Australia nel 2020. Finalista nel 2018 in Australia la rumena, che vedrà scadere la sua sospensione per doping. Tantissime giocatrici in lizza per le sei wild card disponibili: vedremo quali saranno le scelte di Tennis Australia.

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Wimbledon: Sonego-Berrettini il ventunesimo derby azzurro negli Slam, Fognini l’italiano ad averne disputati di più

11 Roland Garros, 5 Wimbledon, 3 US Open, un solta volta a Melbourne: così suddivisi i derby italiani nei Majors

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Berrettini Sonego Stoccarda 2023

A distanza di poco più di tre settimane dal loro incrocio sull’erba di Stoccarda, Lorenzo Sonego e Matteo Berrettini daranno vita, nel primo turno dell’edizione 2023 di Wimbledon, al ventunesimo derby italico che si consumerà nella prestigiosa cornice dei tornei del Grande Slam.

I derby di Wimbledon

Se poi si vuole limitare il campo di analisi al “solo” Church Road, quello tra il torinese ed il romano, sarà il sesto incontro con protagonisti due tennisti azzurri ad affrontarsi nella storia dello Slam londinese che va in scena sul suolo di Sua Maestà. Il capostipite, in tal senso, dei Championships è stato il match di 43 anni fa, correva quindi il 1980, fra Adriano Panatta e Corrado Barazzutti: una partita di secondo turno che vide l’Adriano Nazionale aggiudicarsi la sfida con Barazza, compagno di squadra in Davis, solamente al quinto set per 1-6 6-3 6-4 3-6 6-1. Piccola curiosità relativa al contorno, o se preferite all’antipasto, di quello scontro “nostrano” è rappresentata dal fatto che Corrado al round precedente superando lo statunitense Scott Davis ottenne il primo ed unico successo della carriera sui sacri prati.

Da quella partita fratricida in salsa tricolore sul perfetto manto erboso di SW19, trascorrono 11 lunghi anni prima di poter riammirare – con annesso plotone emotivo che ne consegue – un altro derby italiano nella medesima prova Major: il teatro che ospita lo spettacolo infatti è sempre lo stesso, ancora Wimbledon, ma nel 1991 i “nuovi” volti sono quelli di Omar Camporese e Claudio Pistolesi. Da annotare anche una piccola differenza a livello di momento nel tabellone in cui il duello prende vita, non i trentaduesimi bensì i sessantaquattresimi: alla fine della fiera, però, cambia poco. Vince il bolognese con lo score di 6-1 6-3 2-6 6-3.

 

Il terzo derby azzurro consumatosi nel torneo più famoso del Pianeta è decisamente più recente, rintracciabile nel primo quinquennio del ventunesimo secolo: era il 2005, e tra un giovane Andreas Seppi ed un esperto Davide Sanguinetti – i 21 anni del bolzanino contro le 33 candeline del viareggino – ad avere la meglio fu il maggiore chilometraggio del tennista toscano che si impose nettamente in scala discendente 6-3 6-2 6-1. Esattamente un anno dopo, dunque con il ritmo dei sorteggi malandrini che accoppia uno contro l’altro esponenti della racchetta del Bel Paese in considerevole aumento rispetto al passato, al 2°T e nel quarto derby verde-bianco-rosso di sempre sull’erba più sublime che esista Daniele Bracciali trionfava in quatto parziali sul padovano Stefano Galvani.

L’ultimo, prima di Sonny-Berretto, è datato 2018 con gli amici “Chicchi” di mille avventure in doppio Simone Bolelli e Fabio Fognini a doversi misurare con le ripercussioni psicologiche che un tale faccia a faccia poteva portare in dote: a spuntarla fu il più forte in quel preciso frame storico delle loro carriere sulle superfici rapide, il ligure staccò il pass per i sedicesimi in virtù del 6-3 6-4 6-1 finale.

Negli altri tre appuntamenti Slam del calendario, l’Italia tennistica nella storia di questo sport ha così distribuito i suoi 20 derby: 11 al Roland Garros, 5 a Wimbledon, 3 allo US Open, 1 all’Australian Open.

Fognini il tennista azzurro ad aver giocato, e vinto, più derby tricolore

Il tennista azzurro che in assoluto ha disputato più volte un derby Slam è il taggiasco Fabio Fognini, la bellezza di 5 scontri con connazionali a tentare di contrastarlo dall’altra parte delle rete sulla lunga distanza: a Melbourne ha sconfitto Salvatore Caruso nel 2021, nella Parigi terrosa ha superato sempre Andy Seppi sia nel 2017 che nel 2019, cinque stagioni orsono all’All England Club la già menzionata vittoria di Fogna si è materializzata a discapito del fido Bolelli. Infine, a completamento del proprio personale Career Grand Slam a livello di derby giocati c’è l’unico KO con Stefano Travaglia a New York nel 2017.

A quota tre derby nei Majors ci sono invece Barazzutti e Seppi; a 2 Bolelli, Bracciali e Sanguinetti.

Vale la pena anche ricordare come nessun derby azzurro Slam sia andato in scena oltre il 3°T, non abbiamo mai assistito ad un ottavo di finale tutto italiano per capirsi. I sedicesimi nella storia – in assoluto, non soltanto nell’Era Open – Majors sono stati 3: De Morpurgo-Bonzi all’Open di Francia del lontanissimo 1929, Paolo Lorenzi – Thomas Fabbiano nel 2017 a Flushing Meadows e dulcis in fundo Lorenzo Musetti contro Marco Cecchinato al RG del 2021, l’ultimo tutt’ora.

Ma adesso siamo pronti per scrivere un altro capitolo, il ventunesimo: Lorenzo Sonego e Matteo Berrettini fateci divertire.

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Numeri: il dominio di Djokovic nel tennis maschile dal 2011 ad oggi

Dalle settimane trascorse al numero uno al confronto contro gli altri grandi: Ferruccio Roberti raccoglie alcuni dati che testimoniano chi sia stato il più grande di quest’era tennistica

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Novak Djokovic - Australian Open 2023 (foto: twitter @AustralianOpen)

62 – Il numero percentuale delle settimane trascorse come 1 ATP da Novak Djokovic dal 4 luglio 2011 -giorno successivo alla prima vittoria di Wimbledon che lo proiettò sulla cima del ranking – a oggi. Una cifra di per sé impressionante che probabilmente sarebbe potuta essere ancora più significativa se il serbo non avesse saltato la seconda parte del 2017 e se l’anno scorso non avesse scelto di mettersi nelle condizioni di non poter partecipare a due Slam e quattro Masters 1000 (e a Wimbledon i punti fossero stati assegnati).

Altri numeri aiutano a comprendere meglio quanto fatto dal serbo dalla seconda metà del 2011 ad oggi: dal luglio di dodici anni fa ha vinto 19 dei 42 Slam (il 45,2%) e 29 dei 75 (38,6%) Masters 1000 a cui ha preso parte. In questo stesso periodo ha vinto 190 dei 245 (77.6%) match disputati contro colleghi nella top ten e, più in generale, si è imposto in 670 dei 768 incontri disputati (l’87,2%, una percentuale che sale al 89.3 considerando solo le partite non giocate sulla terra rossa). Della prima top 20 che lo vide al numero 1 sono rimasti sul circuito Nadal, Murray, Monfils, Gasquet e Wawrinka, mentre in quella attuale solo l’immenso campione maiorchino e Carreno Busta erano già tennisti professionisti nel momento in cui Djokovic salì per la prima volta al numero 1 del mondo. 

Non per fare inutili paragoni tra campioni che hanno avuto ciascuno la loro fantastica parabola, ma per comprendere meglio questo approfondimento sul periodo che parte da quando Nole è diventato numero 1, si può osservare come solo Nadal, di un anno più grande di Djokovic, ha avuto numeri in qualche modo paragonabili al serbo. In questo lasso temporale Rafa ha comunque vinto dodici Slam e diciassette Masters 1000, occupando la prima posizione del ranking ATP per 107 settimane, ma perdendo 18 dei 31 scontri diretti giocati con Novak  e sconfiggendolo solo 2 delle 14 volte in cui lo ha affrontato lontano dalla terra battuta. Ancora più pesante lo score con l’altro leggendario “big three”, Roger Federer: nato quasi sei anni prima di Djokovic, compiva di lì a un mese 30 anni la prima volta che Nole diventava numero 1 e ha inevitabilmente pagato la differenza d’età. Ad ogni modo, l’immenso campione svizzero nel periodo che stiamo analizzando ha vinto 4 Slam e 11 Masters 1000, è stato numero 1 ATP per 25 settimane complessive e contro Nole ha vinto 9 delle 27 volte in cui si sono confrontati. 

 

Quando domenica scorsa ha sconfitto in finale degli Australian Open Stefanos Tsitsipas il serbo aveva 35 anni 8 mesi e 6 giorni, ma non è un record: sei volte è accaduto che tennisti più anziani del serbo vincessero uno Slam (il primato assoluto è di Ken Rosewall, che vinse gli Australian Open del 1972 avendo compiuto da poco più di un mese i 37 anni). Così come non è un record di longevità il ritorno al numero 1 del ranking ATP da parte di Djokovic: Roger Federer nel giugno 2018 lo è stato a meno di due mesi dal compiere 37 anni. Quel che impressiona di Nole è piuttosto come a quasi 36 anni riesca ad avere non solo elevatissimi picchi di rendimento -non impossibili ai campioni come lui- ma anche di continuità, una caratteristica molto più rara per gli over 35 negli sport professionistici. A tal riguardo basti pensare che sconfiggendo Tsitsipas pochi giorni fa il serbo ha vinto 38 degli ultimi 40 incontri giocati (e tutti gli 11 match nei quali ha sfidato colleghi nella top 10).

 ParTit.Fin.Part. Gioc.Part. Vin.Part. Per.% Vitt.  % set vinti% game vinti% t.b. vinti
Australian Open18109789891.882.962.363.8
Roland Garros182 4101851684.277.160.255.9
Wimbledon17 7 196861089.678.758.667.2
US Open16 394811386.276.060.061.4
Indian Wells145950984.776.359.769.6
Miami135144786.382.161.683.3
Monte Carlo15 2 48351372.967.058.080.0
Madrid 12 3 0 3930976.969.656.050.0
Roma16  6 74641086.576.059.663.2
Montreal/ Toronto11 44 37784.179.458.073.3
Cincinnati14  52401276.971.156.361.1
Shanghai 4 0 3934587.281.461.471.4
Parigi Bercy 16 6 3 5445983.374.258.370
O2 Arena (ATP Finals)11  46341273.968.356.570.6
Dubai12  150 43786.078.459.869.2

Non c’è un centrale che ha fatto la storia recente del tennis a non aver conosciuto le vittorie di Novak Djokovic, unico tennista ad aver conquistato almeno due volte tutti gli Slam, tutti i Masters 1000 (e le ATP Finals). Il decimo successo agli Australian Open, torneo che in assoluto ha vinto più di tutti, fa supporre che con ogni probabilità la Rod Laver Arena sia il campo dove si giocherebbe la sua partita della vita. Più per ricapitolare qualche numero della sua carriera a beneficio dei lettori che per ricavare un dato oggettivo (nel susseguirsi delle edizioni di uno stesso torneo cambiano in parte le condizioni di gioco, basti pensare ad esempio alle modifiche apportate alla superficie e/o alle palline), sono andato a recuperare alcune sue statistiche nei tornei più importanti del circuito e in quelli nei quali ha giocato un elevato numero di match, come Dubai. Dalla tabella in cui sono raccolti i dati arriva la conferma che in effetti gli Australian Open sono il torneo in cui Djokovic ha il più alto rendimento e non solo perché è quello a cui ha preso parte più volte (18, così come al Roland Garros). A Melbourne il serbo vanta la miglior percentuale di vittorie rispetto ai match giocati (91.8%) e di set vinti rispetto a quelli disputati (82.9%). Ovviamente, non sorprende che un sette volte vincitore di Wimbledon abbia numeri eccellenti anche sui campi di Church Road, mentre un pochino stupisce che gli Internazionali d’Italia – dove vanta un ottimo score con sei successi e altrettante finali – siano il torneo sul rosso dove si esprime meglio e in assoluto uno dei migliori per il suo rendimento. In ogni caso numeri incredibili: solo a Monte Carlo, Madrid e Cincinnati (la O2 Arena dove si giocavano le Finals è un discorso a parte, vista l’altissima caratura degli avversari) non ha vinto almeno l’80% delle partite. Not too bad…

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