Il progresso del tennis è un eterno ritorno

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Il progresso del tennis è un eterno ritorno

Nella sua evoluzione, il tennis moderno non sempre ha avuto un percorso lineare. Talvolta, infatti, è stato ed è necessario riprendere qualcosa del passato per progredire

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Roger Federer - Wimbledon 2019 (foto Roberto Dell'Olivo)
 

Nel mondo del tennis attuale i termini più di moda sono PROGRESSO e NEXT, intesi come fenomeni tecnici che mettono in archivio epoche tennistiche passate considerate ormai ampiamente impolverate e superate.

Nel nostro immaginario collettivo il tennis moderno è un servizio a 240 km/h oppure un diritto sparato in top spin da Thiem che è pesante quanto uno smash: al confronto, quindi, tennisti come Panatta, Mc Enroe o Edberg sono come statue di cera di tempi ormai troppo lontani. Il top spin fu l’elemento spartiacque che contrassegnò il passaggio dall’ante Cristo tennistico al dopo Cristo: sembrava, infatti, che la palla rotante avesse annullato il un sol colpo decenni di tennis piatto e lineare dalla tecnica pura e distillata.

Eppure, come sempre c’insegna la Storia, che è fatta si di mutamenti ma anche di regressioni e retromarce, anche il tennis moderno non ha avuto un percorso lineare in avanti: qualche volta ha compiuto qualche passo indietro per riprendere ciò che di buono è stato fatto in passato per poi ripartire di slancio. Il top spin stesso ha subito battute d’arresto e cambiamenti: i primi a far girare la palla con racchette di legno stupendo il mondo furono Borg e Vilas, poi arrivarono molti altri arrotini come Wilander, Bruguera e Muster che rivoluzionarono il modo di giocare. I match si trasformavano quasi sempre in maratone noiose con scambi infiniti alti due o tre metri sopra la rete, in cui la voleè e la smorzata erano semplicemente optionals.

Venne poi “il corri e tira” del mitico coach statunitense Nick Bollettieri, in cui Agassi e Courier acceleravano il braccio coi piedi ben a ridosso della linea di fondo campo: in quest’epoca i giocatori avevano tendenzialmente quasi sempre un colpo forte a discapito degli altri. L’idea era che questo bastasse ed avanzasse e che quella completezza tecnica tanto ammirata fino alla fine degli anni ’70 e ’80 e primi anni ‘90 coi grandi Becker, Edberg e Sampras fosse quasi inutile.

Arrivò poi Federer all’inizio degli anni 2000 a rivoluzionare tutto, mettendo in campo un tennis da gesti bianchi abbinato ad una velocità esecutiva elevatissima: back, top, slice, voleè, demivoleè, drop shot e molte altre magie ancora. La sua sfortuna fu l’arrivo dopo qualche anno di Nadal e Djokovic che seppero contrastare il suo talento a forza di top spin estenuanti e dalla regolarità asfissiante; questi ultimi quindici anni sono stati caratterizzati dalla consistenza del loro gioco insieme a quello di Murray: Federer s’è dovuto trasformare così nel mago Copperfield alla ricerca del colpo illusionistico in grado di dissolvere la frustrazione di una palla che gli ritornava sempre al di quà della rete. Sono stati, quindi, anni in generale di tennis mondiale solido, ma non eccezionali da un punto di vista tecnico: gli stessi Nadal e Djokovic non sono stati giocatori di straordinario talento con la racchetta in mano, ma molto capaci invece mentalmente e fisicamente. La volée e la smorzata per esempio sono andate in soffitta ed anche il top spin aveva sì grande potere di rotazione, ma non tanto di penetrazione in avanti.

Guardando qualche highlights dei match fra Federer e Nadal di sette o otto anni fa, sembra di vedere un tennis già datato e superato: oggi il gioco è diventato molto più veloce, lo stesso top spin è molto più penetrante, i giocatori sono sempre più fisici coi piedi quasi attaccati alla linea di fondo campo, il servizio è tornato ad avere una grande importanza, si rivedono giocate all’attacco con voleè in passo spinta, la smorzata è stata rispolverata dai cassetti ed è tornata ad essere letale. A Bercy, infatti, Djokovic ha fatto quasi serve and volley contro Medvedev, giocando anche parecchie smorzate: questo è il mistero e lo scherzo del progresso che, facendo due passi in avanti, ne fa anche uno all’indietro recuperando ciò che di più virtuoso è stato creato in passato.

Sono trascorsi tanti anni da mitici tennisti d’attacco e a tutto campo come Becker, Edberg e Sampras, il tennis da lì in poi ha purtroppo imboccato una curva a trazione posteriore limitante, logora infatti psicofisicamente i tennisti sulla riga di fondocampo e gli scambi non sono mai finiti: l’austriaco Thiem è l’esempio più eclatante. Meno male che il nostro Sinner ha capito, infatti, che non c’è futuro se ti metti ad aspettare una palla solo da quella posizione: l’abbiamo visto negli ultimi mesi andare molto più a rete e con un servizio decisamente più robusto.

Il tennis, come la moda, è quindi un eterno ritorno in cui il tempo passato non passa nel tempo che passa.

(AGGIORNAMENTO del 4 febbraio: Qui Antonio Di Vita risponde alle critiche dei lettori su un passaggio di questo articolo).

Antonio Di Vita

Antonio Di Vita, istruttore di tennis e coach GPTCA, è da moltissimi anni collaboratore di Alberto Castellani

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