Zverev e i fatti di Acapulco: una (finta) sanzione che non può stupire

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Zverev e i fatti di Acapulco: una (finta) sanzione che non può stupire

Un commento sulla decisione dell’ATP relativa al comportamento violento tenuto dal giocatore tedesco in Messico

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Alexander Zverev - ATP Cup 2022 Sydney (foto Twitter @ATPCup)
 

La (finta) sanzione disposta dall’ATP nei confronti di Alexander Zverev per i fatti di Acapulco può lasciare scandalizzati, ma non stupisce. Certo, fa scalpore pensare che un gesto di violenza ai limiti dell’aggressione come quello nei confronti del giudice di sedia Alessandro Germani possa condurre solo alla squalifica dal torneo in cui è stato commesso (e ovviamente alla perdita dei punti e dei soldi guadagnati in quella competizione, oltre ad una multa di 40mila dollari). A Zverev, come noto da qualche giorno, è stata irrogata una multa di 25mila dollari e una sospensione di otto mesi dal circuito. Ma la sanzione è stata sospesa sotto condizione che per un periodo di prova della durata di un anno Sascha non ricaschi in un errore simile. Un buffetto, una grazia, una sentenza-farsa: la decisione è stata definita in tanti modi, e probabilmente nessuno di questi è fuori luogo: anche se non ci sono dubbi sul pentimento del giocatore, è logico aspettarsi una punizione efficace (non lo è, per uno sportivo del suo livello e del suo talento, una multa di qualche decina di migliaia di dollari o la perdita di qualche punto ATP).

Negli ultimi anni si sono visti pochi casi simili a quello di Zverev, definito “Aggravated Behaviour” dalle ATP Rules. E solo una volta è arrivata una sospensione dal circuito. Accadde nel 2016 a Nick Kyrgios, che nel Masters 1000 di Shanghai durante il match contro l’altro Zverev, Mischa, giocò svogliatamente, buttando via i punti decisivi palesemente. Il tutto corredato con litigate furiose col pubblico e insulti a chi lo fischiava per il suo comportamento. In quel caso l’australiano si beccò in tutto 16.500 dollari di multa e otto settimane di squalifica, ridotte a tre purchè il giocatore iniziasse un piano di cura sotto la direzione di uno psicologo dello sport. Condizione che Kyrgios accettò. Ma il percorso non ha dato i risultati sperati, perché nel 2019 il buon Nick ci è ricascato. A Cincinnati, infatti, fece una sceneggiata indegna nei confronti del giudice di sedia Fergus Murphy, con tanto di sputo nella sua direzione. L’ATP al termine dell’indagine emanò una sanzione di ben 16 settimane con una sanzione di 25mila dollari. Ma, nonostante fosse recidivo, Kyrgios beneficiò di una “condizionale” di sei mesi, sempre con l’avvertimento di non ricadere nei soliti errori.

La sospensione dal circuito è dunque una punizione che evidentemente l’ATP non si sente di rifilare. Il motivo è paragonabile a quello per cui l’Australian Open ha cercato una scappatoia per far partecipare Novak Djokovic al torneo. L’associazione che governa il tennis maschile non è certo un organo indipendente, ma un ente che al suo interno vede sì i rappresentanti dei giudici di sedia, ma anche quelli dei giocatori e dei direttori dei tornei, che vendono diritti tv ai broadcaster e sono tenuti a garantire un certo livello di spettacolo. Le ATP Rules prevedono che le decisioni nei casi come quello di Zverev siano prese da una sola persona, il vice-presidente Miro Bratoev, colui che sovrintende all’applicazione dei regolamenti, che opera in modo indipendente dal Management e dal Board. Ma è difficile pensare che un solo uomo possa prendersi una responsabilità importante come questa. Il risultato è il buffetto dato a Zverev, che fa passare nei confronti delle generazioni più giovani il messaggio (sbagliatissimo) per cui chi sbaglia può non pagare. 

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