A ruota libera con Renzo Furlan: "L'Italia vincerà la Davis entro tre anni. La nuova formula? Mi piace..." [ESCLUSIVO]

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A ruota libera con Renzo Furlan: “L’Italia vincerà la Davis entro tre anni. La nuova formula? Mi piace…” [ESCLUSIVO]

Il coach di Jasmine Paolini, Renzo Furlan, parla dei progressi fatti da Jasmine Paolini e del momento d’oro del tennis italiano

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Renzo Furlan - Indian Wells 2022 (foto Ubitennis)
 

dal nostro inviato a Indian Wells

Dopo la splendida vittoria di Jasmine Paolini su Aryna Sabalenka a Indian Wells, abbiamo scambiato due parole con l’allenatore di Jasmine, l’ex n. 18 ATP Renzo Furlan, con il quale abbiamo parlato del lavoro fatto con la sua allieva, del tennis italiano in generale e della Coppa Davis.

Ho chiesto a Jasmine cosa le avesse detto dopo la vittoria contro Sabalenka, e lei ha risposto: “Mi ha detto che ho giocato un buon match”. Ha battuto la numero 3 del mondo e ha giocato un buon match??

Con queste giocatrici prima di tutto bisogna riuscire a competerci, a giocare. E quindi quando si riesce a giocare si può dire di aver fatto una buona partita. Le condizioni non erano facili, c’era un po’ di vento, poi Sabalenka è una che prima serve due ace, poi sbaglia tre colpi, per cui è difficile che sia una “bellissima” partita in cui si gioca benissimo e non si sbaglia mai.

Tuttavia la partita di Jasmine è stata ottima perché è riuscita ad essere competitiva con una giocatrice molto forte. Secondo me queste partite si vincono solamente se si riesce a trovare la giusta chiave psicologica, e credo che Jasmine sia riuscita a portare a casa la partita perché ha trovato la giusta chiave.

L’ultima volta che ho visto giocare Jasmine dal vivo era stato allo US Open, quando ha giocato contro Azarenka, ricevendo da lei anche tanti complimenti. Oggi sembra una giocatrice completamente diversa. Che tipo di percorso di crescita avete intrapreso?

Lei è sempre stata una giocatrice che ha dato molta importanza alla velocità: ha un braccio molto veloce che riesce a far camminare la palla molto velocemente. Ma a livello di gestione del punto era deficitaria, perché lei interpretava sempre e solo la velocità. Di conseguenza abbiamo cercato di lavorare molto sul servizio, un po’ per dargli più consistenza, ma soprattutto per giocare meglio il primo colpo dopo il servizio, sul quale faceva tanti errori. Quindi si è lavorato per cercare di far partire lo scambio, e poi anche di giocare in modo di più a spingere sulla direzione avanti-indietro, mentre prima sviluppava il gioco quasi esclusivamente sulla direzione destra-sinistra. Ora è capace di avvicinarsi meglio e da ciò consegue che riesce a dare più consistenza alla palla. Questi sono i due aspetti sui quali abbiamo lavorato maggiormente.

Jasmine ripete sempre che i suoi miglioramenti sui campi veloci sono molto legati anche a una maggiore consapevolezza di poter giocare su queste superfici. Come si arriva a crederci di più?

Il percorso che abbiamo fatto da questo punto di vista è più che altro tecnico. La sua fatica a giocare sul cemento era legato un po’ all’aspetto di cui abbiamo parlato prima: non riusciva a gestire bene il punto, non lo vedeva bene, e commetteva tantissimi errori. Dallo scorso anno abbiamo iniziato a lavorare con un tecnico della video-analisi che si chiama Danilo Pizzorno, e proprio prima di Cincinnati abbiamo trascorso tre giorni lavorando proprio su questi concetti: l’importanza del servizio, l’importanza di muoversi avanti e indietro e sull’importanza della scelta delle giocate sul cemento, ovvero le direzioni dei colpi nelle varie situazioni di gioco, curandosi di aggiungere le rotazioni. Lei era una che quando giocava sul cemento sentiva di dover giocare quasi piatto, ma sul cemento si possono comunque utilizzare le rotazioni, esattamente come sulla terra. Subito dopo aver fatto questo lavoro abbiamo avuto un buon riscontro, e giorno per giorno si è costruito su questi principi. Poi è arrivato il match con Azarenka allo US Open, che nonostante sia risultato in una sconfitta è stato quello che le ha dato più fiducia, anche per i complimenti ricevuti da lei. Poi siamo andati a Portoroz e turno dopo turno ha trovato sempre un tennis migliore e poi lei è una giocatrice di grande velocità, e quando ci sono queste doti se si aggiustano alcune cose si può giocare bene sul cemento.

Come è nata la collaborazione con Jasmine?

Lei mi ha contattato verso la fine del 2015 quando avevo appeno messo in piedi un accordo con la Serbia per lavorare sul settore Under 20 maschile e femminile, però part-time. Per cui nei momenti in cui non ero in Serbia, per le 20-25 settimane che non ero impegnato con quel progetto, la seguivo, e poi da circa due anni, quando l’accordo con la Serbia si è concluso, sono full-time su di lei.

Il tennis italiano in questo momento sta ottenendo ottimi risultati, in particolare a livello maschile. Quanto aiuta anche gli altri giocatori avere personaggi come Berrettini e Sinner che possono fare conquistare visibilità al tennis?

Aiuta tantissimo. Non credo ci sia miglior traino di un buon giocatore per ogni nazione: aiuta la base, crea più interesse, se ne parla molto di più, vieni molto più indotto a giocare da quando sei piccolo. E poi è anche molto stimolante per gli altri professionisti, maschi e femmine. L’abbiamo visto anche in passato: Pennetta ha rotto quella porta che tutti pensavano non si potesse aprire, quella dei primi 10, e poi in poco tempo ne sono arrivate subito altre. Nel maschile è uguale, Berrettini e Sinner trainano moltissimo, e gli altri vedono che ne vale la pena e si può fare. Anche per le donne, sebbene pensare di ricreare un movimento come era quello di quelle quattro giocatrici che sono arrivate in Top 10 (Errani, Pennetta, Schiavone, Vinci) è molto difficile.

Infatti quando quelle quattro campionesse si sono ritirate, c’è stato un po’ un buco in mezzo e noi abbiamo dovuto partire da molto lontano senza avere l’appoggio di altre giocatrici che erano più avanti a noi. Si può dire che siano stati commessi degli errori nel gestire la transizione dopo un periodo nel quale c’erano quattro giocatrici tutte capaci di arrivare nella Top 10 e in finale Slam?

Forse si poteva fare qualcosa di diverso, ma se si fa un’analisi di quelle giocatrici, ci vede che Schiavone è cresciuta in Italia, Errani è cresciuta in Spagna, Pennetta è cresciuta un po’ in Italia e poi si è trasferita in Spagna anche lei, Vinci è cresciuta per i cavoli suoi, per cui queste quattro campionesse non sono state il risultato di una strategia che ha prodotto risultati. Credo però che ora la Federazione si sia mossa molto bene, ha creato un centro a Formia per cercare di far crescere le giocatrici buone, e per quelle che già sono sul circuito professionistico, l’inseguimento è appena iniziato e c’è tantissimo da fare.

Come sono i rapporti del vostro team con le altre giocatrici italiane e con la Federazione?

Credo ci sia molta unità. Le ragazze italiane sono molto amiche fra loro, dopo questa trasferta in America ci sarà la [Billie Jean King] Fed Cup, dove ci troveremo tutte insieme per sposare una causa comune, noi facciamo sempre i nostri programmi in concerto con la Federazione e Jasmine riceve un contributo da loro come supporto per l’attività internazionale in relazione alle spese sostenute per gli allenatori, quindi penso si possa dire che i rapporti sono molto buoni.

Parlando delle strutture Federali, si dice sempre che il Centro Tecnico di Tirrenia non ha prodotto quello che doveva produrre. È corretto dire una cosa del genere?

Mah, io credo che alla fin fine Tirrenia doveva permettere ai ragazzi dai 14 ai 18 anni di diventare competitivi. Se si guarda questo aspetto i risultati sono stati ottenuti e come: Alessandro Giannessi a 16 anni era il n. 1 d’Europa, [Matteo] Trevisan a 18 anni era il n. 1 del mondo, si è arrivati in finale all’Avvenire con Della Tomasina, si è vinto il Bonfiglio con Trevisan. Tirrenia da quel punto di vista i risultati li faceva, il problema rimaneva quello di gestire il passaggio dai 18 ai 22 anni, ma quello è un problema che hanno tutte le Federazioni del mondo. Quando ero a Tirrenia avevamo maestri che seguivano i giocatori fino ai 18-19 anni e poi era difficile traghettarli verso il professionismo con degli allenatori, che noi non avevamo per quello specifico scopo.

Il modello attuale, attraverso il quale la Federazione aiuta i giocatori offrendo un supporto logistico ed economico permettendo loro di lavorare con i loro team, è il modello vincente?

Sicuramente questo è un momento nel quale ci sono moltissimi allenatori preparati. Credo che la Federazione abbia un compito: curare la crescita dei ragazzi e traghettarli in una possibile realtà che li faccia ulteriormente evolvere. Ora ci sono tanti giocatori del 2002 e del 2003 molto forti, e ci sono anche tante realtà che funzionano, come l’Accademia di Piatti o quella di Sartori, che prima non c’erano. Penso che questa sia la soluzione più vincente.

In qualità di persona che conosce bene Riccardo Piatti e che comunque vive dentro l’ambiente, che idea ti sei fatto della rottura tra Piatti e Sinner?

Non ho avuto occasione di parlare con Riccardo della questione, per cui non so bene cosa sia successo. Ovviamente, per quel che mi riguarda, è stato un fulmine a ciel sereno. Tuttavia Jannik è un ragazzo che ha tantissima personalità, presumo abbia avuto i suoi buoni motivi. Mi dispiace molto per Riccardo, perché secondo me insieme stavano facendo un lavoro straordinario, ma se ha fatto questo passo Jannik avrà avuto i suoi motivi.

Il modello che viene seguito da Berrettini, Musetti e Sonego che vede un coach di lungo corso che segue il progresso sia a livello tecnico sia a livello personale del giocatore, credi che sia il modello migliore da seguire?

È uno dei modelli. Anche perché l’allenatore che lavora da tanto tempo con il giocatore avrà sempre un canale di comunicazione privilegiato. Per cui se l’allenatore si evolve insieme con il giocatore, perché no. Poi ogni giocatore ha il compito di tirare fuori il massimo da se stesso, e a volte un rapporto di questo tipo può essere limitante. In ogni modo, in base a quello che ho visto finora i rapporti dei giocatori italiani con i loro coach mi sembra che funzionino bene.

Chiudiamo con un paio di domande sulla Davis: l’Italia può riuscire a vincere la Coppa Davis?

Un team così ha sicuramente possibilità di vincere la Davis. Se giocano tutti la squadra mi sembra estremamente completa. Se non la vincono loro nei prossimi 2-3 anni non vedo chi la possa vincere.

E la formula? Meglio quella attuale o quella tradizionale?

Io qui vado controcorrente: so che la nuova formula è molto criticata, ma a me piace. Mi piace sapere, dal punto di vista dello sportivo che vuole andare a vedere la Davis, che in pochissimi giorni si possono vedere tante squadre. Come per esempio fu il caso del primissimo anno a Madrid, anche se gli orari erano completamente sballati perché si è finito a giocare alle 6 del mattino: in quel caso un appassionato poteva andare a Madrid per quattro giorni e vedeva tutto il mondo giocare. La vecchia forma invece la trovavo estremamente dispersiva, ma so che la mia opinione non è molto popolare.

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