Medvedev e Zverev si sono persi: il n. 1 è stregato. Djokovic resta sul trono

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Medvedev e Zverev si sono persi: il n. 1 è stregato. Djokovic resta sul trono

Entrambi sprecano la chance di diventare n.1, proseguendo le loro crisi. Ora la terra rossa: Novak resta sul trono e gongola

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Daniil Medvedev e Alexander Zverev - ATP Finals 2021 (Twitter - @atptour)
 

Quei giorni perduti a rincorrere il vento, a chiederci un bacio e volerne altri cento“, cantava Fabrizio De André. In fin dei conti, Daniil Medvedev e Alexander Zverev non stanno rincorrendo il vento, facendo scivolare sempre più sabbia nella clessidra, desiderando ardentemente record e primati ma senza ottenere abbastanza dal loro gioco o dal loro fisico? Entrambi arrivavano al Masters 1000 di Miami di quest’anno con ambizioni di numero 1: al russo bastava la semifinale, mentre al tedesco serviva la vittoria del torneo sperando chiaramente in un’uscita prematura di Medvedev (quindi certo non era padrone in toto del suo destino, ma neanche ha fatto tutto ciò che doveva). Morale della favola: entrambi fuori ai quarti, il n.2 al mondo sotto gli ace e slice di Hurkacz, Sascha soccombendo ai colpi dell’instancabile Ruud. Due sconfitte, come il brutto periodo che entrambi stanno attraversando, diverse eppure maledettamente simili.

I problemi, per Daniil Medvedev, sembrano iniziati nel giorno che avrebbe dovuto essere il più bello della sua carriera: giovedì 24 febbraio, Jiry Vesely batte Novak Djokovic e regala al russo la prima posizione del ranking, il primo che non sia Federer, Nadal, Djokovic o Murray dai tempi di Andy Roddick. Doveva essere l’inizio del suo regno, del tanto agognato dominio, ma al momento non è di certo così: sconfitta con Nadal in semifinale ad Acapulco al primo torneo giocato da n.1 in pectore, fuori al terzo turno a Indian Wells contro Monfils e conseguente perdita del primo posto dopo un paio di settimane, fino all’occasione sfumata ieri contro Hurkacz. A cosa è dovuto questo crollo rovinoso, e quantomeno inaspettato? Alla pressione, alla paura di non essere all’altezza? Alla famosa solitudine dei numeri primi? O semplicemente Daniil non era pronto ad essere il n.1? Ogni domanda ha la sua validità, ma è forse un’altra quella che realmente dovremmo porci: se non ora, quando? Gli anni aumentano, e passano per tutti, le nuove leve (Alcaraz in primis) stanno arrivando sempre più insistenti, e i “vecchietti terribili” sono ancora lì al varco per la primavera sul rosso (non certo il momento della stagione preferito da Medvedev): tutto ciò rende la sconfitta di ieri ancora più grave, perché occasioni così ghiotte, con tabelloni pieni di vuoti e problemi anche oltre il tennis (vedi Djokovic) e fisici (Nadal) non capitano spesso.

In una conferenza stampa certamente condizionata da una certa amarezza, oltre a domande di rito sulla partita e sui problemi che ne hanno caratterizzato il finale, con Medvedev sono stati sollevati anche argomenti più spinosi, come le conseguenze della rimonta subita in Australia: “Penso che il primo torneo ad Acapulco non sia stato facile in termini di sensazioni, come tutto dopo quello che è successo in Australia, che credo abbia avuto un po’ di conseguenze su Indian Wells, come se non mi sentissi nella giusta direzione nel mio tennis. E allo stesso tempo stavo cercando di trovare questa direzione. Qui, come ho detto, sono tornato a sentirmi come se avessi trovato la giusta direzione in cui posso vincere tornei e posso vincere molte partite contro avversari duri. Ma poi, sì, ancora una volta, ho incontrato Hubert che è un grande giocatore. Dovrei riguardare le mie partite contro di lui, perché non l’ho mai fatto. Ma ho la sensazione, giocando contro di lui, che lui non giochi così contro altri giocatori. Contro di me, non sbaglia mai. Prime di servizio sempre sulla linea. Lui non gioca sempre così, non so perché. Quindi, sì, penso, come ho detto, i primi tornei non sono stati facili, ma sono nella giusta direzione, quindi va bene“.

Le domande su quanto abbia influito il pensiero di poter diventare n.1 sono arrivate puntualmente, ma Medvedev ha negato una qualsiasi influenza dei nervi e dei desideri sulla sua prestazione: “Ad essere onesti, per me era più importante in un certo senso vincere la partita stessa che diventare numero 1 vincendo la partita. L’ho visto più come un bonus. Quindi non mi sentivo come se fossi teso per questo. Ad essere onesti, ho giocato molte partite in cui ho avuto la pressione, una pressione diversa, e non è come se oggi fosse successo qualcosa di nuovo in termini di uscire dal campo e sentirsi pazzi o qualcosa del genere. Quindi non penso che i nervi fossero parte di questo“.

Se la crisi di Daniil ha le radici nella finale dell’Australian Open persa in maniera clamorosa contro Nadal, é ancor meno chiaro il discorso che riguarda Alexander Zverev. Certo, si può dire che tutto sia precipitato il giorno del fattaccio contro il giudice di sedia ad Acapulco, che curiosamente era lo stesso giorno che incoronò Medvedev numero 1, giovedì 24 febbraio. Ma fino a quel momento la stagione non è che stesse andando in maniera così rosea: sconfitta in tre set agli ottavi in Australia contro Shapovalov (e anche lì poteva diventare numero 1 vincendo il torneo) e finale persa a Montpellier con Bublik, prima di perdere il controllo e quasi attaccare l’arbitro distruggendo la racchetta contro la sua sedia in Messico. Poi la sconfitta all’esordio con Brooksby ad Indian Wells, e la caduta contro Ruud qui in Florida, dove stava giocando anche un buon torneo fino ai quarti. Poteva vincere il torneo, diventare numero 1, rendere quest’anno il tanto atteso anno della consacrazione; specie alla luce dell’ottimo finale di 2021. Ma allora qual è il problema di Sascha? Ansia da prestazione, non riuscire a restare concentrato, specie negli Slam? Sentirsi sempre messo in discussione? O semplicemente la tendenza di tutti a dimenticare che è un ragazzo che non ha neanche 25 anni e che è tra i migliori al mondo da quando ne aveva meno di 20, e dargli puntualmente troppe aspettative? Forse è questa la spiegazione più lecita, ma la giovinezza non è eterna, e nell’arrivare sempre secondo o terzo, a non vincere mai, c’è un rischio: perdere quell’ardente desiderio di competizione e supremazia e sentirsi amorfi, arrivati, senza più la passione e l’amore che sono la vita di uno sportivo, specie per un ragazzo alle volte anche fragile come Zverev.

Dunque due sconfitte diverse ma dallo stesso sapore, come due crisi lontane ma comunque speculari, che vanno alla fine ad incoronare un solo vincitore: Novak Djokovic, che nonostante i problemi legati al vaccino e la lontananza dai campi, senza fare letteralmente nulla, arriverà alla stagione sulla terra rossa ancora come numero 1, potendo contare inoltre su avversari che oggi come oggi appaiono demoralizzati e lontani dal loro meglio, compreso un Nadal che salterà almeno Montecarlo e Barcellona per il problema alla costola. In un solo giorno un soldatino norvegese e un ricamatore polacco hanno restituito sogni tranquilli al serbo, che se c’è uno di cui deve veramente preoccuparsi è Carlos Alcaraz da Murcia, che sta arrivando fin troppo prima di quanto si aspettasse. Nel frattempo le lancette, per Zverev e Medvedev, corrono inesorabili verso il malinconico terreno del rimpianto.

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