Quanto ci deve interessare se Emma Raducanu si allena abbastanza?

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Quanto ci deve interessare se Emma Raducanu si allena abbastanza?

Poche vittorie e tanti sponsor per la teenager britannica dopo il successo allo US Open danno forza a critiche forse ingiustificate

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Emma Raducanu - Australian Open 2022 (Twitter - @AustralianOpen)
Emma Raducanu - Australian Open 2022 (Twitter - @AustralianOpen)
 

Il tweet con cui Eugenie Bouchard ha preso le difese di Emma Raducanu, secondo alcuni rea di pensare più agli sponsor che a colpire con efficacia palline da tennis a ripetizione, riporta sotto le luci dei riflettori la questione dell’impegno, della passione e degli sforzi che i tennisti mettono nel loro lavoro. O, più precisamente, la percezione che tifosi e appassionati hanno della dedizione allo sport di ogni singolo giocatore, soprattutto per quanto riguarda quello che solo possono immaginare, vale a dire gli indispensabili allenamenti che, siano essi tecnici o atletici, devono essere costanti e devastanti.

Il mito del duro lavoro che, da solo, sarebbe garanzia di successo, il noto bias secondo cui, se quell’atleta ha ottenuto grandi risultati nel suo campo impegnandosi al massimo e con grande sacrificio, chi non raggiunge gli stessi risultati semplicemente non si è impegnato. Fortuna, capacità innate, condizioni “di partenza” favorevoli (quanti sono i top player la cui famiglia faticava a mettere insieme il pranzo e la cena?) e ancora fortuna, come trovare casualmente le persone giuste lungo il percorso di crescita, non avere infortuni seri, compiere le scelte di carriera corrette senza avere esperienza e senza le informazioni adeguate e via così. Quello che conta, in ogni caso, è percepire l’impegno degli atleti; quindi, se le vittorie non arrivano nella misura prevista o, molto peggio, smettono di arrivare dopo un trofeo di prestigio, il motivo non può che essere uno e semplice: ha smesso di impegnarsi, non si allena più.

Ritorniamo dunque a Bouchard e alla sua difesa social in favore di Raducanu, accusata appunto di dedicarsi di più a impilare soldi che punti WTA. Non si può innanzitutto non rilevare, e con un certa sorpresa, che il tweet con cui Genie ha rilanciato una frase di Emma – che è un po’ una sintesi dell’intervista rilasciata al Telegraph una decina di giorni fa – ha portato l’argomento al centro dell’attenzione e sta facendo discutere molto più dell’intervista stessa. La sorpresa, ça va sans dire, consiste nel rendersi conto di non essere sorpresi che un tweet batta l’articolo di un quotidiano. Consola che in questa circostanza a cinguettare sia stata un’esperta in materia, perché non può sfuggire il fatto che a intervenire a sostegno della teenager britannica sia una ex n. 5 del mondo e finalista di Wimbledon che da anni riscuote più successo su Instagram che sui campi da tennis. La frase simbolo dell’intervista in cui Emma replica alle critiche recita: “Mi alleno cinque o sei ore al giorno. Sono al club dodici ore al giorno. Ma pubblico una foto in macchina mentre vado ad allenarmi e d’improvviso sono quella che non si concentra sul tennis”.

È tuttavia evidente che a nessuno verrebbe l’idea di criticare certi post se, come dicevamo, non ci fosse a monte il sospetto – no, la certezza – dello scarso impegno successivo al trionfo allo US Open. Certezza che arriva dai risultati tennistici di Raducanu dopo quella straordinaria cavalcata: non vince, sui suoi social è un susseguirsi di post senza tennis, quindi ha smesso di allenarsi. In realtà, pubblica anche foto dal campo o dalla palestra, ma ormai la cecità selettiva dei critici è irrecuperabile. Eccola er esempio impegnata in un hip thrust con quelli che paiono 195 chili.

Ammettiamo di non averli letti tutti, ma, se erano scontati i commenti su quell’esercizio che le romperebbe la schiena e sull’inettitudine del suo trainer, siamo meravigliati di non averne trovato uno sarcastico del tipo, “brava, anche oggi hai fatto i tuoi sette secondi di allenamento”. Ci tocca fare anche il lavoro degli haters.

Quello che non si può negare è che dal titolo Slam Emma ha messo insieme più sponsor che vittorie. E non è un’iperbole: Tiffany, Dior, Evian, British Airways, Vodafone e Porsche a fronte di quattro incontri vinti dall’Indian Wells ottobrino al Miami Open appena concluso. Proprio in occasione della sconfitta all’esordio in Florida contro Siniakova, l’ex numero 5 al mondo Daniela Hantuchova aveva osservato che Raducanu “ha bisogno di tornare ad allenarsi duramente per evitare di perdere altri match in quel modo in futuro”. In quell’occasione, era stato Nick Kyrgios ad accorrere in difesa della giovane collega scagliandosi contro l’autrice di una constatazione intesa come un’accusa.

Ma, tornando al saldo vittorie-sponsor, possiamo davvero considerarlo negativo? È ipotesi plausibile (ma non provata) che Emma vinca poco in rapporto alle sue potenzialità peraltro già espresse perché crede di essere arrivata e non ha voglia di faticare più di tanto – il pensiero di Dmitry Tursunov è illuminante al riguardo. Oppure perché preferisce massimizzare l’aspetto economico rispetto a quello più prettamente sportivo di quello che in fin dei conti è il suo lavoro. Certo, sarebbe una perdita per il tennis in generale, per la WTA e in particolare per l’intero movimento di Sua Maestà in termini di mancata visibilità. Resta però da dimostrare che il nostro diritto di critica abbia un fondamento reale oltre che astratto. Perché, alla fine, ci si deve interrogare su una questione che naturalmente non vale solo per lei, ma per la stessa Bouchard e per tutti coloro il cui impegno sportivo è stato messo in dubbio in qualche occasione se non durante l’intera la carriera – a ragione o meno. Parafrasando, la domanda allora è: da un grande talento deriva una grande responsabilità?

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