Alcaraz: la costruzione di un campione

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Alcaraz: la costruzione di un campione

Con i Big 4 sul viale del tramonto e la (ex) NextGen che non sa esprimere un leader, il tennis del futuro punta tutto sul diciottenne spagnolo

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Carlos Alcaraz - Australian Open 2022 (foto Twitter @AustralianOpen)
 

“La costruzione di un campione spezza le vene delle mani, mescola il sangue col sudore se te ne rimane”. Ci perdonerà Ivano Fossati per aver storpiato la prima strofa di uno dei suoi tanti capolavori, ma quando pensiamo al tennis di Carlos Alcaraz vediamo sudore e, soprattutto, sangue – in attesa delle lacrime, per citare anche Churchill. Suda Carlitos e tanto, quando si teletrasporta in un secondo da un angolo all’altro del campo, quando col rovescio aggancia qualsiasi missile avversario, in spaccata, che neanche la Fracci dei tempi d’oro, quando guizza verso la rete a raccattare un dropshot o a chiudere un serve&volley. E sanguina tennis, Carlitos, nel senso che il cuore gli pompa tennis in ogni anfratto del corpo, dal cervello ai polpacci, dagli occhi al polso alle spalle.

Il giovane spagnolo appartiene alla categoria di chi è nato con la racchetta in mano, la schiatta dei Laver, i McEnroe, i Federer, quelli che non fanno fatica, quelli che colpire la palla è come respirare, automatico, irrinunciabile: i fenomeni, insomma. Lo si coglie dalle rare volte in cui sorride, che è felice di stare in un rettangolo di ventiquattro metri per dieci a stordirsi di diagonali: è un sorriso sghembo, fanciullesco, del ragazzino che è a dispetto dei muscoli da trentenne. Sorriderà così anche tra quindici anni, Alcaraz, come ha fatto Federer per tutta la carriera, grato verso la cosa che più gli ha dato piacere nella vita. Ecco, oggi si sprecano i paragoni, somiglia a Nadal, no a Djokovic, ha qualcosa di Sampras… (sull’unicità tecnico-tattica di Carlos consigliamo l’articolo di Steve Flink).

Se proprio vogliamo giocare a “Indovina chi?”, allora di certo il ragazzo ha l’intelligenza tennistica di Rafa, la capacità unica di sapere sempre cosa fare e quando farlo; e l’agilità di Nole, senza dubbio, oltre che la sua zazzera da elmetto. L’aspetto ricorda vagamente Pistol Pete, così mediterraneo e massiccio. Ma più di tutti noi ci vediamo Roger in Alcaraz, non tanto perché il ragazzo stesso ha dichiarato di essersi ispirato allo svizzero o per la manina dorata – li avete visti a Miami i ricami sotto rete, le smorzate vellutate, il pallonetto di dritto in corsa e il lob in tweener contro un impotente Tsitsipas? – quanto perché di Federer ha la smania, la necessità, l’urgenza di scendere in campo, restarci all’infinito e godere del dono che un Dio magnanimo gli ha elargito. Come detto, mancano ancora le lacrime – quante ne ha piante Roger – ma siamo sicuri che arriveranno al primo slam. La gente se n’è accorta, l’ha capito l’anno scorso a New York che sul pianeta tennis era sceso un nuovo alieno: ancora Tsitsipas a recitare da comparsa, Alcaraz che si traveste da Connors e gli lascia il quarto set per poi vincere al quinto, come fece l’americano nell’epico ottavo di finale con Krickstein, sempre a New York trent’anni prima, nel giorno del suo trentanovesimo compleanno. Ma Jimbo ci mise un ventennio per guadagnarsi l’affetto del popolo, il tennista di Murcia a diciott’anni è già adorato da tutti, pur con un solo 1000 in bacheca.

Carlos non ha bisogno di aizzare il pubblico, non chiama l’applauso, l’ovazione scroscia spontanea a ogni suo colpo inverosimile – a Miami si sono cominciate a vedere persone schizzare in piedi ai suoi punti, l’impulso irrefrenabile di chi sente di assistere a qualcosa di straordinario. Carlos si incita, esulta, senza isterie – vamos, vamos e ancora vamos – e prende in ostaggio gli spettatori: “no escape from Alca(t)raz”, recitava un cartello sugli spalti. E poi la gente si è accorta della sua correttezza al limite del masochismo: in Florida, nel primo set della semi con Hurkacz, Alcaraz è sotto 5-6, servizio in mano. Sul 30-0 confeziona l’ennesimo, morbido dropshot, per una volta raggiunto in tempo dal polacco; non per l’arbitro però, che vede un doppio rimbalzo e dà il quindici allo spagnolo. Hurkacz protesta vivacemente e il replay gli dà ragione, l’arbitro non lo sa e conferma il punteggio. Sarebbe 40-0, sarebbero tre palle per issarsi al tiebreak, ma Carlos custodisce valori più importanti di una vittoria sportiva, e allora è lui a concedere all’avversario la possibilità di rigiocare il punto tra i boati di approvazione delle tribune.

Fa questa cosa a diciott’anni, laddove i suoi coetanei, e non solo loro, per un punto ATP venderebbero madre e sorella alla tratta delle bianche. L’episodio si lega ad un altro momento del torneo, quando, sempre contro Tsitsipas, sbaglia un attacco e il greco gli scaglia addosso la palla per la frustrazione: Carlos va a sedersi in panchina con lo sguardo fisso su Stefanos, uno sguardo stranito, incredulo, come se non si capacitasse del gesto, come fosse stata sporcata la sua concezione immacolata del tennis. Eccola, la costruzione di un campione. Come ci racconta bene Matteo Beltrami, Alcaraz ha preso peso, ha migliorato l’alimentazione, è seguito da una mental coach, si affida ciecamente alle cure di Ferrero che ne sta completando la maturazione con la sapienza di cui dava sfoggio in campo. Coltiva perfino gli scacchi, a stimolare strategia e reattività. Sono passaggi indispensabili per competere ai massimi livelli del circuito, per conquistare i trofei cui il ragazzo pare predestinato.

Eppure tutto ciò potrà produrre soltanto un tennista vincente, forse il più vincente, non basterà a creare un campione: le fondamenta di un campione sono il suo spessore di uomo, la sua impeccabilità di sportivo, risorse morali che intervengono anche nei momenti di crisi, soprattutto nei momenti di crisi, quando un punto può decidere un match. Noi queste risorse le vediamo oggi chiare in Alcaraz, nel suo candore, nel suo scrivere sulla telecamera frasi dedicate al padre di Ferrero, appena scomparso. Ma si intuivano già diversi mesi fa, non a caso, dopo la citata vittoria su Tsitsipas a Flushing Meadows, scrivemmo ad amici e parenti: “Ho appena visto un futuro campione, segnati questo nome: Alcaraz, impressionante!”

Andrea Negro

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