Rassegna stampa
Darren Cahill: «Sinner ha tutto per diventare il mio nuovo n. 1» (Cocchi)
La rassegna stampa di domenica 26 giugno 2022
Berrettini: «Wimbledon val bene un fioretto» (Gaia Piccardi, Corriere della Sera)
La ricerca del suo splendore nell’erba comincerà martedì contro il cileno Cristian Garin, battuto nei due ultimi confronti diretti. Matteo Berrettini, 26 anni, che i bookmaker londinesi dopo la finale dell’anno scorso vedono tra i primi tre favoriti di Wimbledon (insieme ai due giganti Novak Djokovic e Rafael Nadal) è troppo sgamato per cascarci: «Nulla è scontato, ogni torneo fa storia a sé: mi aspetta un match con il coltello tra i denti». Però Matteo non è mai arrivato sulla soglia dei Doherty Gates così in forma e in fiducia. E pazienza se i parrucconi dell’All England Club non hanno avuto il coraggio di sceglierlo testa di serie davanti a Ruud, Tsitsipas, Alcaraz, Aliassime e Hurkacz. Matteo, se lei dovesse spiegare a un alieno la sua magia sull’erba, una superficie che all’inizio non amava, che parole userebbe? «Gli direi che c’è voluto del tempo perché io amassi l’erba. II primo clic è avvenuto in Coppa Davis, India-Italia a Calcutta, playoff 2019. Il secondo l’anno scorso tra il Queen’s e Wimbledon. E’ un tennis diverso e insolito, che va al di là dell’aspetto tecnico. E’ un feeling totale con la superficie, la pazienza che richiede, l’accettazione del rimbalzo irregolare: è come se l’erba mi chiedesse di sentirmi emotivamente a mio agio perché si crei la connessione perfetta».
Di ritorno dallo stop per l’operazione al dito temeva che la mano destra non fosse più sufficientemente forte da colpire la palla come prima. Sono arrivati due titoli di fila. Come si trasforma un pensiero negativo in due trionfi?
Ho tantissima voglia di riprendermi quello che mi è stato tolto. Le difficoltà mi motivano: guardavo il dito con i punti e la mano dolorante e sentivo crescere la cattiveria agonistica. Il momento peggiore sono stati gli Internazionali del Foro Italico: gli altri in campo e io fermo, davanti alla tv. Ecco, quel pensiero lì ancora oggi è un motore pazzesco.
Dire ad alta voce «voglio vincere Wimbledon» è un altro step di consapevolezza?
Sono sempre stato cauto con le parole. Ora sento che non serve più nascondermi. Sto giocando bene, scoppio di fiducia: entro nel torneo con la ragionevole certezza di poter arrivare lontano. La strada per la finale la conosco già. II sentiero è tracciato, i ricordi sono felici. L’esperienza dell’anno scorso mi ha insegnato tanto: come gestire il tempo tra i match, le emozioni, le attese, le notti. Tornare in finale, se dovessi meritarmela, sarebbe un’emozione meravigliosa ma forse un po’ meno sconvolgente: l’ho già vissuta. […] Mi sento più pronto, più forte, migliore. A Parigi, Londra e New York, nel 2021, ho perso sempre da Djokovic. Direi che è arrivato il momento di batterlo.
Fatto inedito in 100 anni di storia in Church Road: il club ha permesso allenamenti sul centrale. I primi siete stati lei e Nadal. Un riconoscimento, anche questo.
Sì, i soci del club hanno dato il loro benestare. E stato bello ed emozionante, un piccolo motivo d’orgoglio. Rafa è fatto di una pasta molto diversa da noialtri, non è ancora stufo di spingersi oltre I suoi limiti. Per vincere il 14° Roland Garros ha lottato cinque set con Aliassime, quattro con Djokovic. Di certo sta alla grande Rafa! Gliel’ho detto quando ci siamo allenati insieme sul centrale: ho finito gli aggettivi, non so più cosa dirti. Io Rafa lo rispetto tantissimo, e lui lo sente.
È disposto a fare un fioretto per vincere Wimbledon, Matteo?
Niente che includa sforzi fisici, però. Sarei disposto a un taglio netto della barba, a raparmi a zero o a tingermi di biondo. Niente di più estremo, sennò quando torno a Roma nonna Lucia non mi fa più entrare in casa.
Djokovic: «Sono qui per emulare Sampras» – Nadal: «Gioco al buio e mi manca Federer» (Gabriele Marcotti, Corriere dello Sport)
Sui prati dell’All England Club non perde addirittura da cinque anni. Era il 2017 quando – opposto nei quarti di finale al ceco Tomas Berdych – Novak Djokovic, grande favorito dei Championships 2022, era stato costretto al ritiro per infortunio. Per una sconfitta al termine di una partita intera, viceversa, bisogna ritornare a sei anni fa, contro lo statunitense Sam Querrey. Da allora ha infilato 21 vitrorie consecutive, che gli sono valse altri tre trofei di Wimbledon, per un totale di sei coppe. Solo una in meno del suo idolo da bambino, Pete Sampras. Domani al campione serbo toccherà l’onore di inaugurare il Centre Court, che celebra il suo centesimo anniversario dal trasloco in Church Road. Dall’altra parte della rete Nole – che ha disputato solo un’esibizione nell’esclusivo circolo di Hurlingham per prepararsi all’erba – troverà il coreano Soon-woo Kwon, n.75 del ranking. «Per adesso sto molto bene. Ho preferito non iscrivermi ad alcun toneo, come d’altronde ho già fatto in passato, riuscendo comunque a vincere. Nel corso degli anni credo di aver imparato ad adattarmi abbastanza velocemente alle diverse superfici. E non c’è ragione perché non possa succedere anche questa volta». Riuscisse ad ottenere il settimo sigillo sull’erba deIl’All England Lawn Tennis Club, Djokovic diventerebbe il quarto tennista dell’era Open a trionfare a Wimbledon per quattro anni di fila, come Bjorn Borg, Sampras e Roger Federer. «La prima vittoria di Pete Sampras a Wimbledon è stato il primo match di tennis che ho visto in tv nella mia vita. Mi piacerebbe eguagliare il suo record quest’anno. E’ esagerato dire che il tennis sull’erba sia uno sport diverso, ma non c’è dubbio che bisogna aggiustare i movimenti, la tattica, la posizione in campo. Differenze che bisogna sernpre tenere a mente».
Sui nobili prati di Church Road manca – causa pandemia e vicissitudini fisiche – ormai da tre anni. Mai ritorno fu più felice. Eppure Rafa Nadal giura di non pensare al Grand Slam: dopo i due trionfi a Melbourne e Parigi, la sua priorità è stare bene fisicamente. «Non voglio parlare del mio piede ogni giorno. Posso dire che la situazione è in netto miglioramento e che finora non ho sentito dolore. Ma non c’è alcuna sicurezza matematica. Per adesso sono felice perché ho potuto allenarmi bene nel corso dell’ultima settimana, ma la strada è ancora molto lunga, ed è assolutamente inutile guardare troppo lontano. Quando mi sveglio la mattina non sento dolore, e posso camminare senza problemi il più delle volte. Ad oggi mi basta così». Nel primo turno Nadal attende l’argentino Francisco Cerundolo. Un esordio (sulla carta) privo di insidie, che gli consente una breve escursione con la memoria al 2003, quand’era ancora sedicenne. «Ero già venuto a Wimbledon l’anno prima, da juniores. Non ho mai avuto ambizioni assurde, né mi sono mai chiesto se potessi o meno vincere questo torneo. Il mio unico pensiero era migliorare, giorno per giorno, conoscere meglio questa superficie». Alla quale si è presto adattato, vincendo due volte (2008 e 2010). «Ma per me quest’anno non conterà il passato. E’ da tanto tempo che non gioco partite ufficiali sull’erba, non ho riferimenti attendibili. Anche se non è un pensiero che mi preoccupa. Sono concentrato sul lavoro quotidiano, mi basta e avanza». Per la prima volta dal 1998, sui prati londinesi mancherà invece Roger Federer, ancora fermo per l’infortunio al ginocchio. Un’assenza significativa anche per Nadal. «Abbiamo condiviso tantissimi momenti importanti per entrambi – ricorda – Abbiamo giocato contro in tutti gli stadi più importanti ad eccezione di New York. Mi dispiace non esserci riuscito, ma allo stesso tempo so che la nostra rivalità mi ha aiutato tantissimo a crescere e migliorare, trovando sempre nuove motivazioni».
Cahill: «Sinner ha tutto per diventare il mio nuovo n. 1» (Federica Cocchi, La Gazzetta dello Sport)
Quale posto migliore per seminare un futuro di successi se non i verdi prati inglesi? E infatti è sull’erba di Wimbledon che si stanno mettendo le basi per il futuro di Jannik Sinner. II talento altoatesino, che già domani scenderà in campo contro Wawrinka, ha iniziato a lavorare da qualche giorno con il nuovo team che oltre a Simone Vagnozzi prevede anche il super consulente Darren Cahill, il preparatore Umberto Ferrara e il fisioterapista Jerome Bianchi. Il tecnico australiano ci ha raccontato dei primi giorni insieme al nuovo assistito e dei progetti per II futuro più immediato. Darren, quando ci sono stati i primi contatti con Sinner? «Abbiamo Iniziato a sentirci dopo Roma, poi sempre più spesso, soprattutto quando si è fatto male al Roland Garros. Abbiamo parlato molto sia con lui che Simone e capito che c’era il margine per fare cose buone insieme. O almeno di provare a farle. Cosi dopo 4 mesi in Australia a ricaricare le batterie sono volato in Gran Bretagna e stiamo pian piano entrando sempre più in sintonia. Lui è uno dei talenti più interessanti del tennis e quindi, anche se non da vicino, ho seguito la sua evoluzione. Mi ha confermato l’idea che mi ero fatto. Un ragazzo estremamente educato, grande lavoratore e appassionato. Caratteristiche che rendono più semplice il lavoro di un team.
Avete già iniziato ad approfondire qualche aspetto del suo gioco?
Per il momento ci stiamo conoscendo. Ci siamo presi questo periodo per fare gruppo, come si dice, “spogliatoio” e capire cosa vogliamo gli uni dagli altri. Le premesse sono ottime, Sinner è un grande talento che ha lavorato con due ottimi allenatori capaci di portarlo a grandi livelli. Io spero di portare un po’ della mia esperienza e aiutarlo, insieme a Simone, a evolvere. Migliorare e crescere per arrivare ai livelli che gli competono.
Come pensate dl dividervi “compiti” lei e Simone Vagnozzi?
Dopo Wimbledon, dove io sarò anche occupato come commentatore di Espn, ci siederemo tutti insieme a parlare e decidere del futuro. E spero sarà un orizzonte lontano e proficuo per entrambi. Lui non mi ha chiesto una cosa in particolare, abbiamo discusso di come si vede tra due o tre anni e come vorrebbe si sviluppasse il suo gioco. Per quanto mi riguarda, ora dobbiamo fare in modo che lui rafforzi al massimo le cose che sa già fare molto bene. Poi pian piano migliorerà anche su altre aree del gioco. La comunicazione col giocatore è molto importante, bisogna parlarsi, capirsi. E poi l’aspetto tecnico è fondamentale. Lavorare su diverse strategie di gioco in maniera da avere tanti colpi, tante alternative tattiche. E poi lavorare sul fisico. Va trattato con la massima attenzione e cura. Ha già iniziato con un lavoro specifico e i primi risultati si stanno vedendo. È un percorso, non bisogna affrettare i tempi.
Avrà notato che l’erba però gli è un po’ indigesta…
Non è la sua superficie preferita, certo, ma avrà modo di cambiare idea. Penso che ii suo gioco sia adatto a questa superficie e lo capirà anche lui in futuro.
Lei ha portato alla vetta Hewitt, Agassi, di recente Simona Halep. Ci sono qualità che accomunano Sinner a questi campioni Slam?
Il numero 1 è una conseguenza. Quello che ho sempre cercato di fare con i miei giocatori è renderli solidi tecnicamente e mentalmente, in grado di padroneggiare il loro tennis e di migliorarlo. La classifica poi viene da sé. Di certo Jannik è già molto maturo e sa cosa vuole, e questa è una caratteristica dei grandi.
Rassegna stampa
Alcaraz-Djokovic, sfida stellare (Azzolini, Cocchi, Nizegorodcew). Ruggito Zverev per andare oltre tutti i suoi guai (Giammò)
La rassegna stampa di mercoledì 7 giugno 2023
E Djokovic scopre il valore dell’umiltà (Daniele Azzolini, Tuttosport)
Essere Novak Djokovic è diventato difficile. Anche per lui, legittimo proprietario della griffe più vincente che si sia mai vista. Essere sempre il tennista giusto al posto giusto nel momento giusto, mette ansia. Fa salire la pressione. Crea quell’apprensione sorda e lancinante come un mal di denti che si traduce in una profonda inquietudine. E l’angoscia, da sempre, è la nemica più traditrice. Così l’uomo che ha sempre avuto una risposta corretta, opportuna, legittima e appropriata da dare ai propri avversari, qualunque fosse il lecito dubbio che questi gli abbiano proposto, vive questa parte della sua stagione, forse una delle ultime anche per lui, con le immancabili voglie di vincere e assoggettare il mondo del tennis, ma anche con la scoperta che un nuovo avversario potrebbe impedirglielo. Uno che mai si sarebbe aspettato di avere contro. Uno che molto gli somiglia. Se stesso…Non smette di vincere, del resto non l’ha mai fatto. Ma vi riesce senza sprintare come un tempo, macchina umana opposta a umani senza patente. Appare cauto, preoccupato, afflitto da pensieri che non ha mai avuto, e il gioco non sgorga com’era solito fare, non fluisce dalla testa alle membra con la facilita cui si era — e ci aveva —abituato. Lo riconosce con onestà. «Nei giochi finali del secondo set ero sul chi vive, temevo che un errore stupido, banale, di quelli che possono capitare in qualsiasi momento di un match potesse spingere l’incontro verso una deriva faticosa, difficile da correggere, da sistemare. Da recuperare…». Il match è quello con Karen Khachanov, quarti di finale di un Roland Garros che, visto con gli occhi del dominatore degli Australian Open dello scorso gennaio, appariva di facile annessione. Poi le cose si sono complicate. C’è stato l’ultimo stop per il Covid, che non gli ha permesso di prendere parte ai Masters 1000 della primavera americana, e dopo, al ritorno in campo, qualche risultato è andato di traverso. La sconfitta contro Medvedev a Dubai, sempre dolorosa da accettare. Quella con Musetti a Montecarlo. E ancora un altro stop, a Banja Luka opposto all’amico Lajovic fin lì sempre battuto. Prima dello scivolone romano contro Holger Rune. C’è stata la risalita di Carlos Alcaraz, a sfilargli il numero uno, e insieme la convinzione che sarebbe stato più difficile di come l’aveva previsto e valutato. Fino al Roland Garros che vale più di un semplice riscatto. È il torneo che può prolungare il sogno di giungere a quel Grand Slam disperso sotto le bordate di Medvedev agli US Open 2021. Perso il primo set, sotto le spinte attente, potenti sebbene un bel po’ ripetitive di Karen Khachanov, scontento di sé e dei consigli che gli venivano dal proprio team, Djokovic ha scelto di giocare accontentandosi di ciò che riusciva a fare. Scelta difficile per uno come lui, ma importante in prospettiva. Perché un bagno di umiltà fa sempre bene, e forse il Djoker ne aveva bisogno. E perché lo ha costretto a lavorare senza cercare l’impossibile. Ha tenuto lungo il palleggio e le uniche sortite che si è concesso sono giunte sui precisi drop shot che hanno avuto il merito di interrompere gli scambi da fondo campo, spesso favorevoli al russo. Su queste premesse, Nole ha costruito un tie break di rara efficacia, nel quale è sembrato tornare se stesso. Sette punti perfetti per esecuzione e tempistica che hanno cambiato segno alla partita. «Ho ritrovato le certezze perdute, in quel momento, e mi sono ritrovato in partita. Non avevo cominciato nel migliore dei modi, come se una parte di me fosse rimasta nello spogliatoio, e Khachanov giocava un ottimo tennis. Quel tie break mi ha rilanciato. Ho tenuto bene nel set successivo, e tutto è tornato a procedere per il verso giusto». […] È la semifinale numero 45 per Djokovic, Federer ne ha appena una in più. Ma è l’unico, il serbo, ad aver ottenuto almeno dieci semifinali in tutti gli Slam. «Sono ancora in gara, l’importante è questo. Non ho idea di chi possa essere il mio avversario. Con Alcaraz la sfida è aperta, l’unica volta che ci siamo trovati di fronte è stato lui a vincere». Accontentato. O forse non proprio, chissà. Magari, in cuor suo, la speranza che Tsitsipas potesse fare lo sgambetto ad Alcaraz, Djokovic la coltivava, ma la possibilità non ha mai preso realmente corpo, nemmeno in un terzo set in cui Carlos, forse per troppa fretta, ha messo da parte l’attenzione con cui aveva condotto il match e non è riuscito a impedire che Tsitsipas lo rimontasse dal 5-2 al 5 pari. Da lì lo spagnolo è ripartito e il match nel tie break è tornato sotto il suo stretto dominio. Un bel salto di qualità, per Alcaraz. Dai ceffoni con cui si era liberato di Musetti, alla tormenta di colpi da kappaò con cui ha steso Tsitsipas. Un messaggio su cui Djokovic è invitato a meditare.
La voce dei padroni (Federica Cocchi, La Gazzetta dello Sport)
Non poteva che finire così, con lo scontro fra Titani in semifinale. Novak Djokovic e Carlos Alcaraz: passato, presente e futuro del tennis. E pazienza se non è finale, c’è comunque tantissimo da giocarsi: punti, gloria, storia. Novak e Carlos, non semplici giocatori di tennis. E se del serbo sappiamo, abbiamo visto, toccato con mano di cosa sia capace, lo spagnolo riesce ogni volta a stupire. Una progressione impressionante, che fa venire voglia di affacciarsi al futuro per sbirciare le prossime imprese. Forse l’ha fatto per regalare al torneo quel pizzico di suspence. Forse per fare un brutto scherzo a Karen Khachanov, o semplicemente perché è entrato in campo un po’ così, svogliato. Come i comuni mortali quando non hanno nessuna voglia di andare in ufficio. La differenza tra Novak Djokovic e i comuni mortali, anche quelli che giocano a tennis, è che lui a un certo punto mangia un dattero, va alla toilette, e torna in modalità drago. Ieri è successo più o meno così. E alla fine, liberatosi del russo in quattro set, ha portato a casa la semifinale numero 45 in uno Slam, terzo di sempre tra uomini e donne dietro a Chris Evert, a quota 52, e a una sola lunghezza da Roger Federer, che ne ha collezionate 46. Novak Djokovic è un uomo in missione. O forse con più di una missione. La sola certezza è che per tutte lo snodo è necessariamente Parigi. Qui, se vincesse il titolo, tornerebbe numero 1 al mondo., altrimenti la corona resta a Carlos. Non solo, diventerebbe il giocatore con più Slam di sempre, a quota 23, e potrebbe continuare la corsa verso il Grande Slam. Lo ha dichiarato più volte: «Voglio entrare nella storia e stabilire quanti più record possibili». Così, dopo due anni nel limbo dei non vaccinati, con tanti tornei saltati e l’America dall’altra parte della luna, può finalmente rimettere nel mirino la storia. La chiave di volta del match di ieri contro Khachanov è stata il tie break del secondo set. Lì la sudditanza psicologica imposta al russo è stata evidente. E questo è l’effetto che Nole fa ai giocatori «comuni». Con lui non si gioca mai alla pari: il russo, nel primo punto del tie break, ha tentato uno sciagurato schiaffo al volo direttamente sulla racchetta del serbo, rapido a infilarlo col suo rovescio lungolinea. In quel momento Djokovic ha ficcato il grimaldello nella testa del numero 11 al mondo scardinandone tutte le sicurezze. Khachanov non è più stato capace di fare un punto, ha ceduto il tie break a zero e ha perso il servizio anche in apertura del terzo set. Gli argini sono crollati e il serbo ha potuto dilagare. […] Al traguardo della finale manca l’ostacolo più grande Carlos Alcaraz. Uno che parla la sua stessa lingua, quella dei fenomeni, la mastica benissimo anche se ha 16 anni di meno. Uno che annichilisce gli avversari, li paralizza come Medusa col suo sguardo. Carlos lo ha dimostrato anche ieri facendo sembrare Stefanos Tsitsipas un esordiente. Ha fatto tutto lui, ha dominato, ha sbagliato, ha permesso addirittura a Stefanos di tentare la rimonta prima di metterlo ko. Il pubblico che si aspettava la grande battaglia ha dovuto accontentarsi di tre set, con la concessione di un tie break al terzo. Per lo spettacolo vero, ripassate venerdì.
Djokovic-Alcaraz, ecco i mostruosi (Alessandro Nizegorodcew, Corriere dello Sport)
Parigi, la città delle luci, dove i desideri diventano realtà. La semifinale dei sogni è servita. Carlos Alcaraz contro Novak Djokovic. L’enfant prodige apposto al grande campione, chi insegue il primo Roland Garros (e secondo Major) contro chi punta il record assoluto di 23 Slam. Un match che (finalmente) si disputerà per la seconda volta nel circuito ATP. Al penultimo atto Alcaraz e Djokovic sono arrivati dopo due quarti profondamente diversi. Alcaraz ha letteralmente dominato il match contro il malcapitato Stefanos Tsitsipas, annichilito con il punteggio di 6-2 6-1 7-6(5). Un unico momento di difficoltà, più mentale che tecnico, è giunto sul 5-3 del terzo set: servendo per il match lo spagnolo ha perso per la prima e unica volta la battuta. «Ho smarrito un po’ la concentrazione – ha raccontato Alcaraz – ma sono stato bravo a ritrovarmi nel tiebreak». Vincenti su vincenti, pochissimi errori. […] Il quarto di finale di Novak Djokovic non è stato affatto semplice. Il serbo ha fatto fatica a entrare in partita contro Karen Khachanov, che per (quasi) due set ha decisamente giocato meglio. Il russo ha vinto 6-4 il primo set e non ha concesso alcuna chance a Djokovic sino al 6-6 del secondo parziale. «Il tiebreak ha rappresentato il turning point – ha spiegato il due volte vincitore del Roland Garros -. Conquistare o perdere quel set avrebbe fatto una bella differenza». Djokovic ha dominato il tiebreak 7 punti a 0 con una serie di punti di qualità impressionante, trovando la fiducia e la sicurezza smarrite a inizio incontro per un punteggio finale di 4-6 7-6(0) 6-2 6-4. […] «Se vuoi essere il migliore, devi sconfiggere il migliore». Djokovic e Alcaraz hanno usato le stesse identiche parole per presentare il match dei sogni, cercando di togliersi un po’ di pressione di dosso. È insolito, per Djokovic, affrontare un match da sfavorito (questo dicono le quote), ma da un certo punto di vista potrebbe anche essere un vantaggio. L’analisi del match (in campo venerdì), che per molti sarà una finale anticipata, non è semplice: la speranza è che Parigi possa regalare la partita dei sogni, dei desideri.
Ruggito Zverev per andare oltre tutti i suoi guai (Ronald Giammò, Corriere dello Sport)
Battuto Tiafoe e approdato al 4′ turno del Roland Garros sullo stesso campo dove un anno prima, opposto in semifinale a Rafa Nadal, fu costretto al ritiro dopo esser ruzzolato nella polvere ed essersi rotto quasi tutti i legamenti della sua caviglia destra, Alexander Zverev dichiarò di non aver fatto caso alla ricorrenza perché “concentrato su quel che doveva fare”, e che l’emozione l’aveva ormai smaltita da giorni quando era entrato la prima volta per il match contro Molcan. Superato l’altra sera Dimitrov, oggi contro l’argentino Etcheverry, il tedesco ex n.2 del mondo avrà l’occasione di tornare lì dove tutto si era interrotto, ritrovando un’altra semifinale a Parigi e con lei l’integrità per puntare a quel titolo Slam che ancora gli manca lì dove il suo tennis ha maggiori chance di coglierlo. La coincidenza in questi giorni avrà di certo attraversato i suoi pensieri senza però distoglierlo dal suo obiettivo, “giocare a tennis e farlo contro i migliori giocatori del mondo“. Una partita alla volta. Nei lunghi mesi lontano dai campi, Sascha ha infatti appreso a sue spese quanto la fretta possa rivelarsi fatale […] Incappato in un edema osseo per aver forzato i tempi di recupero in vista della fase a gironi di Coppa Davis dello scorso settembre, Zverev ha fatto voto di calma e umiltà consapevole che solo dal tempo e dalle inevitabili sconfitte sarebbe passato il ritorno ai suoi standard. La convivenza con le difficoltà non è d’altronde condizione a lui estranea. Se la lunga investigazione condotta dall’Atp sull’accusa di abusi domestici sollevata dalla sua ex compagna si è conclusa di recente con un nulla di fatto, il diabete che lo costringe a punture di insulina tra un cambio di campo e l’altro è diventata, invece, una causa per la quale spendersi nel tentativo di normalizzare una condizione ben diversa dai tanti toilet break cui sempre più spesso furbescamente si ricorre. Anche della rabbia antica oggi è rimasto ben poco, solo un ruggito, quello che accompagna le sue vittorie e che insieme alla sua capigliatura gli valso il soprannome di “Leone”. Non basterà per farsi re. Ma Parigi è la città giusta per provarci.
Rassegna stampa
“Manca Nadal non è vera Parigi Sinner, più grinta” (Cocchi). Mamma Elina dall’oblio alla rinascita (Giammò). Memorie di uno scriba Il tesoro di Gianni Clerici donato alla Cattolica (Crosetti). Bad boy Rune sofferenza e vittoria dopo 4 ore (Martucci)
La rassegna stampa di martedì 6 giugno 2023
Sentenza McEnroe: “Manca Nadal non è vera Parigi Sinner, più grinta”. (Federica Cocchi, La Gazzetta dello Sport)
Lui non le manda a dire. Se c’è una cosa che John McEnroe ha mantenuto inalterata, è certamente la schiettezza. La stessa che lo ha fatto sbottare dopo la sconfitta prematura di Jannik Sinner contro Daniel Altmaier. Una delusione anche per lui: «La vittoria se l’è proprio mangiata – ha detto Big Mac su Eurosport, dove commenta lo Slam parigino -. Non c’entra un bel niente la sfortuna, ha avuto tante chance e non le ha raccolte. Queste sono partite che fanno male, ti restano le scorie per mesi, se non per anni». ? Insomma John, questo Sinner rha fatta proprio arrabbiare. Come può uscire da questo momento il nostro numero 1? «Gli scenari a volte cambiano per un punto. Guardate cosa gli è successo a New York: avrebbe potuto vincere lo Us Open se avesse concretizzato quel match point contro Alcaraz. Sembrava davvero a un passo per fare il grande salto. Probabilmente avere tutti gli occhi addosso gli ha messo troppa pressione, forse è questo che ha inciso sul suo rendimento, anche se parliamo sempre di un ottimo giocatore» .
[…]
Restando in Italia, c’era una volta Matteo BerrettinL.. «Già, è stato davvero sfortunato con tutti i guai fisici che ha dovuto affrontare. Ho sentito che tornerà sull’erba, ma non sarà facile dopo tanto tempo fuori. Avrà perso fiducia, si sentirà un po’ frustrato. La cosa positiva è che ha solo 27 anni e se anche non tornerà ai livelli più alti penso che possa comunque ancora fare danni nei tornei con quel servizio e quel dritto. Sull’erba si sentirà più a proprio agio e anche se non avrà la migliore condizione atletica. Deve cercare di pensare positivo, anche se capisco che detto da fuori sembra tutto facile». ? II romano è stato attaccato anche sui social che stanno diventando un problema per molti sportivi presi di mira. li Roland Garros ha creato un’appeazione che II protegge dagli attacchi degli haters. «E un argomento di cui io non posso dire molto perché non sono su nessun social. Per fortuna quando giocavo non esistevano, ora non sento il bisogno di usarli. Penso che per molti giocatori possano essere una distrazione, soprattutto se gli haters li prendono di mira». ? Come sta vivendo questo Roland Garros senza Rafa Nadal? Sembra strano un po’ a tutti. «Senza di lui qui non è la stessa cosa. Ha fatto di tutto per tornare, ma ha dovuto arrendersi. Credo che ora che è padre i suoi orizzonti siano anche leggermente cambiati, infatti ha parlato di ritiro dopo il prossimo anno, ma modo suo, giocando. Qualunque cosa decida di fare va rispettato. Guardate Murray per esempio, anche lui ha voluto tornare per decidere autonomamente quando salutare. E non importa se non è lo stesso Murray di prima». ?
[…]
Non vede Djokovic favorito per il titolo? «Come ho detto per Nadal prima, uno come Djokovic non è mai da sottovalutare però metto prima Alcaraz tra i candidati alla vittoria». ? Lo spagnolo ormai è una certezza. Sembra non avere punti debolL «Alcaraz è la novità, quello è ha portato una ventata d’aria fresca con un tennis elettrizzante e spettacolare, ha una tale personalità che tutti sperano che vinca e lui lo avverte. Tutti vogliono vederlo giocare e vincere. Io per primo mi auguro che continui a fare bene, ha solo 20 anni è si è già guadagnato il ruolo di ambasciatore del nostro sport». ? I Big 3 sono in dismissione: Federer ha smesso, Nadal ha indicato il prossimo anno come [‘ultimo della carriera. Resta Djokovic, ma chi altro vede in grado di poter vincere più di uno Slam? «Alcaraz potrebbe vincerne dieci o anche di più, anche Rune è in grado di vincerne un po’. Carlos è già maturo, il danese deve ancora fare un po’ di esperienza ma entrambi saranno protagonisti dei prossimi anni, con qualche altro che ogni tanto conquisterà uno Slam». Il futuro non aspetta.
Mamma Elina dall’oblio alla rinascita (Ronald Giammò, Corriere dello Sport)
Incolpevole sulle cause, per la Wta è arrivato il momento di far i conti con gli effetti di un conflitto scoppiato ormai più di un anno fa, le cui conseguenze a lungo ha cercato di ignorare, differire e gestire; fiduciosa che l’ordinaria routine avrebbe prevalso sulle straordinarie circostanze. La vetrina, contrariamente a quanto accaduto negli ultimi quindici mesi, quando ucraini russi e bielorussi si sono affrontati in anonimi incontri di primi turni, stavolta è più importante. E maggiore l’esposizione, viste le protagoniste che oggi nei quarti del Roland Garros si sfideranno con in palio un posto in semifinale. Da una parte la bielorussa Aryna Sabalenka, n.2 del mondo giunta a Parigi con ambizioni da nuova leader del ranking. Dall’altra, l’ucraina Elina Svitolina, oggi signora Monfils, ex n.3 del mondo e madre da otto mesi, rientrata lo scorso marzo sul circuito e vincitrice due settimane fa a Strasburgo del suo 18°titolo.
[…]
La lunga assenza dai campi non è bastata invece per mettere a tacere Svitolina. Precipitata nel ranking, la virtuale n.73 del mondo è comunque rimasta in prima linea promuovendo campagne di sensibilizzazione e raccolte fondi. Oggi, complice la nuova ribalta ottenuta a Parigi, non perde occasione per rilanciare il suo messaggio. Ho affrontato due russe nei miei ultimi due match – ha dichiarato dopo la vittoria contro Kasatkina, conclusa con un gesto d intesa tra le due -: non cambierà nulla, ma ci sono abituata». Non gioca solo per sé, Svitolina, sa bene che i suoi risultati «possono aiutare nello spirito tutti quelli che stanno combattendo per il nostro Paese» e che lo sport «è una delle aree più delicate su cui si ripercuote questo conflitto». Che non si sia ancora riusciti a trovare la sintesi giusta per conviverci, non vuol dire che non si debba continuare a tentare di farlo. Ad Aryna, Elina e al lom quarto di finale Slam, l’occasione di provarci.
Memorie di uno scriba Il tesoro di Gianni Clerici donato alla Cattolica (Crosetti, La Repubblica)
Il suo ultimo gesto bianco fu scivolare fuori dalla vita, esattamente un anno fa. Ma i grandi tesori non finiscono così, nella banalità della morte. Quello di Gianni Clerici, il nostro scriba, l’inimitabile principe del tennis e della scrittura, era uno scrigno pieno di parole, le sue e quelle che lo nutrivano. Un tempo lo avremmo definito archivio però nel caso di Gianni sarebbe riduttivo. Bisogna invece immaginare una miniera d’oro piena di carta, dove le pepite sono i libri, i quaderni di appunti, i taccuini, i manoscritti, le poesie, le fotografie, le note di viaggio, le diverse stesure dei suoi romanzi, i vecchi giornali, le riviste. E poi quell’infinita dichiarazione d’amore di sua moglie Annamaria che lui chiamava Marianna, perché le parole sono un gioco: cioè tutti gli articoli di Clerici che la sua sposa ritagliava e conservava in ordinati libroni, anno per anno.
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«Papà teneva tutto, era un collezionista nato» racconta la figlia Carlotta. «Nel suo studio abbiamo trovato testi corretti a mano da Giorgio Bassani e Mario Soldati, i taccuini delle interviste, i libri che leggeva per scrivere i suoi, alcuni incipit di romanzi che non hanno visto la luce e naturalmente le diverse versioni dei suoi testi. Credo se ne possa ricavare una sorta di “metodo Clerici” prezioso per i giovani, compresi, forse, i suoi aspiranti colleghi di domani». Quando non era in giro per il mondo Gianni lavorava nel meraviglioso studio a vetrate sul lago di Como, il luogo che oggi in qualche modo si trasferisce a Brescia. Era, di fatto, quasi un museo. «Per noi si tratta di un dono incomparabile, ottenuto grazie alla fondamentale mediazione del prof. Francesco Rognoni, ordinario di Letteratura inglese e angloamericana», spiega Pierangelo Goffi, responsabile della biblioteca della Cattolica di Brescia. «Si tratta di oltre mille libri, e delle preziose carte di uno dei più grandi giornalisti di sempre. Ce ne prenderemo cura, ne faremo oggetto di studio e ricerca, come meritano».
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«Lo aiutavo come potevo col pc, e c’era da diventare matti perché i computer e la rivoluzione digitale non erano proprio il suo forte. A volte accadeva che papà mi dettasse i pezzi ed era comunque uno spettacolo seguire l’avventura delle sue parole proprio lì, in quel preciso momento, mentre nascevano». Molti degli oggetti appartenuti a Gianni si trovano già nella Hall of Fame di Newport, ad esempio la sua famosa collezione d’arte, ma il corpus bresciano non sarà da meno. Sarà la chiave per entrare nelle stanze del nostro amato scriba, ammalianti di capoversi e fantasia, dove la luce delle parole rischiarerà ancora per molto tempo i giorni e i ricordi.
Bad boy Rune sofferenza e vittoria dopo 4 ore (Vincenzo Martucci, Il Messaggero)
È giusto che il match del torneo si disputi sul campo intitolato alla mitica Suzanne Lenglen. È giusto che, a dispetto di presunzione e fretta e poi gambe molli e rabbia il duello che blocca tutto il Roland Garros davanti ai tabelloni luminosi lo vinca il nuovo Connors, il bad boy con la faccia d’angelo, l’Holland del tennis, Holger Rune, che ha più coraggio. rafforzato dall’incoscienza dei suoi 20 anni e dal ricordo della beffa del super tie-break di Melbourne contro Rublev: «Mi sono detto: Comunque vada, questi momenti rimarranno per sempre con te, rilassati e vivili al massimo». È giusto che lo sconfitto, il pedalatore argentino Francisco Cerundolo, portabandiera dei peones del purgatorio Challenger, riceva gli onori delle armi, dopo 3 ore 59′ e l’eloquente 7-6 3-6 6-41-6 7-6 (7).
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E’ giusto che l’ultimo protetto di Mouratoglou faccia un test così importante contro un avversario col quale non lega e ci ha perso 4 volte su 4, sempre sulla terra, ma ha battuto 3 settimane fa a Roma. MAIA LA BRASILIANA. È giusto anche che la storia del tennis donne passi per lo stesso stadio intitolato alla indimenticabile tennista: 55 anni dopo i trionfi Slam del 1968 di Maria Ester Bueno, la deliziosa ballerina del net tanto amata anche a Roma, la mancina Beatriz “Bia” Haddad Maia, batte dopo una maratona di 3 ore 38′ Sara Sorribes Tormo e riporta una brasiliana nei quarti Majors. E’ giusto, ma anche sfortunatissimo il doppio Kato-Sutjiadi, squalificato per aver colpito involontariamente una raccattapalle: se la stava cavando con un richiamo, ma le avversarie, Bouzkova e Sorribes Tormo hanno richiamato l’arbitro: “La ragazza sta piangendo”. Oggi quarti uomini Alcaraz-Tsitsipas e Djokovic-Khachanov, oltre a Muchova-Pavlyuchenkova e Svitolina-Sabalenka.
Rassegna stampa
Musetti all’esame Alcaraz (Azzolini, Bertolucci, Nizegorodcew). Capolinea Cocciaretto: «Cerco ancora continuità» (Giammò). Nadal dopo l’operazione: «Spero di recuperare in 5 mesi» (Crivelli)
La rassegna stampa di domenica 4 giugno 2023
Musetti l’artista ci prova ancora (Daniele Azzolini, Tuttosport)
Fu lui a condurre la danza, come un tanguero argentino che intrecci passi proibiti di milonga offrendo alla sua bella un’unica certezza, quella che lasciandosi trascinare nei vortici della danza avrebbe evitato di cadere troppo presto ai suoi piedi. Cronaca di una vittoria che qualcuno definì di straordinaria casualità, dimenticando come fra due oppositori di livello assai vicino, le doti artistiche finiscono sempre per aggiungere slancio a chi potrà disporle sul campo. Era il 25 luglio di un anno fa, Rothembaun Club di Amburgo, Lorenzo Musetti opposto a Carlos Alcaraz, il giovane di El Palmar che di lì a poco diverrà numero uno. E fu un’impresa vera. Pochi però seppero coglierne l’aspetto più sorprendente. Lollo riuscì a resistere agli scossoni, violenti, tremendi, minacciosi che Alcaraz gli scatenò contro per tutto il match. Musetti vinse sopportando, difendendosi, conservandosi, e lasciò che a tratteggiare i tocchi e i drop che poi fecero la differenza fossero le sue qualità di raffinato artigiano. Oppure pensavate che l’arte, in campo tennistico, potesse nascere fuori dalla fatica, dal dolore, dalla sopportazione? I due si ritrovano oggi, campo Centrale, terzo match, e c’è grande curiosità. Il tempo trascorso da quei giorni di Amburgo ha dato sia all’uno sia all’altro, secondo misura e necessità. Svelto e vorace, Alcaraz ha colto titoli prestigiosi, quattro Masters, uno Slam, il numero uno. Musetti è salito ai piani alti tra molte buone prove, togliendosi la soddisfazione di battere Djokovic negli ottavi a Montecarlo. L’unico, con Rune, a infilare gli ultimi due numeri uno del Tour. Partecipando all’attesa, Mats si è esposto con lecito, ma forse eccessivo fervore, a favore di Musetti. Sostiene gli ricordi Federer e avrebbe potuto fermarsi già lì. C’è qualcuno di più grande che possa fare da nume tutelare al nostro ragazzo di Carrara? E invece Mats ha aggiunto pure Kuerten, Guga, Gustavo, che a Parigi visse, in comunanza con un pubblico divenutogli spontaneamente amico, tre stagioni liete, alternando vittorie e sorrisi indimenticabili. E il bello è che nella celebrazione di Mats non è quello di Federer il nome che appare osé al punto da avvertirlo fuori luogo. E’ quello di Guga, che certo sorprendeva come anche Musetti sa fare, ma lo faceva inventando smorzate da ogni posizione e in tutti gli stili. Carpiate, con il triplo avvitamento, anche con il doppio salto mortale. Della pallina, ovviamente, non il suo. Ma chissà che Guga non fosse capace anche di quello, buffo com’era: un tipo che si muoveva come un fumetto e quando si lanciava sulla palla sembrava che una parte del corpo gli si allungasse come una molla, e tutto il resto lo seguisse qualche secondo dopo. Anche Musetti sostiene di ispirarsi a Federer, e il fatto che tutti l’abbiano preso sul serio testimonia dell’alta considerazione di cui gode il ragazzo. Non dovrà diventare un tormento l’idea di introdurre nel proprio tennis il più alto numero di variazioni possibile, perché molte di queste Lorenzo le ha già nel proprio bagaglio tecnico. Problematico invece sarà rendere naturale il fluire delle stesse, nel corso dei match, produrre variabili in automatico, senza pensarci, proprio come faceva Roger. Si tratterà di un lungo studio, e di un’ancora più lunga applicazione, ma Lollo è l’unico che ce la possa fare. Contro di lui, Alcaraz ha una sola possibilità, che però rientra nei confini naturali del suo tennis. Dovrà spingere a tavoletta sin dai primi scambi, dovrà triturare il gioco di Musetti e più ancora la positività con cui l’italiano sembra lietamente convivere in questo Roland Garros che finora l’ha visto incapace di sprecare un solo set, e addirittura regolare una testa di serie come Norrie quasi fosse un ragazzino. Se Carlos avrà il passo cui nessuno resiste, Musetti non avrà grandi chances, ma se Lorenzo saprà aprirsi varchi invitanti, e su quelli lavorare con colpi e variazioni che non daranno modo ad Alcaraz di dare continuità al proprio incedere, il match potrebbe cambiare di segno, e una nuova impresa assumere connotati realistici. […]
L’ora di Musetti, test di maturità (Paolo Bertolucci, La Gazzetta dello Sport)
Il consiglio è di mettersi comodi in poltrona e godersi lo spettacolo: la sfida di oggi degli ottavi tra Alcaraz e Musetti promette di essere elettrizzante, oltre a mettere di fronte due tra i talenti più luminosi della nuova generazione. E se lo spagnolo ha già illustrato le sue qualità vincendo gli Us Open e issandosi fino al numero uno del mondo, il carrarese ha trovato nel rosso parigino il terreno fertile per dimenticare un avvio di stagione complicato e rilanciare la candidatura verso traguardi di grande prestigio su quella che rimane la sua superficie d’elezione. Non c’è dubbio che il confronto contro Alcaraz rappresenti per Lorenzo un esame decisivo per testare le ambizioni di fronte al giocatore che, insieme a Djokovic, rappresenta in questo momento l’ostacolo più alto su un campo da tennis. La sensazione, a dire il vero, è che il nostro giocatore abbia trovato la forma ideale proprio nell’appuntamento che conta di più e quindi possa presentarsi al match con la condizione tecnica e psicologica perfetta per rimanere sulla scia del numero uno del mondo. Confortato pure dal precedente di 11 mesi fa ad Amburgo, con la vittoria in finale[…]. A Parigi, Musetti è stato capace di sorvolare un tabellone complicato grazie al ritrovato equilibrio tra le sconfinate soluzioni di gioco a disposizione e le scelte strategiche adeguate ai vari momenti della partita, fino a dominare in modo imbarazzante Norrie, che pure è numero 13 della classifica. Dopo i tormenti di inizio stagione, determinati anche da alcune scelte sbagliate di calendario, che hanno portato a qualche inattesa sconfitta di troppo finendo per minarne le certezze in una pericolosa spirale di dubbi, Musetti ha scavato dentro di sé per ritrovare voglia e motivazioni e il ritorno sulla terra europea ne ha accompagnato la rinascita. La vittoria di Montecarlo su Djokovic, seppur contro un rivale ammaccato, è stato il segnale che la via intrapresa stava finalmente indirizzandosi verso la giusta direzione. Conosciamo tutti le enormi qualità di Alcaraz, la sua completezza in ogni zona del campo, la sua debordante strapotenza fisica, ma proprio la ricchezza del suo arsenale finisce a volte per confonderlo, rendendone meno lucide le scelte, con la conseguenza di consegnare tratti di partita agli avversari. Musetti, fornito di un bagaglio tecnico di raffinata qualità, dovrà appunto provare ad ampliare queste crepe dello spagnolo, intanto rimanendo sempre attaccato mentalmente alla sfida, cercando poi di complicargli il percorso con variazioni di ritmo, cambi di traiettorie, il giusto mix tra improvvise accelerazioni da fondo e palle senza peso, in modo che Carlos debba fare fatica a leggere i vari momenti della partita e a imporre il proprio poderoso canovaccio tecnico. […]
«Musetti, serve la perfezione» (Alessandro Nizegorodcew, Corriere dello Sport)
Non si sono affrontati spesso, ma si conoscono da anni. Sin da quando, giovanissimi, prendevano parte ai più importanti tornei internazionali Under 12 e Under 14. Carlos Alcaraz e Lorenzo Musetti si affronteranno nel pomeriggio odierno, sul Philippe Chattier, per una sfida che vale un posto nei quarti di finale del Roland Garros. […] Lo scorso anno, nella finale dell’ATP 500 di Amburgo, Musetti riuscì a imporsi a sorpresa 6-4 6-7 6-4. Il pronostico pende nettamente dalla parte di Alcaraz, ma il risultato non è affatto scontato. «Dall’altra parte della rete prima di tutto ci sarà un amico – ha raccontato Musetti – Alcaraz ha aperto una nuova via, quella della Next Generation, conquistando il primo Slam dell’era post Fab 3. Per giocatori come me, Rune, Sinner, e chiunque altro vaglia provare a inseguire risultati di prestigio, Carlos è fonte di ispirazione». Alcaraz contro Musetti è potenza ed esplosività centro talento e sagacia tattica, colpo bimane opposto al rovescio a una mano; è anche la personalità straripante del numero 1 al mondo contro un ragazzo che sempre di più sta maturando e capendo come affrontare i momenti di difficoltà, dentro e fuori dal campo. «Sarà una grande sfida – ha spiegato lo spagnolo dopo il successo al terzo turno contro Shapovalov – Musetti è un talento, sta esprimendo un tennis di alto livello e ha battuto ottimi avversari. Ricordo molto bene la sfida di Amburgo, che è stata per me davvero complicata. Ho voglia di affrontarlo e penso che il pubblico si divertirà, poiché tra me e Lorenzo ci saranno scambi intensi e grandi colpi». Musetti ha già battuto Alcaraz, ma il tennis “3 set su 5” è quasi un altro sport. Alcaraz al quinto set ha perso solamente una volta su nove. […] Atleticamente sembra imbattibile. La sensazione è che non faccia fatica, che non si stanchi mai. Musetti può aggrapparsi a uno stato di forma eccellente e ai precedenti (siamo nella pura scaramanzia) di “Carlitos” con gli italiani: sei le vittorie azzurre contro Alcaraz nei 15 precedenti; Sinner (tre volte), Sonego, Berrettini e lo stesso Musetti sono riusciti a sconfiggerlo. «Musetti dovrà essere perfetto». Fabio Colangelo, direttore tecnico de La Stampa Sporting e coach internazionale, non usa giri di parole. «Le prestazioni di Lorenzo contro Shevchenko e Norrie sono state straordinarie, ma per sconfiggere Alcaraz servirà qualcosa in più». […] «Il tema principale sarà la profondità dei colpi e la capacità di aggredire Alcaraz al momento giusto. Dovrà servire tante prime, variare e giocare al meglio il kick alla battuta, per tenere lo spagnolo lontano dal campo. Lorenzo dovrà anche scegliere la palla giusta per eseguire il rovescio lungolinea in accelerazione, colpo che sarà fondamentale per giocarsela alla pari». […]
Capolinea Cocciaretto: «Cerco ancora continuità» (Ronald Giammò, Corriere dello Sport)
Finisce contro la statunitense Bernarda Pera l’avventura di Elisabetta Cocciaretto al Roland Garros, ma resta un po’ di rammarico per l’occasione avuta e per le condizioni in cui l’azzurra è stata costretta a giocarsela. Al fastidio al ginocchio sinistro, che già nel turno precedente l’aveva costretta a ricorrere a un bendaggio, ieri si è aggiunto anche un problema muscolare alla coscia destra, fasciata nel corso del primo set e da lì diventata motivo di costante apprensione, tanto nel gioco quanto nella testa dell’azzurra. «È dalla seconda partita che avevo male al ginocchio – ha poi dichiarato Cocciaretto – solo un’infiammazione, niente di grave, ma non avendolo caricato per via della tensione alla fine mi venuto un fastidio all’adduttore e per evitare che peggiorasse l’ho fasciato». Peccato. Perché, dopo la sua prima vittoria contro una Top 10 (Kvitova al 1′ turno) e la conferma arrivata contro la svizzera Waltert, sarebbe bastato davvero poco più di quanto fatto per portare a casa una partita dal copione davvero imprevedibile, in cui i break concessi sono stati addirittura superiori ai turni di battuta conservati. Fallose ed emozionate entrambe per un match che avrebbe proiettato la vincitrice al suo primo ottavo in uno Slam. Cocciaretto si è dimostrata meno robusta dell’americana sulla seconda di servizio e meno lucida nell’evitare alcuni errori proprio nelle fasi cruciali dell’incontro. «Quel problema un po’ ha influito e mi è dispiaciuto non essere al 100% – ha ancora sottolineato – Ho avuto le mie occasioni, ma non sono riuscita a restare concentrata su quel che dovevo fare, e credo di dover ancora trovare la continuità per giocare e vincere più partite a questo livello». Detto del rammarico, resta l’orgoglio con cui l’azzurra ha provato a far di necessità virtù, riuscendo anche a portarsi sul 2-0 prima di regalare alla sua rivale la chance di rifarsi sotto nel secondo set. Giunte al tie-break, e incappata in altri due errori, la marchigiana ha infine visto involarsi la sua avversaria e con lei il sogno di approdare al suo primo ottavo Slam. […]
Nadal dopo l’operazione: «Spero di recuperare in 5 mesi» (Riccardo Crivelli, La Gazzetta dello Sport)
Compleanno da convalescente. Come gli era successo soltanto nel 2016, quando si ritirò prima del terzo turno del Roland Garros a causa di un infortunio al polso sinistro. Stavolta Nadal, 37 anni compiuti proprio ieri, a Parigi non c’era neppure andato (non accadeva dal 2004) per i guai al muscolo ileopsoas della gamba sinistra che lo tiene fermo da gennaio, quando usci al secondo turno degli Australian Open per mano dello statunitense McDonald. Anzi, i saluti ai milioni di tifosi che lo hanno festeggiato sui social sono arrivati dal divano di casa dopo la foto dall’ospedale del giorno prima: il vincitore di 22 Slam, infatti, venerdì a Barcellona si è sottoposto a un intervento in artroscopia al muscolo lesionato per risolvere definitivamente il problema. Dopo la notizia dell’operazione, ieri Rafa ha fornito dettagli più precisi: «Tutto è andato bene e l’artroscopia è stata effettuata per pulire e rinforzare il tendine dello psoas sinistro che mi ha costretto ai box dallo scorso gennaio. Inoltre è stata sistemata una vecchia lesione del labbro dell’anca che certamente aiuterà una migliore guarigione del tendine. Inizierò subito la riabilitazione funzionale progressiva e il normale processo di recupero mi dicono che sia di 5 mesi, se tutto va bene. Ancora una volta grazie per il sostegno che mi avete mostrato e mi mostrate ogni giorno. Inoltre è il giorno del mio compleanno. Non lo festeggio dove avrei voluto, ma comunque grazie». Dunque, le previsioni illustrate durante la conferenza stampa del 18 maggio nella natia Maiorca, quando annunciò che non avrebbe giocato a Parigi e probabilmente avrebbe dovuto fermarsi per tutta la stagione, si sono rivelate aderenti alla realtà. Conoscendo la feroce determinazione del fuoriclasse dl Manacor e ammettendo che la riabilitazione possa procedere senza intoppi, è plausibile immaginare un Nadal pronto a novembre, a stagione ormai conclusa ad eccezione delle finali di Coppa Davis, in programma a Malaga dal 21 al 26 di quel mese. Se la Spagna dovesse qualificarsi è molto suggestiva l’ipotesi, già ventilata dalla stesso giocatore, di far coincidere il rientro con quell’appuntamento. Molto più realistico immaginare un Nadal pronto per l’inizio del 2024, proiettato sugli Australian Open e poi su quella che per sua stessa ammissione sarà l’ultima annata sul circuito, magari alla ricerca di quel 15′ sigillo al Roland Garros cui quest’anno ha dovuto rinunciare a malincuore: «II piano – come ha detto tre settimane fa – è quello di giocare nella prossima stagione i tornei che più di tutti ho amato e che maggiormente hanno segnato la mia storia da professionista anche per non disputare un anno da comparsa». Ti aspettiamo, Rafa.