Lorenzo Musetti: "La vittoria di Amburgo un sollievo, mi ha liberato dalle catene"

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Lorenzo Musetti: “La vittoria di Amburgo un sollievo, mi ha liberato dalle catene”

“Grazie a Matteo e Jannik posso lavorare nell’ombra”. Intervistato dal Corriere della Sera, il giovane talento toscano ripercorre le tappe principali della sua giovane vita, guardando sempre avanti. “Sogno uno Slam. Il super-coach non è obbligatorio”

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Lorenzo Musetti - Amburgo 2022 (foto @hamburgopen)
 

Tante, troppe volte il concetto di “predestinato” è stato associato allo status quo del tennista di talento. Un connubio che in Italia, negli anni passati ma soprattutto adesso, viene alle volte confuso con un altro pericoloso concetto, quello del “tutto e subito”. Insomma, non proprio il massimo se seguissimo alla lettera la filosofia per la quale i talenti vanno coltivati, educati ed attesi come lo schiudersi del fiore di mandorlo: la loro fioritura rappresenta la fine del lungo inverno, l’attesa è tanta ma altrettanto lo è la delicatezza e, per certi versi, la fragilità. Lorenzo Musetti fa parte di questa categoria: non sappiamo se possa essere considerato un predestinato, di sicuro il suo tennis è delicato, dal profumo intenso. La primavera dei sensi estetici declinata su un campo da gioco, ricordando in questo glorie passate (vedi Pietrangeli), non assomigliando però a nessuno, se non a sé stesso. Nel battaglione italiano che lancia l’assalto ai tornei del circuito, Lorenzo, ipotizzando una griglia di partenza in pieno stile Formula 1, occupa ad oggi la terza posizione, dietro a Sinner e Berrettini. Tutti e tre insieme sono la trimurti del tennis italiano, quella che si spera, in ottica nazionale, possa restituire all’Italia quel successo in Davis che manca da tanto tempo. Se non ora, quando?

E come Sinner e Berrettini, anche Musetti ha aggiunto in bacheca un torneo ‘500’, vincendo quella splendida finale ad Amburgo, con Alcaraz e regalandosi la gioia tennistica più grande. “Quel successo lo sto assaporando solo adesso, dopo qualche giorno. Dopo la partita, ho subito preso un aereo per Umago, ora, in vacanza con la mia famiglia prima della tournee americana, apprezzo tutto”. Descrive così questa gioia Lorenzo, intervistato da Gaia Piccardi per il Corriere della Sera, ripercorrendo i momenti post vittoria: “Abbiamo finito tardi di giocare e quando siamo usciti dal circolo i ristoranti erano tutti chiusi, allora abbiamo sobriamente festeggiato in albergo con Simone (Tartarini ndr) e poi sono andato a letto. Ero stravolto. Ha ragione Adriano Panatta quando dice che l’euforia folle ti travolge per circa trenta secondi: dopo l’ultimo punto ho provato una gioia irrefrenabile, l’adrenalina è confluita nell’imbuto delle emozioni confluendo insieme a sofferenza, nervosismo e tutto quello che ho provato durante il match. Tre ore di match in trenta secondi; a pensarci bene è stata più liberazione che felicità. In un colpo solo mi sono liberato di tutte le catene che avevo nello stomaco”.

“Sapevo infatti – prosegue Musetti –   che il botto era nell’aria, dopo tanto e tanto lavoro. Doveva esserci anche per me una prima volta, giocare la partita perfetta, la più bella della mia carriera. Ed è stato bello farlo con Carlos, che oltre ad essere un rivale sul campo è un amico fuori”.

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Ma da buon italiano, e nel pieno del solco tradizional popolare, ma soprattutto per gratitudine immancabile, la dedica alla nonna Maria ed è l’occasione per spaziare anche all’interno delle cartina degli affetti di Lorenzo: “Il mio primo maestro è stato il muro della cantina di mia nonna. Non so quante ore ho passato lì con la pallina a giocare, ed è lì, insieme a mio padre, che ho iniziato a giocare il rovescio ad una mano, che poi Simone ha perfezionato, svecchiandolo e dandogli più efficacia. La mia famiglia è il centro del mio cuore: mio padre Francesco, mia mamma Sabrina, mia nonna, Simone e il mio gruppo di amici storici. Molti di loro studiano all’università ma siamo, come amiamo definirci “un’allegra combriccola”. È il gruppo storico, sono i miei primi tifosi”. Ovviamente un ricordo va anche alla figura del nonno: “Per anni ha fatto la spola Livorno-Carrara; diceva sempre che non giocavo bene. Mi arrabbiavo, adesso ho capito che è stata una motivazione importante per migliorarmi. E’ morto mentre ero ad un torneo Under-12 in Francia. Sulla tomba ha voluto un sigaro toscano”.

Dalla mia famiglia non ho mai avuto nessun tipo di pressione, i miei hanno subito capito che il tennis era una priorità e sono rimasti tranquilli, fiduciosi che i risultati sarebbero arrivati. Sotto questo punto di vista sono fortunato, ho visto tanti giocatori rovinare il divertimento ai propri figli, rendendo il tennis un obbligo e non un piacere. Credo adesso di starli ripagando per tutto questo, sia in campo che fuori: mia mamma Sabrina è stata ricompensata con la maturità da privatista”.  

Un percorso di crescita, quello di Lorenzo Musetti, che affonda le sue radici nella passata stagione: “Nella vita ognuno ha i suoi temi e il suo percorso. Imparando dagli errori e forgiandosi come uomo prima e poi come tennista. In campo ogni volta entra prima l’uomo Musetti e poi il tennista. Quello che ti forgia fuori ti accompagna dentro. Lo scorso anno in tal senso è stato decisivo. E’ stato un periodo difficile, un insieme di cose che si sono incrociate tra lavoro e vita privata, e che hanno fatto sì che fosse una stagione tra molti alti e bassi. Lavoravo molto e i risultati erano miseri, è stato difficile e grazie ad uno psicologo che mi ha seguito, sono riuscito a tirare fuori alcuni aspetti della mia personalità. Anche quello guerriero. In tal senso il match di Davis a Bratislava è piuttosto esplicativo. Coach Volandri mi ha messo in campo nel match decisivo, quello che ci avrebbe dato la possibilità di giocare a Bologna. Una vittoria che per me è stata come uno spartiacque ed ha fatto bene anche alla squadra.

Invidioso dei successi di Matteo e Jannik? Mai! Anzi, sono sempre contento quando loro vincono e devo ringraziarli di essere arrivati al successo prima di me permettendomi di lavorare tranquillamente in un cono d’ombra. Adesso il nostro esempio sta facendo bene a tutto il tennis italiano: Zeppieri e Agamenone in semifinale a Umago, Cobolli, Passaro e il giovane Nardi… insomma il tennis italiano vive un momento felice”.

Invece guardando al domani? Anche qui Lorenzo sembra avere le idee chiare sul futuro: “Non credo che il concetto di super coach sia una scelta obbligata nel percorso. Già mi avvalgo della collaborazione con Umberto Rianna, tecnico federale, e intendo mantenerla. Se si rendesse disponibile il mio idolo Roger Federer? Beh non credo i potermi permettere il suo salario… Sogno un primo Slam, è normale e giusto che sia così. Wimbledon ha un fascino tutto suo ed ineguagliabile. Certo, se fosse anche il prossimo, a New York, andrebbe bene lo stesso.” Chiaro, no?

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