Musetti show a Firenze. E Seppi si ritira a 38 anni (Bartezzaghi). L'antidoto agli spagnoli (Azzolini). Seppi, due puntate al finale (Nizegorodcew). Fognini: ai miei figli dirò di aver sfidato gli extraterrestri (Giammò)

Rassegna stampa

Musetti show a Firenze. E Seppi si ritira a 38 anni (Bartezzaghi). L’antidoto agli spagnoli (Azzolini). Seppi, due puntate al finale (Nizegorodcew). Fognini: ai miei figli dirò di aver sfidato gli extraterrestri (Giammò)

La rassegna stampa di venerdì 14 ottobre 2022

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Musetti show a Firenze. E Seppi si ritira a 38 anni (Paolo Bartezzaghi, La Gazzetta dello Sport)

«E’ stata una delle più belle partite della mia carriera: decidevo in anticipo quali colpi giocare e mi riuscivano», ha detto Lorenzo Musetti dopo aver battuto con autorità lo spagnolo Bernabé Zapata Miralles qualificandosi per i quarti di finale del torneo Atp 250 di Firenze. Dopo un’ora e 10 minuti, il match è finito con un netto 6-3 6-0 per il ventenne toscano di Carrara. Oggi incontra il 27enne statunitense MacKenzie McDonald che ieri ha battuto Francesco Passaro 6-4 7-5. «Non mi aspettavo un esordio così bello a Firenze – ha detto il numero 28 del mondo – a livello di emozioni e sensazioni. Zapata e un giocatore solido. Per me è un periodo positivo, in allenamento sto lavorando bene e in campo mi sento maturato». Il californiano McDonald è al numero 79 del ranking ed è allenato dall’ex professionista Robby Ginepri: dopo molti infortuni, lo scorso anno ha raggiunto la prima finale in carriera nell’Atp 500 di Washington dove è stato sconfitto da Sinner. Mentre Sinner sta recuperando dall’infortunio a una caviglia che lo ha fermato in semifinale a Sofia, l’altro atesino del tennis italiano Andreas Seppi ha annunciato il ritiro a 38 anni e dopo 20 nel circuito con tre titoli Atp, a Eastbourne, Belgrado e Mosca. Per anni Seppi è stato numero 1 del tennis in Italia e nel 2013 ha raggiunto il 18 al mondo. «Ho deciso che sarebbe stata la mia ultima stagione agli Us Open – ha detto Seppi – quando alla terza partita mi ha fatto ancora male la spalla e non sono riuscito a giocare. Ho dovuto accettare questa fine. Napoli e Ortisei saranno i miei ultimi tornei. Ancora non ho le idee chiare su cosa farò dopo il tennis, ci sono diverse opzioni e vediamo cosa ne uscirà». […]

L’antidoto agli spagnoli (Daniele Azzolini, Tuttosport)

Metodo Musetti, rapido ed efficace nel dare risposte appropriate alla seguente domanda: liberarsi degli spagnoli di seconda fascia, è possibile? Già, proprio loro. Quelli che infestano i primi turni dei tornei, e corrono mugghianti come tori per le strade di Pamplona. Quelli che se ti capitano la prima cosa che pensi è che li batti facile. E continui a pensarlo anche quando li incontri, almeno fino al primo set. Ma a metà del secondo sei ancora lì che non hai combinato niente e cominci a sentire un minimo di affanno, che di lì a poco si trasforma in accoramento, poi in agitazione, quindi in afflizione. E prendi a dubitare di te stesso, del mondo, di tutto ciò che ti circonda. Finché nel terzo set hai le prime visioni, il coach nel tuo box assume il volto di Yoda e dice strane cose, tipo «la Forza sarà con lui, la tua è finita da un pezzo». Come dite? È quello che è successo a Matteo Berrettini contro Carballes Baena? Lo stesso accaduto a Lorenzo Sonego contro Zapata Miralles? Non lo sappiamo con certezza, ma sappiamo che Lorenzo Musetti ha risolto l’arcano, e l’ha fatto in un lampo. Sei game. In quelli ha capito che Zapata Miralles corre e colpisce bene, finché intuisce dove va la palla. Ma se la palla gliela fai sparire, quello continua a correre, a colpire, ad affannarsi, finché qualcuno – l’arbitro, il coach, il pubblico – è costretto pietosamente a farglielo presente. Come si possa fare per fargli sparire la palla è assai meno agevole. E per riuscirvi occorre entrare nello stile tennistico di cui Musetti è portatore positivo. Uno stile unico, visto che è runico che porti sul campo colpi del genere, che riesce ad assemblarli con tale disinvoltura, lasciando che la melodia lieve come brezza di mare del tennis antico accarezzi il rock duro e spietato del tennis moderno. Di chi è figlio, uno così? La domanda è da qualche tempo che si aggira per i tennis club di tutta Italia, almeno da quando il ragazzo ha battuto Alcaraz in finale ad Amburgo, terra rossa. Bertolucci dice che è figlio di Panatta, Adriano replica di essere troppo vecchio per avere altri figli. A nostro avviso, è figlio di entrambi, perché i tocchi sul dritto, le volée tirate su dal nulla e le intenzioni di gioco ricordano Panatta, ma il rovescio, quello a ceffone incrociato e quello monumentale in lungo linea sembrano di chiara provenienza bertolucciana. Così, forte di questo corredo, il nostro ha posto fine al match allo scadere del sesto game del primo set, sul 3 pari. Esauriti i tentativi utili a capire che cosa fare, Lollo è passato alle vie di fatto. Ha allargato il campo con le fiondate di cui è capace, ha trovato buchi e passaggi per infilare i suoi tocchi leggeri, ha prodotto smorzate che si rifiutavano di rimbalzare, passanti che transitavano di lato allo spagnolo senza nemmeno chiedere permesso, ha raccolto colpi tirati al corpo con volée di puro polso, capaci di trasformare quelle pallate nelle prime foglie morte della stagione autunnale il primo set se n’è andato, il secondo è cominciato malissimo per lo spagnolo, ed è finito ancora peggio. […] Dal 3 pari al 6-3 6-0, il conto finale è stato di nove game a zero più Iva. […] Il futuro a breve si chiama Mackenzie McDonald (79Atp), che ha battuto Francesco Passaro (21 anni, perugino, numero 126 a un passo dalla top 100), autore di una prova coraggiosa. McDonald proporrà a Musetti altri piatti, più veloci, più d’attacco «Sono tutti avversari difficili», dice Lollo, senza agitarsi, «ma qui mi trovo bene, la superficie è rapida ma non troppo, e se continuo a tenere alto il livello del servizio…». Una delle chiavi del successo di ieri. «Ci ho lavorato, ho cambiato la posizione dei piedi, ho semplificato il movimento. Prima mi sentivo spaesato nei turni alla battuta, ora non mi capita più». Si è visto. Lo spaesamento era degli altri.

Seppi, due puntate al finale (Alessandro Nizegorodcew, Corriere dello Sport)

«Se potessi scegliere giocherei altre cinque stagioni, sarà però il mio fisico a decidere quando smetterò». Andreas Seppi aveva parlato così nella fase finale della scorsa stagione. A distanza di dieci mesi, a causa dei continui problemi all’anca e alla soglia dei 39 anni, giunge l’annuncio definitivo e ufficiale: tra l’ATP di Napoli e il challenger di Ortisei Seppi scenderà in campo per il suo ultimo match ufficiale. Un esempio, da oltre vent’anni, tra grande continuità, numeri eccezionali e comportamenti sempre esemplari; mai una parola fuori posto, nessuna racchetta distrutta. La storia d’amore di Seppi con il tennis prende il via ben 24 anni fa. Andreas disputa il primo match nel circuito internazionale nel 1999 in un torneo “Satellite” (oggi non esistono più) in Tirolo, lasciando subito intuire un futuro ricco di battaglie: sconfitta 7-5 4-6 6-2 contro Stefano Rampazzo. Entrato in Top-100 nel maggio del 2005, rimane tra i primi 115 tennisti più forti al mondo per 748 settimane, conquistando tre titoli, disputando oltre 800 match ATP e sconfiggendo in dieci circostanze tennisti in Top-10. Il best ranking al n.18 del mondo arriva all’inizio del 2013. La vittoria più nota e importante è quella del 2015 al terzo turno degli Australian Open, quando supera Roger Federer in quattro set. Anche Rafael Nadal, a Rotterdam nel 2008, cade sotto i colpi di Seppi. Il record più incredibile della carriera, oltre alle 24 sfide vinte al quinto set, è però il numero di Slam giocati consecutivamente nel tabellone principale, ben 66 (Federer si è fermato a 65), terzo posto all-time. Una carriera intera al fianco dello stesso coach (una rarità), Massimo Sartori, con cui inizierà molto probabilmente a collaborare, nel ruolo di allenatore. Andreas Seppi è entrato nel circuito sotto voce, e ne esce senza fare rumore, con l’eleganza che l’ha sempre contraddistinto.

Fognini: ai miei figli dirò di aver sfidato gli extraterrestri (Ronald Giammò, Corriere dello Sport)

Diciotto stagioni sul circuito Atp hanno contribuito a dare alla schiettezza che da sempre caratterizza Fabio Fognini una nuova sfumatura. L’impulso e la rapidità restano ancora oggi le spie che guidano il suo gioco e i suoi pensieri, ma prossimo alle 36 primavere e consapevole d’esser ormai vicino al momento dei saluti, l’italiano ha acquisito maturità ed esperienza tali per potersi guardare indietro e stilare un bilancio in cui onestà, rimpianti e fame continuano a scambiarsi colpi senza più intaccarne la serenità. «E’ stata una stagione negativa. Scriviamolo pure in rosso e stampatello maiuscolo», esordisce Fognini, eliminato ieri a Gijon in doppio con Simone Bolelli. A Rio ha giocato una delle due semifinali del suo 2022 perdendo contro Carlos Alcaraz che impressione le fa? «E’ un predestinato. Pronosticare che meno di dieci mesi dopo sarebbe diventato il nuovo n.1 del mondo era una cosa da pazzi. Oltre al talento in lui c’è tanta dedizione».

Come giudica oggi I giovani che vi arrivano così precocemente?

E’ un circuito in costante cambiamento. Ai miei tempi erano pochi quelli che arrivavano in alto così giovani: Nadal, Djokovic, gente che sta scrivendo la storia del nostro sport. Eravamo diversi, si entrava in punta di piedi. Oggi i giovani ti affrontano a viso aperto, sembrano più sbruffoni, hanno carattere.

In carriera ha ottenuto più di 400 vittorie, se guarda Indietro cosa vede?

Vedo anche tante sconfitte, che fanno parte della vita e della carriera di ogni sportivo. E’ bello, ma sono solo numeri. Potrei dire ai miei figli di aver giocato per 15 anni contro gli extraterrestri riuscendo anche a batterli. Da un lato è una bella soddisfazione, ma dall’altro, mi chiedo cosa sarebbe successo se fossi nato dieci anni dopo, che opportunità avrei avuto?

Napoli potrebbe essere un bel posto per aggiornare il conteggio.

Lo spero, ne ho davvero bisogno. Chissà, magari sarà il posto giusto dove riuscirò a cogliere tre vittorie consecutive che è quello che più mi manca. A Napoli vengo sempre con tanto entusiasmo, ho tantissimi bei ricordi: il primo Challenger vinto nel 2010, la finale di doppio con Simone, la vittoria in Davis con Murray. Spero che il popolo napoletano mi aiuti e mi sostenga in questo momento molto difficile della mia carriera.

Oltre a Roma, oggi sul circuito troviamo anche Firenze, NapoIi e le Finals di Torino; lo avrebbe mai detto quindici anni fa?

No. Negli ultimi anni il tennis maschile ha ereditato il testimone dal movimento femminile. E’ stato così per tanti anni con Errani, Pennetta, Schiavone e Vinci. Prima eravamo solo io, Seppi, Bolelli mentre ora si sono aggiunti Berrettini, Musetti, Sinner e tutti gli altri. Questa nuova generazione deve sfruttare il potenziale di cui gode al momento il tennis italiano. Organizzare così tanti tornei in Italia non è facile: servono soldi, tempo, investimenti. […]

Bolelli ha 37anni, lei quasi 36, come vede il futuro del doppio azzurro?

Non lo so. Berrettini può essere una soluzione, ma in questo momento penserei a un’ipotesi Musetti più uno. Non si può mai sapere comunque anche perché la cosa bella di questo periodo è che alle nostre spalle ci sono tanti ottimi ragazzi che stanno facendo bei risultati al livello Challenger e in futuro potranno dare sicuramente una mano.

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