ATP Finals al via (Semeraro, Azzolini, Bertolucci). Sinner è k.o. Davis addio (Giammò)

Rassegna stampa

ATP Finals al via (Semeraro, Azzolini, Bertolucci). Sinner è k.o. Davis addio (Giammò)

La rassegna stampa di domenica 13 novembre 2022

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La sfida infinita (Stefano Semeraro, La Stampa)

Un mese fa erano in squadra insieme, alla Laver Cup di Londra, racchetta in mano e fazzoletto pronto per asciugare la commozione dell’addio di Roger Federer, il loro carissimo nemico di una vita. Alle Atp Finals di Torino Nadal e Djokovic sono tornati ad essere quello che sono sempre stati: stelle rivali, punti cardinali opposti di un tennis che ci ha divertito per un paio di decenni e non ne vuole sapere di tramontare. Est contro ovest, tigna slava contro garra spagnola, rovescio (di Novak) contro diritto (di Nadal) . Avversari complementari, protagonisti che si rubano la scena. Rispettosi ed ammirati l’uno dell’altro. Ma amici mai. Almeno fino a che continueranno a incrociarsi su un campo da tennis. Se Federer è stata l’eleganza, Nadal e Djokovic hanno declinato un talento non inferiore con stili diversi, la forza del Cannibale, l’elasticità dell’Uomo di Gomma. La loro è, anche, la rivalità più robusta della storia del tennis Open: 59 sfide in totale, 30 a 29 per Djokovic. Al PalaAlpitour, non prima delle semifinali, potrebbe arrivare la cifra tonda: il pareggio o la fuga. Novak è un anno più giovane, 35 contro 36 primavere, e ha già spiegato che intende rimanere in circolazione a lungo, Rafa il saggio, papà da un mese, vive alla giornata, con la sua personalissima spada di Damocle: l’infortunio cronico al piede che può costringerlo a dire basta da un momento all’altro. «Quando il dolore supererà la gioia», è la sua formula zen. Sono ancora entrambi saldamente top-ten, Rafa addirittura potrebbe tornare numero 1 fra una settimana. L’ultima sfida l’ha vinta Nadal, nei quarti del Roland Garros, la sua tana che Djokovic è riuscito a violare due volte, quello che potrebbe diventare – ma speriamo non sia – il loro personalissimo ultimo valzer potrebbe andare in pista alle Finals, dove il Djoker insegue il record di Federer (sei vittorie) e Nadal il sogno di una vittoria che gli è sempre sfuggita nel torneo dei campioni. Due finali perse, nel 2010 e 2013, contro Federer e Djokovic, un rapporto difficile con le superfici veloci al coperto. «Ma negli ultimi anni – dice da ottimista incallito – credo di essere migliorato molto su questo tipo di superficie. Nel 2020, quando ho perso con Medvedev in semifinale, penso sia stata la mia migliore occasione». I giovani raccoglieranno la loro eredità, ma non sono mai riusciti a farli crollare. Rivederli uno contro l’altro sarebbe un brivido antico, l’ennesima occasione di ricapitolare una storia che sarà difficile rivivere.

Fritz e Aliassime, più diversi di così… (Daniele Azzolini, Tuttosport)

Uno è nato nel tennis, gliel’hanno costruito intomo, se mai abbia avuto un box nel quale gattonare, esso aveva forme risapute, con una rete per recinto, un nastro bianco e un signore seduto in alto su un trespolo a indicare gli sconfinamenti. In aggiunta, un sonaglino a forma di racchetta. L’altro il tennis l’ha scelto, con cocciutaggine e convinzione, obbligando il padre, ex calciatore, a recitare una pièce in buona parte edulcorata del genitore che s’inventa un mestiere nel tennis per scortare il figlio lungo la strada che porta a divenire campioni. Una sorta di Williams Story in stile canadese. O togolese… Opposti senza essere antitetici, e meno che mai nemici, Taylor Fritz e Felix Auger Aliassime vivono questa prima esperienza da maestri sapendo di dover chiedere permesso, considerati le ultime ruote del carro di un vertice del tennis che le Finals al secondo appuntamento con Torino hanno disegnato con la logica inoppugnabile di un Manuale Cencelli a uso sportivo. Un 45 per cento di chance da dividere fra i due di più antica fondazione, Nadal e Djokovic, mai disposti peraltro a un qualsiasi tipo di compromesso storico, il 42 per cento per quelli di mezza via che negli ultimi anni londinesi (e anche nel primo a Torino) hanno ribaltato l’ordine gerarchico facendo man bassa di titoli (Medvedev, Tsltsipas, il campione in carica Zverev che quest’anno non c’è), e ilresiduo 13 per cento per i debuttanti. Eppure, le indicazioni che vengono dai mesi conclusivi: di questa stagione tennistica, fanno intravedere una svolta già in atto al vertice del nostro sport, che presto potrebbe portare i ragazzi della generazione Z (e con essi i nati nel Duemila) a occupare la gran parte delle posizioni di prestigio. Del resto, il podio più alto del tennis è già nelle loro mani, anche se Carlos Alcaraz, bloccato da un guaio agli addominali (e fuori anche dalla Davis), non può essere qui, a Torino, a darci prova di questi nuovi sviluppi. È un fatto, a muovere dagli ultimi US Open, i ragazzi del Duemila hanno firmato otto vittorie nel circuito. Sono dodici nella Top 100, e nei prossimi mesi li vedremo crescere a dismisura. La stagione che sta per finire li ha visti ventotto volte in finale, con dicia ssette preziose vittorie. E se lo sguardo si allarga alla generazione dei venticinquenni, Fritz compreso, si può perfino stabilire che il passaggio di consegne sia quasi completata: il “quasi” risponde alla voce Rafa Nadal e Novak Djokovic, che non hanno ancora intenzione di seguire Federer sui Campi Elisi del tennis. Così, se questa seconda tappa torinese delle Finals non sarà propriamente simile a un gran ballo dei debuttanti, la presenza di Taylor e Felix sul cemento indoor del Pala Alpitour, potrebbe non risultare periferica come vuole il pronostico della vigilia. […] La crescita del ventiduenne di Montreal (nato nello stesso giorno di Federer, 19 anni dopo), di famiglia migrata dal Togo, è awenuta per vie dirette. Il padre calciatore l’ha istruito nella parte atletica, i bravi maestri canadesi l’hanno fornito di un gioco fisico e di grandi impatti sulla palla, zio Toni ha aggiunto quel po’ di sapienza tennistica che è condizione indispensabile per costruire il gioco secondo la propria dimensione. Felix non fa distinzioni tra le diverse superfici. Nasce sul cemento, sa battersi sulla terra rossa, si sente pienamente aproprio agio nelle competizioni indoor. Viene da tre vittorie consecutive (Firenze, Anversa, Basilea) e una semifinale a Bercy, sedici match di fila poi la sconfitta con Rune. Taylor ha una mamma tennista, Kathy May ex top ten, e una famiglia di grandi imprenditori. Ha fatto tutto in fretta, si è sposato a 18 anni, ha avuto un figlio, ha divorziato. Sampras lo vide in campo e lo definì il prescelto. Ma per arrivare ai risultati che il suo tennis lasciava intuire (una miscela di attacchi alla Pistol Pete, e botte da fondo in stile Delpo), ha impiegato tempo, pagando il dazio di molte sconfitte senza un perché. Si è riscattato da quest’anno, con la vittoria a Indian Wells in finale su Nadal e l’approdo in top ten. Ma i molto forti fanno così.

State attenti a Rafa, gli manca solo questo (Paolo Bertolucci, La Gazzetta dello Sport)

Um raffica di infortuni e problemi fisici come non eravamo proprio abituati a vedere. Rafa Nadal e sempre stato oltre che un campione assoluto anche un vero colosso, instancabile, infrangibile. Sulla prestazione atletica ha costruito una carriera eccezionale che ha il suo fiore all’occhiello nell’incredibile serie di successi al Roland Garros e nelle prove del Grande Slam dove è’ arrivato a ben ventidue trionfi. Ma ormai Rafa non è più il ragazzo con i capelli lunghi e l’abbigliamento buzzurro che all’inizio degli anni Duemila era planato nell’ovattato mondo tennistico sconvolgendolo. Non posso certo di menticare la prima volta che lo vidi da vicino. Aveva diciassette anni, era all’esordio assoluto nel torneo del Principato di Monaco. Di lui, tra gli addetti ai lavori si parlava da diverso tempo ma molti, quando si pesavano stilisticamente i nuovi prospetti, lo mettevano dietro al francese Gasquet, giocatore che ammaliava per la facilità di gioco. L’avversario di Rafa , lo slovacco Kucera, era un giocatore esperto, e n. 6 del mondo. Quest’ultimo provò varie soluzioni nel tentativo di scrollarselo di dosso ma trovò dinanzi a sé un muro e capi ben presto che l’errore gratuito non era contemplato e non faceva parte del repertorio del ragazzo. La palla di Rafa mostrava segni di pesantezza anche se difettava di soluzioni vincenti. Quello però che balzava agli occhi in maniera evidente era la facilità con la quale trovava angoli velenosi. Per non parlare poi dell’esasperato top spin mancino con il quale indirizzava la palla con traiettorie inusuali costringendo il malcapitato avversario a rincorse affannose. Fu facile pronosticare allo spagnolo un roseo futuro e una carriera ricca di successi ma nessuno avrebbe mai potuto immaginare che in quel pomeriggio avevamo battezzato l’esordio di un giovane che sarebbe diventato un vero e proprio fenomeno. Nel corso del tempo ha scritto pagine incredibili diventando l’unico giocatore della storia ad aver raggiunto la prima posizione del ranking Atp nel corso di tre decenni diversi. Ancora oggi con la chioma diradata, con il volto scavato dalle rughe, con i cerotti che ricoprono le dita delle mani, con un piede che fa le bizze e gli arti che presentano il conto dei chilometri percorsi, Rafa resta un punto di riferimento. […] Gli anni passano per tutti, anche per i fenomeni, ma è indubbio che il mondo tennistico è da sempre affamato di nuove imprese e guarda avanti, verso la prossima stagione. E quale performance potrebbe sluzzicare maggiormente la fantasia dei tifosi se non il quindicesimo titolo del Roland Garros da parte di Rafa? Sappiamo bene ormai che lui non è solo muscoli, sudore, è molto di più. Dovremo però verificare se. ad esempio, la nascita del primo figlio lo portera ad aumentare o a ridurre il livello delle motivazioni. A guardare l’impegno che mette anche in questi giorni in ogni fase dell’allenamento e la determinazione che mostra nel l’esecuzione di ogni singolo colpo, si potrebbe asserire che si diverte e che la spinta a lavorare giorno dopo giorno per la prossima vittoria sembra intatta. […]

Sinner è k.o. Davis addio (Ronald Giammò, Corriere dello Sport)

La posta in palio sarebbe stata molto alta. Da un lato, c’era la possibilità di consolidare la leadership nel ranking chiudendo la stagione da n.1 del mondo. Dall’altra, l’occasione per riscattare un’annata scandita dagli alti e bassi contribuendo a riportare in Italia un trofeo che manca dal 1976. Invece no. Il 2022 di Carlos Alcaraz e Jannik Sinner finisce qui. Del fine corsa del murciano si sapeva già da qualche giorno: la lesione agli addominali obliqui rimediata a Bercy lo costringerà a sei settimane di stop. Niente ATP Finals, né Coppa Davis. E se a Torino sarà lotta aperta per provare a scalzarlo dal trono, a fine novembre, nelle Finals di Coppa Davis di Malaga, saranno invece brividi per una Spagna padrona di casa costretta a dover rinunciare ai suoi due migliori interpreti. Per Jannik Sinner invece il rintocco è arrivato all’ora di cena. «Sono molto triste di annunciare che non potrò partecipare alla finale di Coppa Davis. Soffro di un infortunio al dito da Parigi – scrive l’azzurro dai suoi profili social – Sfortunatamente non sono ancora guarito e perciò non potrò far parte della nostra squadra. E’ stata una decisione molto difficile per me, giocare per il mio paese è sempre un onore e spero di poter tornare presto». Sarà sostituito da Sonego. l’infortunio è quello occorsogli al primo turno del Master1000 dl Bercy quando fu sconfitto in due set dallo svizzero Huesler. Per lui il 2022 si chiude quindi così come era iniziato, con l’ennesimo stop – a febbraio fu il Covid – a minarne condizione e continuità, e quel velo di incertezza che sembra già incombere sui giorni a venire. Vesciche, anca, ginocchio, caviglia: più che un calendario, quello di Sinner nel 2022 è stato un compromesso continuo con l’ortopedia. Cui anche Alcaraz ha dovuto infine arrendersi alla fine di quel folle volo che è stata la sua annata. Non c’è mal comune qui, né mezzo gaudio, ma solo doppia amarezza.

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