Lettera a Roger Federer

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Lettera a Roger Federer

L’emozionante rapporto durante gli anni, fatto di gioie e dolori, tra un fan e Federer raccontato in una lettera rivolta al campione svizzero

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Roger Federer - Wimbledon 2019 (via Twitter, @wimbledon)
 

Mio padre è stato il mio primo idolo. Tra noi c’è sempre stata una chimica che non saprei neanche come aggettivare. Sarà stato per questo che non ha mai del tutto compreso la mia passione per lo sport villano, per quel calcio in cui lui non vedeva nulla di lontanamente paragonabile, a livello emotivo e no, con l’eleganza dei gesti e la dolcezza di quelle forti carezze sprigionate dai grandi del tennis.

Aveva in tutti i modi provato a trasmettermi la sua passione trascinandomi sui campi in terra rossa vicino casa, sin da piccolissimo. Ma nulla, per uno scherzo del destino, io odiavo quello sport. Per anni ho trascorso interminabili giorni su quel dannato, sporco, mattone tritato. Finché, un giorno, abbandonando la mia politica del “meglio se soffro io che una persona a cui voglio bene”, presi il mio idolo in disparte e gli dissi che non avrei più fatto una cosa che odiavo, solo per compiacere lui. Fu un atto di estremo coraggio per un bambino di dieci anni così legato al padre. La sua risposta fu tenera. D’altronde mai mi aveva costretto a far nulla che non volessi, era stata tutta una creazione del mio cervello.

Potevo ora tornare, libero da sensi di colpa, a dedicare tutte le mie energie al mio Sheva, accarezzando la bandiera dell’Ucraina che da due anni era incollata al mio letto.

6 luglio 2003: Federer-Philippoussis

Faccio una dovuta premessa: ho una pessima memoria. Quel 6 luglio, però, neanche l’Alzheimer potrà scardinarlo dalla mia testa. Finito il luculliano pranzo domenicale da terrone quale sono, iniziò la classica battaglia per il telecomando con mio padre. Spesso mi cedeva lo scettro, ma in quell’occasione fu irremovibile. Mi chiese di sedermi al suo fianco per ammirare colui che avrebbe portato il tennis ad un altro livello. Decisi di accontentarlo, ma in realtà quel 6 luglio 2003, pensando di fare un favore a mio padre, lo feci a me stesso. Non fu solo la tua prima vittoria a Wimbledon, fu l’inizio di una viscerale e incondizionata storia d’amore.

Periodo 2004- 2008

Negli anni a seguire diventasti un mio punto fisso.

Ti tifavo come e più di quanto facessi per il Milan. Purtroppo, data l’età che mi rendeva schiavo delle decisioni dei miei e le scarse risorse tecnologiche a disposizione, ho perso tantissimi match di quel periodo. Ricordo però che le vittorie surclassavano le battute d’arresto.

Tifarti era sin troppo facile, ma per me non era una questione di vittorie, era la tua espressione in campo, la tua gestualità, a farmi vibrare l’anima.

6 luglio 2008 Federer-Nadal

Prima vera nota dolente della mia carriera da tuo tifoso.

Dopo anni di sostanziale dominio, gli dèi del tennis avevano plasmato la tua nemesi: Rafael Nadal. Perché sì, ai miei occhi Rafa non era stato partorito da un essere umano, era stato creato in laboratorio con l’unico scopo di porre fine alla tua supremazia. Mancino contro destro, muscoli contro tecnica, buzzurro contro regale. Ancora oggi quel match viene ricordato come uno dei più belli della storia del tennis, e sinceramente da tuo tifoso non è che mi vada tanto giù. Io quella partita non l’ho potuta vedere, tornai dal mare e mentre tu giocavi gli ultimi game, ero in bagno a farmi bello per raggiungere una ragazza che la sera stessa sarebbe diventata la mia fidanzata storica.

Non sono mai stato un fatalista, né uno che collega i segni. Ma cavolo, come avevo potuto pensare che un giorno così nefasto per te potesse regalarmi qualcosa di bello? Il 6 luglio 2008 sarà ricordato nel mondo sportivo come sede di una delle tue più grandi sconfitte, e, nel mio, come l’inizio di un incubo travestito da sogno.

Roland Garros 2009

Altro momento confessione.

Essere tuo tifoso è stato bellissimo, ma anche logorante. A tratti mi ha reso una persona peggiore, mi ha messo nella condizione moralmente discutibile di tifare contro i tuoi avversari storici (anche quando non giocavano contro te), in tutti quei momenti in cui il mio pessimismo cosmico mi impediva di pensare che l’avresti poi potuta spuntare con loro.

E onestamente Rog, col senno del poi, se non avessimo tifato Soderling fino a fargli compiere il miracolo, forse il Roland Garros non lo avresti mai vinto. Fatto sta che è successo, e nessuno potrà mai negarlo.

Roger Federer ha vinto anche a Parigi.

Estate 2012

Eri fresco di trionfo a Wimbledon contro Murray. Nonostante il set perso, non ti avevo mai dato per sconfitto in quella finale. Tre su cinque ti davo per sconfitto solo con Nole. Ed è proprio per questo che, un mesetto dopo, rimasi quasi gelato quando perdesti la possibilità di diventare oro olimpico in singolare, proprio su quel campo e con lo stesso avversario.

Non chiedermi perché, ma nonostante l’occasione sfuggita, quella sconfitta non fu traumatica per me come altre.

ATP Finals 2014

Domenica pomeriggio. Sono in camera mia aspettando che mio padre mi chiami per guardare insieme la tua finale con Djokovic. A un tratto dal salone sento “We, Federer si ritira”. Non so per quale motivo, ma traviso totalmente il senso della frase. Corro in salone, guardo lo schermo e non sei in tenuta da gioco. La mia mente insana crede tu ti stia ritirando per sempre. Comincio a piangere. Tu parli al microfono, il commentatore di Sky non parla, e io sono in totale balia di ansia e lacrime, non riesco a tradurre neanche una singola parola che ti esce dalla bocca. Mio padre mi rassicura. Non è il tuo ritiro, semplicemente non disputerai la finale. Per la prima volta ti mando a quel paese, mi stavi facendo venire un infarto a 21 anni.

Quel giorno ho avuto un assaggio di cosa avrebbe significato per me il tuo addio.

US Open 2015: Federer- Djokovic

Come già ti ho anticipato, con lui tre su cinque ti vedevo sempre sconfitto. Sarà perché fisicamente già ti dava una pista, perché sono pessimista di natura, o forse anche per un fare il superstizioso che in realtà non sono mai stato.

Quella sera/notte pioveva su New York e la tua partita veniva continuamente rinviata. Ero sul divano sommerso dagli appunti di Diritto dell’Unione Europea, ma, nonostante l’esame fosse il giorno dopo, non riuscivo a capire il senso delle parole che leggevo tanto ero agitato. Ammetto di aver pensato che forse sarebbe stato meglio andare a dormire, tanto sarebbe stata solo una gran delusione. Aspettai. La delusione arrivò, uscisti sconfitto, e in un lampo si fece giorno senza che io avessi dormito un singolo minuto. Mi presentai all’esame come uno zombie, forse non risposi neanche a mezza domanda dell’esaminatore, pensavo solo: “Roger, perché hai perso?”

Risultato: bocciato.

La Grande Sconfitta

Non ci conosciamo (colpa tua), ma immagino tu sia una persona intellettualmente onesta.

Dunque, non credo negheresti che sei forse il vincente più perdente della storia. Sono tante le sconfitte che hanno lacerato il cuore mio e dei tuoi tifosi: quelle a Wimbledon con Stakhovsky, Raonic, Anderson; la semi US Open con Cilic quando tutti, dopo la sconfitta inattesa di Nole con Nishikori, ti vedevano già alzare il trofeo; la finale US Open con Del Potro e il tuo “oh God, it’s killing me” post Australian Open perso con Rafa; la sconfitta con tanto di 0-6 finale con Hurcacz, che ora sappiamo rimarrà la tua ultima vera partita ufficiale.

Ma niente di tutto ciò è paragonabile al dolore, anche fisico, che ho provato dopo la finale di Wimbledon 2019.

Anche in quell’occasione, per difendermi da un male ulteriore, fingevo di non darti alcuna chance. E invece diamine ci credevo, anzi, sognavo il ritiro da vincente nel Tuo Giardino. Guardai la partita senza riuscirmi a sedere neanche una volta. Mal di schiena da tensione. Nel quinto vai a servire per il match, ti trovi con due match point consecutivi in tasca. Mi lacrimano già gli occhi. E invece anche quel giorno, gli dèi del tennis avevano deciso di tenderti una trappola. Sei arrivato sul Monte Olimpo e mentre stavi per sederti, ti hanno scaraventato giù. Non ho dormito per due settimane, ho risognato quei due match point all’infinito, probabilmente più di quanto abbia fatto tu stesso. Sapevo in cuor mio che era ufficialmente finita un’era, non ci sarebbero state altre occasioni del genere.

Il regalo mio più grande

Perdonami la citazione a Tiziano Ferro, ma è perfetta. In tutta la tua carriera mi hai riempito di regali, mi hai fatto da maestro di vita senza manco rendertene conto, e anche se milioni di persone potrebbero dire lo stesso, a me non interessa. Per me in quei momenti c’eravamo solo io e te, quel perfetto pacchetto regalo lo avevi confezionato con le tue mani solo per me.

Inizio 2017, ti presenti all’Australian Open dopo 6 mesi di stop, testa di serie n.17, senza alcuna chance di trionfare a detta di molti. Riesci ad arrivare in finale con Rafa, ma hai già due match al quinto sul groppone, e, sinceramente, la speranza di vederti alzare il trofeo è davvero fioca.

Anche qui è doverosa una premessa.

Non sono mai stato una persona serena, neanche da piccolo. Da adolescente ero il classico ragazzo arrabbiato col mondo, quello con le spalle abbastanza grandi da raccogliere i problemi di tutti, ma poi abbastanza debole e sensibile da poter crollare per una minuzia.

E così nel 2015, dopo aver subito un forte trauma, arriva il crollo.

Appassisco, divento scuro e vuoto. Non so più chi sono, non provo nulla, non godo quando faccio l’amore. Un dottore mi dice che sono clinicamente depresso. Non mi sono mai piaciute le etichette, tantomeno questa, ma neanche ero incollerito, soffrivo semplicemente del male della mia epoca.

Se chiedi a cento depressi cosa significa per loro la depressione, probabilmente riceverai cento risposte diverse. A me piace una definizione data dallo psicologo Fromm:Il depresso è incapace di provare gioia, così come è incapace di provare dolore. La depressione è l’assenza di ogni tipo di emozione, è un senso di morte che per il depresso è assolutamente insostenibile. È proprio l’incapacità a provare emozioni che rende la depressione così pesante da sopportare”.

Per me era questa la sensazione. Ero morto, ma costretto a vivere. Incapace di emozionarmi per qualsiasi cosa avvenisse nella mia vita. Obbligato a indossare una maschera ogni giorno, fingendo di dar peso a una vita che neanche desideravo più vivere.

Ma poi, quel gennaio 2017, ho aperto la porta e ho trovato il tuo pacchetto regalo. Dopo un quinto set epico, sconfiggi il tuo nemico-amico e io dopo non so quanto, inizio a piangere. Avevi rotto la mia barriera. Tu, uno sportivo, una persona che neanche conosco, eri riuscito a smuovere e poi a liberare tutte le emozioni che non riuscivo più ad esprimere.

Da allora ogni volta che mi sento così, e necessito di ricordare di essere ancora vivo, guardo le tue lacrime di gioia, ma soprattutto quelle di dolore. Perché nella vita si perde molto più di quanto si vinca, ed è come reagisci a stabilire chi sei nel mondo.

Sai perché sei così amato? Perché sei come noi, ma con un talento divino. Senza voler essere blasfemo, sei il dio che si è fatto uomo, sei lontano, intoccabile, ma è impossibile non sentire la tua presenza che riscalda il cuore.

La fine

Scriverti è stato più difficile del previsto, perciò arrivo alla fine. Negli ultimi due anni, ogni mattina, ancor prima di andare in bagno, cercavo su Google “Roger Federer” per sapere a che punto fosse il tuo recupero. Ogni volta mezze notizie, a volte tue dichiarazioni poco chiare.

Era palese, ormai, che la fine fosse vicina e allora fantasticavo su come avrei voluto scrivere l’epilogo della tua carriera. Non potevo più sperare in una tua grande vittoria, allora ti immaginavo nel Tuo Giardino, uscire tra gli applausi e le lacrime del tuo pubblico preferito. Una terza volta però, gli dèi del tennis ti hanno giocato un tiro mancino (magari fosse stato quello di Rafa!).

Il tuo ultimo match si è svolto nella cornice della Laver Cup, con tutto il rispetto l’ultima che avremmo voluto per il tuo gran finale. Una volta di più, però, ti sei dimostrato un gran romantico e, non potendo giocare in singolare, hai deciso di chiudere la carriera giocando in doppio con Rafa, quel nemico che tu stesso ci hai insegnato ad amare. L’essere umano è una macchina perfetta. Capace di rimuovere e accantonare i traumi peggiori. Ma concedimi di dirti che da domani la mia vita non potrà più essere la stessa.

Grazie di tutto Roger, per i tuoi colpi, per la leggiadria di quel magico gioco di piedi, per le tue parole, i tuoi sorrisi, le tue lacrime, per la regalità con cui spostavi i capelli prima di servire. Grazie per avermi reso un po’ più uomo, per avermi insegnato ad esserlo anche nei momenti peggiori.

Tu non lo saprai mai Rog, ma grazie per avermi cambiato la vita. Prendi il mio cuore quando te ne vai.

Lorenzo Limardi

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