Break Point: la docu-serie pensata per un pubblico nuovo, ma non per i nostalgici del tennis

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Break Point: la docu-serie pensata per un pubblico nuovo, ma non per i nostalgici del tennis

Il regista di Drive to Survive ci riprova ma Break Point, con molti tennisti tra cui Berrrettini, Jabeur, Kyrgios e Djokovic non rivela niente di nuovo per chi già conosce il tennis

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Venerdì 13 gennaio è uscita su Netflix la nuova e tanto attesa serie sul tennis: Break Point. Dal regista di Drive to Survive, la serie che ha riportato nelle case di molte famiglie la Formula 1, Break Point è uscita con l’intento di ripetere lo stesso successo, questa volta però con il tennis. Uno sport che negli ultimi anni aveva già ritrovato un grande pubblico, in particolare in Italia. Con le Nitto ATP Finals a Torino e con l’esplosione del grande tennis made in Italy, grazie a campioni come Matteo Berrettini, Jannik Sinner e i due Lorenzo: Musetti e Sonego.

Proprio per questo, le aspettative intorno all’uscita di Break Point erano molto alte. Forse troppo.

Un prodotto alla ricerca di nuovi appassionati di tennis, con il fine di avvicinarli e fidelizzarli a una nuova generazione di campioni. Dopo l’addio del più grande tennista della storia, Roger Federer, e con il ritiro della regina del tennis femminile, Serena Williams, era arrivato il momento di presentare nuovi idoli e spiegare in che modo fossero dei campioni anche loro. Ma Roger Federer non ha trovato i fan che l’avrebbero seguito ovunque nel mondo mostrando al pubblico le chiacchiere con la sua famiglia a tavola prima di un match. Non si è fatto inquadrare seduto sul letto disperato dopo aver perso quella che è stata l’ultima finale slam della sua carriera, contro Novak Djokovic, a Wimbledon. Federer ha conquistato il pubblico da solo sul campo, anno dopo anno, vittoria dopo vittoria.

Break Point è il tentativo di spiegare a chi ancora non lo sa appieno, cos’è il tennis e che vita conducono i tennisti di tutto il mondo. Ma per chi già conosce questo sport, non ha rivelato niente di nuovo. Drive to Survive ha rivelato il dramma che c’è dietro i bolidi di Formula 1 e non solo. Ha rivelato quanta gente lavora dietro alle macchine, cosa succede dietro le quinte, e come ogni componente nei team sia fondamentale nel rendimento di un pilota. Con Break Point non è stato possibile fare rivelazioni altrettanto impressionanti poiché nel tennis la vittoria è tutta nelle mani del singolo giocatore e di nessun altro. Certo è che la serie rivela il ruolo, in certi casi fondamentale, degli allenatori, dei mariti o delle mogli dei tennisti, sempre ad aspettarli e a supportarli a bordo campo: come la fidanzata di Kyrgios, la compagna di Fritz, il marito di Ons Jabeur che deve saper scindere il ruolo di allenatore dal ruolo di marito o il padre di Ruud allenatore e genitore allo stesso tempo. Una vita sicuramente non facile, ma come ha scritto il Telegraph: “dov’è l’odio?”. O meglio, dov’è il dramma?

La verità è che nel tennis il dramma è (quasi) sempre tutto nella mente del tennista. Ma Break Point non aveva l’obiettivo di andare a scavare nei pensieri più intimi dei giocatori e svelare l’odio profondo che questo sport può inculcare. Questa docu-serie è uno studio superficiale volto a spiegare le dinamiche quotidiane, il punteggio e l’importanza di alcuni momenti nella vita dei tennisti.

 Come ha infatti scritto il Times, le scene più interessanti sono state quelle nel quinto episodio, dove viene fuori la strana dinamica di Toni Nadal che non si siede nel box di Felix Auger-Aliassime e non tifa per il ragazzo che allena, se gioca contro suo nipote. E se vogliamo aggiungere anche la rivelazione di Taylor Fritz nel terzo episodio, quando credeva di essersi rotto il piede a poche ore dalla finale dei suoi sogni a Indian Wells contro Nadal (che l’americano ha vinto), ha dato un risvolto drammatico più interessante.

Per il resto, nel primo episodio, il ritratto di Nick Kyrgios, l’unico bad-boy rimasto, lo dipinge come un bamboccio insicuro. Nel secondo episodio, la noiosa ripresa della storia tra Matteo Berrettini e Ajla Tomljanovic, peraltro finita da parecchi mesi, avrebbe potuto lasciare spazio alla vicenda ben più interessante del caso Djokovic in Australia un anno fa, o alla vicenda drammatica di Peng Shuai, sparita dai radar in seguito alla denuncia per molestie sessuali dell’ex vicepremier cinese Zhang Gaoli, che ha costretto la WTA a cancellare tutti i tornei dal paese in segno di protesta. Tuttavia in questa prima stagione non tutti i tennisti del circuito avevano dato il loro consenso ad essere seguiti dalle telecamere di Netflix, per cui le troupe hanno avuto un numero limitato di protagonisti da poter seguire, Oltre al fatto che tutto lo staff di Netflix aveva conoscenze quasi nulle del circuito tennistico, per cui hanno dovuto impiegare i primi tornei anche per capire come funzionano le cose e come potevano muoversi.

Speriamo allora che il tennis continui a conquistare il pubblico senza bisogno di altre riprese, ma grazie alla sua eleganza, la sua genialità e sregolatezza, e la sua unicità; che per esser compresi profondamente, vanno osservati sul campo.

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