Quegli inizi di stagione in controtendenza: chi ben comincia è a metà dell'opera... se non si chiama Berrettini

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Quegli inizi di stagione in controtendenza: chi ben comincia è a metà dell’opera… se non si chiama Berrettini

Quasi mai, nella sua carriera ad alti livelli, Matteo ha avuto una stagione coerente con l’inizio. Numeri alla mano, vediamo come si sono evolute le sue ultime 4 annate fino ad oggi

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Matteo Berrettini - Indian Wells 2023 (foto Ubitennis)
 

La sconfitta di stanotte contro Taro Daniel ha consegnato l’ennesima versione fin troppo spenta, in campo, di Matteo Berrettini. Il romano sta vivendo un periodo duro, come se ancora i problemi fisici che lo hanno tanto angustiato nel 2022 non siano solo un ricordo (e, in effetti, poco più di una settimana fa hanno bussato alla porta in quel di Acapulco). Ciononostante Matteo si è dimostrato ben lucido e consapevole del dover ripartire quasi da zero, come testimoniano le sue parole in conferenza stampa, e soprattutto ha offerto uno sguardo d’insieme che la dice lunga sulle sue ambizioni. Il n.3 d’Italia ha infatti ricordato come anche nel 2019, anno della consacrazione con la semifinale allo US Open e la prima partecipazione alle ATP Finals, iniziò la stagione in maniera tutt’altro che incoraggiante, per poi alzare il livello gradualmente. Che anche questo 2023 possa andare così? É ancora presto per dirlo, ma certamente fare un paragone tra stagioni per quanto riguarda i primi tre mesi (fino ad Indian Wells dunque, in modo da contestualizzare anche l’attualità) di Matteo dal 2019, cioè da quando è entrato nell’élite del tennis, per poi paragonarli a come le ha chiuse quelle annate, può essere un esercizio utile per inquadrare la situazione.

2019: per aspera ad astra – 4 anni fa Matteo Berrettini iniziò l’anno da n.52 del mondo, senza le pretese odierne e ben lontano da certe attenzioni. Nei primi due tornei principali, Australian Open e Indian Wells, si arrese al primo turno rispettivamente a Tsitsipas (che in quello Slam segnò la sua ascesa) e Hurkacz, che era ancora lontano dai livelli odierni. Giocò 13 partite fino appunto alla sconfitta contro il polacco in California, con un record di 6-7, e l’unico risultato degno di nota fu una semifinale all’ATP 250 di Sofia persa da Fucsovics. Come si concluse quell’inatteso 2019, è ormai storia: Matteo si issò tra i primi 20 grazie a una grande stagione su erba (vittoria a Stoccarda, semifinale ad Halle, ottavi contro Federer a Wimbledon), prima del colpaccio della semifinale nelle notti americane a Flushing Meadows, che lo portò definitivamente nel mondo dei grandi. Addirittura scalò quasi 50 posizioni rispetto all’inizio dell’anno, chiudendo da n.8 al mondo con 2870 punti, giusto un tantino in più rispetto ai 916 iniziali. Dunque nonostante un inizio tutt’altro che indimenticabile, nel 2019 Berrettini seppe trovare la giusta quadratura del cerchio con l’evolversi dell’anno, arrivando al massimo passando anche per tante avversità.

2020: il COVID inficia il giudizio – il primo anno da top consolidato sin da subito, per Matteo, è stato quello macchiato dal COVID-19, con tutte le conseguenze che ben conosciamo nel circuito. Difficile prenderlo come unità di analisi, dato che l’azzurro giocò 15 partite in tutto l’anno, e solo 2 nei primi tre mesi, entrambe in Australia, dove si arrese a sorpresa al secondo turno a Tennys Sandgren. Il record di 9-6 lo portò a chiudere al decimo posto, quindi due posizioni in meno rispetto al 2019, ma con qualche punto in più, 3075, anche se non riuscì a qualificarsi alle ATP Finals, per qualche partita giocata in meno rispetto ad altri giocatori (Schwartzman, Rublev). Per quel che vale, anche 3 anni fa la stagione iniziò quindi male per Berrettini, che, per quanto molto particolare, riuscì comunque a chiuderla ad un ottimo livello.

2021: inizio tenue per la stagione migliore – poco da dire in merito: il 2021 è stata la stagione della carriera, per Berrettini, quella sì della definitiva consacrazione come giocatore di assoluto livello. Eppure l’inizio, in questo caso considerando anche il torneo di Montecarlo (Indian Wells non si disputò in primavera ma in autunno, e Matteo non giocò a Miami), fu poco più che discreto. Su 11 partite giocate, il record è altamente positivo: 8-3, ma 3 vittorie e una sconfitta arrivarono in ATP Cup, dove l’Italia raggiunse la finale, quindi in tornei del tour il conto fu di 5-2. Tre di queste vittoria maturarono in Australia, dove per la prima volta raggiunse la seconda settimana, ma poi diede forfeit contro Tsitsipas, perdendo senza giocare. Nessun’altro risultato da sottolineare, dunque inizio di rispetto, ma che non lasciava presagire chissà quanto quello che sarebbe avvenuto dopo: prima finale 1000 a Madrid, persa in tre con Zverev, quarti in tutti gli altri Slam rimanenti, e la storica, immensa finale a Wimbledon, dove andò anche un set avanti con Djokovic. La seconda parte di 2021 di Berretto è stata strepitosa, con il solo Djokovic capace di batterlo nei Major. Chiaramente, come ricordiamo, staccò il pass per le Finals, e chiuse l’anno nella posizione più alta che abbia finora fatto registrare a fine stagione: n.7 al mondo, con 4568 punti, ben 1493 in più rispetto a quell’inizio un po’ timido.

2022: chi ben comincia… – l’ultimo anno, per come era iniziato e come si è concluso, ha quasi una punta di triste ironia. Senza ombra di dubbio, specie in termini di risultati, contando che il 31 gennaio 2022 raggiunse anche il miglior ranking al n.6, l’inizio della stagione scorsa è stato il migliore della carriera per l’italiano. Record di 9-6 (1-2 in ATP Cup), che è il maggior numero di partite vinte da Matteo nei primi 3 mesi delle stagioni dal 2019 ad oggi, e soprattutto la ciliegina sulla torta della terza semifinale Slam della carriera, all’Australian Open. Anche un quarto di finale a Rio e un ottavo ad Indian Wells sembravano comunque tracciare un percorso più che positivo… fino alla sconfitta con Kecmanovic in California. Da allora Matteo ha avuto problemi fisici in serie, ha dovuto passare tre mesi lontano dai campi, con il colpo di grazia del COVID che gli ha impedito di partecipare a Wimbledon. E così il miglior inizio della carriera si è trasformato nel peggior finale degli ultimi 4 anni: per la prima volta dal 2019 infatti Berrettini ha chiuso la stagione fuori dai primi 10, addirittura come n.16 del mondo (9 posizioni in meno) e a quota 2375 punti, più di 2000 mancanti rispetto all’inizio.

E ora? Il 2023 dell’azzurro è finora in perfetto equilibrio: 5 vittorie e 5 sconfitte, ma levando la United Cup (in cui aveva dato grandi speranze) siamo 2-3, l’uscita dai primi 25 appare sempre più vicina. Ora è però inutile piangersi addosso, Berrettini lo sa, e sa che deve darsi da fare per realizzare un passo avanti sin da Miami, torneo dove non ha mai vinto neanche una partita. Se c’è qualcosa che può consolarlo è che, da quando gravita nei piani alti del tennis, quasi mai la stagione ha seguito poi l’andamento dell’inizio. Sono esemplificativi i due estremi: miglior avvio, 2022, è coinciso con il peggior piazzamento finale dal 2019 in poi; lo stesso 2019 fu l’anno in cui iniziò nella maniera più timida, unico con un record negativo a inizio primavera, per chiudere con il suo secondo miglior ranking finale. Dunque il passato parla chiaro: chi ben comincia è a metà dell’opera…se non si chiama Matteo Berrettini. In quel caso la sua vera forza è lo scatto in avanti quando meno ce lo si aspetta. E, la speranza per tutti gli appassionati e tifosi italiani, è che la storia anche in questo 2023 possa dargli ragione.

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