Bologna, 29 aprile 1987. Belgrado, 22 maggio 1987. Qualcuno direbbe un’ottima annata, e il tennis sentitamente ringrazia. Le carte di identità appartengono rispettivamente a Sara Errani e Novak Djokovic e l’arco temporale che li separa, 23 giorni, è poco più rispetto alla durata del sogno proibito di uno sportivo: i Giochi Olimpici. L’azzurra è stata e, mai come ora, continua ad essere una veterana del movimento italiano mentre il serbo è conosciuto ai più, anche a chi crede che un “ace” sia un succo di frutta, come uno dei più grandi interpreti di questa disciplina in senso assoluto. Il filo rosso che li lega è la disperata ricerca dell’ultimo tassello, un obiettivo che è sempre sfuggito e che troverebbe compimento in una medaglia d’oro, dorata come la gloria che sanno regalare le Olimpiadi. Domenica 4 agosto 2024, quei vecchietti terribili hanno sovrapposto le loro imprese in un valzer di record di longevità, dall’inizio dell’Era Open, dove Nole chiama e Sara risponde.
Lo scenario è il seguente. Parigi è la città ospitante della trentatreesima edizione dei Giochi Olimpici e sia Sara che Nole sanno che per loro è l’ultima occasione di mettersi al collo la medaglia con il metallo più prezioso. Sì, perché Djokovic avrebbe in bacheca un bronzo a Pechino 2008 ma non è il colore dei primi classificati e per chi dell’ossessione fa il suo motore di vita non è di certo abbastanza. Errani, dal canto suo, ha sempre rimediato cocenti delusioni dalle esperienze a cinque cerchi e, infinite vite tennistiche dopo, si presenta nella capitale francese sognando l’ultimo acuto. Le specialità sono diverse, le parabole agonistiche anche, ma il curriculum e la maledetta voglia di non arrendersi al tempo hanno più di un’attinenza. Entrambi, Nole nel singolare e Sara come doppista, hanno vinto tutti gli Slam e l’ultimo pezzo del puzzle è un oro olimpico che permetterebbe di completare il celeberrimo Career Golden Slam, una cerchia di pochi eletti detentori dei 4 Major più la medaglia più pesante.
Il percorso di avvicinamento a Parigi 2024 dell’italiana e del serbo non è stato diametralmente opposto, ma sicuramente con sfumature diverse ai blocchi di partenza. Sara, dopo una vita in coppia con l’ex giocatrice Roberta Vinci, ha trovato una sinergia sempre più rodata con una tennista che da poco è riuscita a fare capolino ad alti livelli nella scena mondiale: quella Jasmine Paolini, che a posteriori ringrazierà con parole a dir poco al miele, che le ha conferito nuova linfa in una carriera che si avvicinava al tramonto. La bolognese e la toscana, a suon di prestazioni, si sono aggiudicate il Master 1000 di Roma e si sono spinte in finale al Roland Garros, stessa location per puntare all’oro olimpico. Nel novero delle accreditate? Certo, ma vincere non è mai facile sapendo che, per Errani, sei spalle al muro e all’ultima chiamata, a 37 anni suonati. Senza contare che tra le dirette rivali ci sarebbe la stessa Siniakova, in quell’occasione con Coco Gauff, che ti ha negato un paio di mesi prima il trionfo nel Major francese. Come se non bastasse Katerina sarà in tandem con Barbora Krejcikova, ori olimpici in carica e vincitrici fianco a fianco di 7 titoli Slam.
Qualche nube in più era addensata sul cammino di Novak Djokovic. Il ventiquattro volte campione Slam è reduce da un infortunio al ginocchio che lo aveva costretto a rinunciare alla semifinale con Ruud al Roland Garros e, alla notizia della sua presenza a Wimbledon, c’era più di qualche dubbio sulla sua tenuta fisica. Nole rientra, gioca e arriva in finale. Al netto di un calendario non ostico e avversari non insormontabili, probabilmente solo Musetti in semifinale poteva dargli filo da torcere, il classe 1987 aveva dimostrato ancora una volta che se si voleva andare in cassa a riscuotere bisognava prima fare i conti con lui. Iniezione di fiducia e deterrente non da poco per gli altri, tutti meno Carlos Alcaraz. Lo spagnolo, che già l’aveva spuntata al quinto l’anno scorso ai Championship, si ripete e la vittoria schiacciante per 6-2 6-2 7-5 sembrava essere la lapide sull’era dei Big Three, con il serbo ultimo baluardo. Una debacle che incrinava le certezze di Novak, con il murciano ormai pronto a fare incetta di tutto, con la medaglia più ambita come prossima portata del menù.
Sara, con Jasmine, e Nole arrivano in finale rispettivamente nel doppio femminile e nel singolare maschile. Gli avversari designati in finale sembrano essere emissari per uno scherzo del destino. Chi meglio di un giovane può farti capire che giovane non lo sei più? Nessuno, per l’appunto. Errani e Paolini, con grande sorpresa, non si trovano di fronte la coppia campione in carica vincitrice a Tokyo bensì un tandem ancora con il cellofan, assortito per il grande evento, sospinto dal vento della gioventù. Diana Shnaider e Mirra Andreeva sono coetanee della bolognese, peccato che solo grazie alla somma delle loro età perché le due russe di anni ne hanno rispettivamente 20 e 17. Non con lo stesso divario ma anche Djokovic, per l’ennesima volta, ha dovuto affrontare questo miss match anagrafico e, difficoltà addizionale, contro colui che sembrava aver dato più di una picconata alla sua egemonia: di nuovo quel Carlos Alcaraz, 16 anni meno del serbo.
Domenica 4 agosto 2024. Due ore e trentatré minuti. Nonostante il setting siano i Giochi Olimpici, questa è il lasso temporale di una staffetta che nulla ha a che vedere con l’atletica e, forse, neanche con il tennis. Va al di là di tutto. Alle 16:52, risparmiandovi l’epica del match, Novak Djokovic centra la medaglia d’oro tanto agognata e completa il Career Golden Slam raggiungendo Andrè Agassi e il rivale di sempre Rafa Nadal e, in ultima istanza, diventando l’atleta più vecchio ad essere salito sul gradino più alto del podio in questo sport. Alle 19:25 probabilmente senza che nessuno se ne accorgesse, a fari spenti perché in una coppia c’è poco spazio per il singolo, Sara Errani non solo regala all’Italia tennistica il primo oro olimpico ma raccoglie il testimone dal serbo in questo primato di longevità, con buona pace della quarantatreenne doppista britannica Winifred McNair e la sua medaglia d’oro ad Anversa 1920, molte decadi prima l’inizio dell’Era Open. 29 aprile e 22 maggio, 23 giorni che 213 minuti tra gli epiloghi delle due finali hanno fatto la differenza, con Sara che continua la corsa di Nole, probabilmente l’unica che non vincerà mai. La corsa contro il tempo.