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Lo scorso 28 gennaio l’Italia del tennis maschile ha avuto in dono il suo primo campione Slam dopo oltre 47 anni di astinenza. Sono passati sette mesi e ci siamo ritrovati un bi-campione Slam che, come se non bastasse, nel frattempo è anche diventato numero 1 del mondo: un traguardo senza precedenti nella nostra storia. Tutto questo è Jannik Sinner. Come ovvio, la vittoria in Australia a inizio anno non era stata frutto di particolari condizionati fortunate. Lo ha confermato il prosieguo della stagione in cui l’azzurro ha raccolto altri cinque titoli, tra cui due Masters 1000 (Miami e Cincinnati) e soprattutto lo US Open. Se il primo Slam ha indubbiamente un gusto tutto suo perché in grado di marcare la differenza tra un gruppo amplissimo di ottimi giocatori e un’élite di vincenti, il secondo, a maggior ragione se così ravvicinato, è il simbolo della continuità, di una superiorità non solo temporanea e della capacità di saper gestire la pressione derivante da aspettative e pronostici.
Oltre tre milioni di italiani (per uno share complessivo superiore al 17%) hanno seguito in diretta la finale di New York, vinta dall’azzurro in maniera netta sul beniamino del pubblico sugli spalti Taylor Fritz. Jannik Sinner è insomma un fenomeno sempre più nazionalpopolare. L’immagine dell’Italia sportiva è lui. Lo è diventato nonostante abbia scelto il modo più difficile in assoluto per far innamorare il pubblico. Anche quello più corretto, però, perché è rimasto se stesso, non facendosi condizionare e appesantire dalle critiche, fedele alle sue convinzioni, all’etica del lavoro e a quella dell’imparare da qualsiasi evento.
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Articolo di Andrea Mastronuzzi – Video di Ubaldo Scanagatta