E’ l'(anti)eroe della settimana. Comunque sia andata. Sì, insomma, Alejandro Davidovich Fokina – con quella faccia un po’ così (come avrebbe cantato il sempre geniale Paolo Conte) che ricorda la versione più giovane (e tennistica) del caro vecchio Christopher Lloyd (il famoso Doc di “Ritorno Al Futuro”) – ha rappresentato, senza ombra di dubbio, uno dei tennisti maggiormente in spolvero della settimana monegasca. Quasi come nel 2022, quando nella splendida cornice della città del Principato, che regala sempre uno degli scenari più caratteristici dei tornei ATP, Alejandro riuscì a spingersi fino alla finale (poi persa in due set contro un all’epoca in rampa di lancio Stefanos Tsitsipas).
Questa volta, l’atleta originario di Rincón de la Victoria (attuale numero 42 del mondo) si è dovuto arrendere un attimo prima dell’atto conclusivo del Rolex Monte-Carlo Masters, cedendo in due set ad uno dei suoi migliori amici all’interno del circuito ATP, quel Carlos Alcaraz a caccia di risultati e di continuità. Poco male. Già, perché Davidovich, grande appassionato di tatuaggi (ne ha sei), musica e cucina, è da sempre abituato al proprio ruolo di underdog. Nel circuito e nella vita di tutti i giorni. Nonostante un tennis di tutto rispetto (anche se al netto di una certa, atavica discontinuità) e una personalità debordante come uno tsunami.
Quello stesso tsunami che Alejandro ha tatuato sul braccio sinistro. “È così che mi identifico.“. Ha dichiarato in una recente intervista al quotidiano spagnolo Marca. “Gli altri cinque tatuaggi che ho, sono frasi della vita che mi piacciono. Uno è dedicato al mio cane, un altro al mio gatto e i restanti ad alcuni simboli.”. Per lui, dopo l’exploit al Roland Garros del 2021 (quarti di finale ed eliminazione subita contro Zverev in tre set) e la suddetta finale a Montecarlo, il 2024 è stato un anno di transizione. Anche se condito dalla vittoria ottenuta nella United Cup contro l’allora Top 10, Hubert Hurkacz.
Va da sé che spesso, quando pensiamo all’atleta iberico (best ranking ATP, numero 21, raggiunto il 21 agosto del 2023), pensiamo soprattutto ad un giocatore esclusivamente da terra battuta, eppure, il suo primo grande step, è stato quello di vincere il torneo Junior di Wimbledon edizione 2017 (senza perdere nemmeno un set, tra l’altro) grazie al successo ottenuto in finale contro l’argentino Axel Geller (7-6 6-3). Del resto, Alejandro non ha mai nascosto la propria ancestrale ammirazione per una delle leggende del tennis (e dello sport) mondiale, sua divinità Roger Federer. Non solo. Vero e proprio personaggio-pop a tutto tondo, il suo amore e la sua passione per la musica emergono soprattutto quando ascolta Armin Van Buuren, noto dj olandese: “Ho un paio di amici che sono DJ, che suonano nei club, e mi hanno consigliato delle cose su come farlo”.
Detto questo, nonostante un padre svedese (ex pugile) e una madre russa, Alejandro si sente totalmente spagnolo. E non solo per ciò che concerne la propria fede calcistica (è tifosissimo del Real Madrid). Così come sottolineato nella suddetta intervista con Marca: “Nel mio modo di essere, sono totalmente spagnolo e del sud. Non parlo svedese perché non me lo hanno mai insegnato. Il russo lo parlavo da piccolo, ma quando ho smesso di esercitarlo con i miei genitori l’ho perso anche se riesco ancora a capire tutto”.
Ritornando al tennis giocato e all’ATP 1000 di Montecarlo, Davidovich ha cominciato la sua spumeggiante settimana monegasca con una splendida vittoria ottenuta ai danni del sempre ostico Ben Shelton (un 7-6(2) 6-4 che non ha lasciato spazio a recriminazioni di sorta) e col successo conseguito contro l’argentino Etcheverry (7-6(2) 6-3) nel turno successivo. Agli ottavi, invece, il classe ’99 è riuscito a superare l’attuale numero 6 del mondo, Jack Draper, al termine di un match che a definire “combattuto” si corre quasi il rischio di sminuirlo. Ai quarti, infine, Alejandro ha regolato senza troppi patemi l’australiano Alexei Popyrin (6-3 6-2).
E poco importa se il numero 3 del mondo, Carlos Alcaraz, in semifinale lo abbia fatto scendere (metaforicamente) dalla propria DeLorean dei sogni. Ciò che conta, infatti, è che Davidovich abbia provato comunque a gettare il cuore oltre l’ostacolo. Come con Tsitsipas tre anni or sono. Come ogni underdog che si rispetti. “Keep myself right on this train…”, chioserebbero i Kasabian. E noi con loro.