“Portatemi Gaudenzi!”
I giocatori temono ritorsioni da parte del potente Tour, questa è la spiegazione di base fornita da Vasek Pospisil, anch’egli in aula. Ha anche detto di aver parlato con 150 tennisti e che per la maggior parte supportavano la causa. Tuttavia, in un tweet del 18 marzo scriveva: “Importante notare che abbiamo parlato con oltre 300 giocatori e tutti ci hanno appoggiato moltissimo. Top player compresi”.
Riguardo ad Alcaraz – certo un top player ma evidentemente “non compreso” – pare che Vasek non lo abbia interpellato per via della giovane età, “non volevo distrarlo”. Vasek ha in seguito mandato un messaggio al giovine Carlos che, per inciso, compirà ventidue anni il prossimo 5 maggio, data ai più nota per essere immediatamente successiva all’ultima ora di squalifica dell’uom fatale, pronto a calpestare la cruenta polvere di mattone. Lo spagnolo avrebbe poi “risposto in modo entusiastico dicendo che gli piacerebbe saperne di più”, stando a quanto dichiarato da Pospisil.
Vasek è primo firmatario del documento presentato a New York, mentre si è molto parlato del fatto che non compare il nome dell’altro fondatore della PTPA, Novak Djokovic, e di alcune sue dichiarazioni, per esempio “ci sono aspetti con cui sono d’accordo nella causa e altri con cui non sono d’accordo”. Questioni puntualmente sollevate dagli avvocati. “Sono rimasto sorpreso” ha detto Pospisil, “non so perché abbia detto quelle cose. Non erano in linea con le nostre precedenti conversazioni”.
Come accade nei legal thriller, chi si presenta alla sbarra deve mettere in conto che l’avvocato della controparte andrà a rivangare episodi del passato per provare la propria tesi o mettere in cattiva luce il testimone. Così, Vasek non sarà stato particolarmente sorpreso quando è stato ricordato l’episodio che lo vide protagonista a Miami nel 2021: dopo racchetta spaccata e palla sparata fuori dal campo, si era preso un penalty point per abuso verbale. Allora era partito lo sfogo definitivo: “Ieri per un’ora e mezza il capo dell’ATP ha alzato la voce contro di me perché cercavo di unire i giocatori. Per un’ora e mezza! Il leader dell’ATP! Portamelo qui, portamelo qui!”. Un po’ come Vasco Rossi che “portatemi Dio”, però con ben altri toni. Poi, sempre rivolto al seggiolone occupato da Arnaud Gabas aveva aggiunto: “Se vuoi squalificarmi, sarò ben felice di fare causa a questa intera organizzazione”. Detto fatto, anche se i quattro anni a separare parole e azione rendono impropria la locuzione. Vasek aveva poi chiesto scusa.
Citando l’avvocato della PTPA, Daniel Kaplan riporta che l’ATP ha fatto mettere agli atti filmati di membri dell’associazione che sfasciano racchette e cose del genere.
Portami pure in tribunale, ma paghi tu
Secondo lo statuto dell’ATP, se un proprio membro fa causa all’associazione e perde, deve pagarne le spese legali. Lo sanno le federazioni tennis di Germania e Qatar che avevano portato in tribunale l’ATP quando nel 2008 era stato deciso che il loro torneo, il Masters Series di Amburgo, sarebbe stato declassato a ”500”. Vinta la causa, l’ATP aveva a sua volta fatto ricorso alla giustizia per recuperare le spese legali, mentre le due federazioni sostenevano l’illegittimità della clausola statutaria. Si parlava di una ventina di milioni di dollari e, dopo anni, le due parti (l’ATP era già rappresentata da Brad Ruskin) avevano raggiunto un accordo stragiudiziale. Per dire che nell’udienza di venerdì Pampoulov non ha negato l’esistenza di quella disposizione nello statuto. La questione era stata sollevata dalla testimonianza di Pospisil secondo il quale, riportando voci di spogliatoio, l’ATP sarebbe pronta a spendere tra i 50 e i 100 milioni di dollari per difendersi nella causa. A Pampoulov non è stato invece domandato nulla a proposito di quelle cifre, peraltro più volte citate.
Rappresentanza
La Professional Tennis Players Association è nata con lo scopo dichiarato di rappresentare i tennisti, ma il problema originario e che emerge sempre più chiaramente è proprio quello della rappresentanza. “Per conto dell’intera popolazione dei professionisti” twittava la PTPA annunciando l’avvio dell’azione legale. Tra parlare con oltre 300 tennisti professionisti (che poi erano forse la metà) e rappresentarli c’è differenza. Siamo quasi al livello di far chiamare mezza città da un bot per poi presentarsi dal sindaco esigendo drastici provvedimenti a nome di tutti i residenti.
La questione è stata rimarcata da Ruskin, “auto-designata” rappresentante dei tennisti, ha detto l’avvocato, evidenziando invece che i giocatori sono rappresentati in egual misura dei tornei nell’ATP (quattro rappresentanti degli uni e degli altri nel Board presieduto da Gaudenzi). E ha aggiunto che la PTPA “mina” l’ATP.
Ecco, chi scrive non tiene particolarmente a fare la figura di chi “eh, l’avevo detto” – un po’ come quelli che “io seguivo Sinner da ben prima del Challenger di Bergamo”, “dilettante, io ho presentato Hanspeter a Siglinde”, ma, insomma, aveva spiegato i motivi della convivenza impossibile tra ATP e PTPA quando ancora emetteva i primi vagiti (la PTPA, non chi scrive).
Intanto…
La causa è solo all’inizio e una prima risposta dei convenuti non è attesa prima del 20 maggio. Riguardo a questa richiesta di “zittire” l’ATP, la giudice Garnett ha dato alle parti una settimana di tempo per sottoporre altre argomentazioni scritte e poco dopo renderà nota la sua decisione.
Nel frattempo, ben lontani dalle aule della giustizia (ordinaria) eppure cercando più giustizia (nella ripartizione delle entrate), i top 10 ATP e le top 10 WTA hanno scritto agli Slam chiedendo un cospicuo aumento del montepremi. I quattro major non sono tra i convenuti nell’azione legale della PTPA, ma nel documento presentato anche “per conto” dei top player li si nomina come co-conspirators, complici della cospirazione di ATP, WTA, ITF e ITIA. Chissà quindi come gli organizzatori degli Slam hanno accolto la lettera, per quanto siamo moderatamente sicuri che non iniziasse con “Dear Co-conspirators”.