Ai giorni d’oggi l’omologazione tecnica nel gioco del tennis è oramai assodata e irreversibile. I giovani tennisti sono un po’ tutti super atleti che ‘spaccano’ la palla di dritto e rovescio, cercano punti facili al servizio e, solitamente, non hanno nella manualità il loro punto forte.
Fatta eccezione di qualche personaggio come Carlos Alcaraz e Lorenzo Musetti, la nuova frontiera di questo sport mostra la faccia dell’efficienza più pura ed estremizzata. Perché i margini sono sempre più sottili e ogni giocatore vuole arrivare al top. In questo ecosistema si stagliano degli esemplari più unici che rari, che fanno della propria visione tennistica, peculiare sotto ogni aspetto, il loro principale punto di forza. Perché non c’è niente che possa mettere più in difficoltà di un qualcosa che non ci si aspetta. Sotto questa descrizione, Adrian Mannarino, prossimo avversario di Jannik Sinner agli ottavi di finale del Cincinnati Open (in programma verso le 19 italiane).
Tennis in famiglia e prime gioie da professionista
Il 29 giugno 1988, a Soisy-sous-Montmorency, nasce Adrian Mannarino. Il padre, Florent, è un maestro di tennis e presto il nostro piccolo protagonista, all’età di cinque anni, prende in mano una racchetta a fianco anche di uno dei suoi tre fratelli (ha anche una sorella), Morgan. A differenza di quest’ultimo, che dopo qualche torneo ITF si fermerà per darsi ad altro, la strada di Adrian toccherà ben altri lidi.
Amante del tennis di Marcelo Rios, mancino come lui, il francese cresce e affina le proprie abilità prendendo spunto proprio dall’ex numero 1 al mondo cileno. Il debutto a livello internazionale avviene all’età di sedici anni e per quasi due stagioni il giovane transalpino rimane sempre nel suo Paese, dove piano piano rosicchia qualche risultato qua e là. Le prime trasferte avvengono solo nel 2006. Prima in Polonia, poi in Spagna, dove cattura il primo titolo e grazie a questo risultato ottiene in seguito una wild card per le qualificazioni dello Slam di casa, il Roland Garros. Passa un turno e si arrende a Steve Darcis in tre set. Ma continua a darsi da fare e in quell’estate valica la barriera della top 500 ottenendo altri buoni piazzamenti e facendo i suoi esordi a livello Challenger.
La cavalcata a Metz, la top 100 e i primi Slam
Adrian non ha alcuna intenzione di correre per bruciare le tappe. Nei due anni successivi disputa prevalentemente eventi Future e mette in bacheca altri cinque trofei di questa categoria. Nella primavera del 2008 inizia a prendere parte ad alcuni Challenger ed entra per la prima volta tra i primi 200 tennisti al mondo. Prima ancora di conquistare il primo titolo Challenger, ma dopo essersi costruito la possibilità di partecipare alle qualificazioni degli Slam, Mannarino si qualifica per il tabellone principale del torneo di Metz. Sconfigge quattro giocatori classificati meglio di lui, tra cui Andreas Seppi, numero 28 del mondo all’epoca, e si ferma solamente in semifinale con due tie-break al cospetto del connazionale Paul Henri Mathieu.
Facendosi strada in svariati eventi successivi, prevalentemente del circuito Challenger, Mannarino si fa notare e grazie all’accordo tra la federazione francese e quella australiana guadagna una wild card per il tabellone principale dello Slam oceanico, dove perde malamente contro Fernando Verdasco (fa solo quattro giochi), ma vive per la prima volta la vera ebbrezza di un Major. Il 2009 è l’anno in cui entra tra i 128 anche al Roland Garros, grazie a un invito, e a Wimbledon, dove riesce a passare le qualificazioni. Non riesce ancora a vincere un set, ma in quell’estate rompe il muro della top 100 per poi fermarsi a fine settembre e tornare sei mesi dopo in campo ben oltre la 200esima posizione mondiale.
La crescita definitiva e il tabù delle finali perse
Vincendo un paio di Challenger, e finalmente la sua prima partita in un main draw Slam allo US Open, con pazienza Adrian torna nella porzione di classifica che ricopriva più di un anno prima. Nel 2011 batte Gilles Simon, top 20 consolidato, ben due volte e a luglio entra in top 50. Nonostante qualche risultato sporadico come la semifinale di Johannesburg in quella stagione, o il quarto turno a Wimbledon nel 2013, Mannarino in quegli anni fatica a confermarsi ed è spesso in un’altalena di prestazioni. Tra la fine del 2014 e il 2015, però, qualcosa scatta.
A cavallo delle due annate vince tredici partite filate, intasca due Challenger e centra la prima finale nel circuito maggiore a Auckland, che perde in due set contro Jiri Vesely. A luglio di quell’anno se ne lascia sfuggire un’altra a Bogotà, in Colombia, ma le soddisfazioni in quel periodo sono tante. Le più significative: l’ingresso tra i primi 30 tennisti al mondo e la prima vittoria contro un top 10 (Stan Wawrinka a Miami).
Se il 2016 è un anno transitorio, con la gioia più grande che arriva con la semifinale del doppio all’Australian Open a fianco del connazionale Lucas Pouille, e l’accoppiata di stagioni 2017-2018 finisce per essere piuttosto positiva ma senza sigilli – disputa altre quattro finali, tra cui quella nell’ATP 500 di Tokyo (torneo dove ha sconfitto per la prima volta un top 5 come Marin Cilic) persa contro David Goffin, e altri due ottavi di finale a Wimbledon –, nel 2019 finalmente alza al cielo il primo titolo nel circuito maggiore.
I titoli e il best ranking, ma anche il crollo e la risalita
Accade sull’erba olandese dell’ATP 250 ‘s-Hertogenbosch e alla fine di quell’anno l’allievo di Erwann Tortuyaux perde altri due ultimi atti in quella categoria di tornei. Così come un altro nella stagione successiva. Nel 2021, a Wimbledon, trascina Roger Federer al quinto set, ma è costretto a ritirarsi per un infortunio al ginocchio destro che lo tiene poi fermo ai box per svariate settimane.
Tra il 2022 e il 2023 rimette in piedi il bilancio delle finali perse (nelle prime 10 a livello ATP, 1-9), conquistando altri quattro titoli 250 e perdendo una sola volta. Raggiunge gli ottavi di finale all’Australian Open e poi replica il risultato nel 2024. Batte Ben Shelton al set decisivo in una battaglia di quasi cinque ore, poi crolla dinanzi a Novak Djokovic, che gli lascia solamente tre giochi. Ed è nel gennaio di quell’anno che Adrian ottiene il suo best ranking di numero 17 al mondo. Ma qual è il segreto di questo suo successo dopo i 34 anni? “Ho iniziato a bere tequila”, aveva fatto sapere il francese a Melbourne scherzando.
Da quel torneo ricco di soddisfazioni, però, Mannarino non raccoglie più molti risultati e fatica parecchio in termini di fiducia. Circa un anno dopo, a marzo del 2025, si trova infatti oltre la 140esima posizione mondiale. Nelle ultime settimane, tra il terzo turno di Wimbledon partendo dalle qualificazioni e la finale nel Challenger di Newport, sta riacquistando un po’ di terreno in classifica all’età di 37 anni. Ed eccoci a Cincinnati, sempre con il transalpino capace di superare il tabellone cadetto e ora, con cinque successi consecutivi di cui l’ultimo di prestigio su Tommy Paul, la sfida al numero uno del mondo Jannik Sinner, del cui caso di contaminazione era rimasto piuttosto dubbioso.
Mannarino: numeri e unicità
In termini di ranking, la vittoria più prestigiosa di Adrian è quella contro l’allora numero 3 al mondo Daniil Medvedev nel torneo di ‘s-Hertogenbosch 2023. In carriera il suo bilancio contro i top 10 è di 10 vittorie e 59 sconfitte. Due volte ha incrociato la racchetta con un numero 1 al mondo, in entrambi i casi Novak Djokovic, due volte è uscito sconfitto. Con più di 300 vittorie nel circuito maggiore, 5 titoli ATP in tasca e 20 trofei nel tour minore (6 Future e 14 Challenger) il 180 centimetri francese proverà a scardinare le certezze del 23enne azzurro, proponendogli il suo tennis piatto e spesso a rallentatore.
“Fatico a trovare partner con cui allenarmi”, aveva fatto sapere il transalpino poco tempo fa. Un aspetto che accomuna tutti i mancini, ma forse lui specialmente, dato il particolare stile di gioco che porta in campo, insieme alle sue racchette incordate a 9,5 kg o giù di lì. Una fionda, insomma, che utilizza contro gli avversari di cui conosce l’identità solamente poco prima di entrare in campo. Gli piace così. Dice che gradisce giocare su tutte le superfici, ma il 17-61 a livello ATP sul rosso racconta ben altro. Ama giocare la volée e se sbaglia alcuni colpi non si trattiene di certo dal tirarsi una racchettata in testa. Di manico, sia chiaro, perché le corde tirate a così poco fanno il solletico. E quindi non c’è gusto.
Questo è Adrian Mannarino, un tennista fedele a sé stesso e alla sua storia. Che solo dal 2024 è testimonial del marchio ‘Celio’. Perché giocare per vent’anni con una maglietta trovata in fondo al cassetto gli è parso abbastanza. Un unicum nel panorama mondiale tennistico. Un giocatore che è stato 17 al mondo, eppure quasi nessuno lo sapeva. E proprio con questo atteggiamento da ombra, che ricopre già di suo ma che la sua attuale 89esima posizione mondiale ingigantisce, sfiderà Jannik Sinner. Obiettivo: i quarti di finale già raggiunti nel 2023. Non resta che mettersi seduti e godersi il confronto di stili.