17/10/2012 16:48 CEST - Personaggi

Kevin Curren: ad un passo dalla gloria

PERSONAGGI - Uno dei primi grandi “cannonieri” del tennis, Kevin Curren non è mai stato troppo considerato. Nel 1985 a Wimbledon schianta McEnroe e Connors, ma non fa i conti con Boris Becker. Daniele Camoni

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Kevin Curren
Kevin Curren

Wimbledon 1985 : la “Mecca del tennis”, come di consueto dal 1877, si appresta ad offrire il miglior spettacolo possibile cui il mondo della racchetta abbia mai assistito. I pronostici per la vittoria finale sono tutti per John McEnroe, colui che l’anno prima offrì una delle più spettacolari demolizioni che si siano mai viste su un campo da tennis : un fulmineo 6-1/6-1/6-2 che prese alla sprovvista nientemeno che Jimmy Connors, indomito combattente e vincitore solo due anni prima contro lo stesso McEnroe sullo stesso Centre Court, in una battaglia di raro furore agonistico nel tempio dei gesti bianchi.

La prima settimana è già foriera di grandi sorprese: Wilander (tds #4) è stato subito estromesso al primo turno dal talentuoso jugoslavo Slobodan Zivojinovic (già semifinalista in Australia e semifinalista a Wimbledon l’anno seguente), Ivan Lendl (tds #2) non è riuscito a far fronte alla pazza genialità di Henri Leconte, lasciando completamente aperta ad ogni incognita la parte bassa del tabellone. Nella parte alta il vincitore dell’Australian Open, un biondo virgulto di nome Stefan Edberg, è stato eliminato da Kevin Curren, ragazzone dinoccolato ed apparentemente negato per il tennis, eroe della storia che ci accingiamo a raccontare.

Nato a Durban nel 1958, Curren si rivelò al grande tennis nel 1983, quando in quel di Wimbledon raggiunse le semifinali (sconfitto dal misconosciuto neozelandese Chris Lewis), dopo aver clamorosamente sconfitto negli ottavi Jimmy Connors, di lì a poco vincitore agli US Open per il secondo anno consecutivo. Quella vittoria non fu casuale, e mise di manifesto come sulle superfici veloci (l’erba di allora non perdonava neanche i grandissimi) il lungagnone sudafricano fosse spesso una vera e propria mina vagante: già ai Championships del 1980, da semplice qualificato aveva fatto tremare MacGenius, che la spuntò negli ottavi di pura esperienza per 7-5/7-6/7-6.

Colpo “jolly” di Curren era senza ombra di dubbio il servizio: ad una partenza lenta, con il caratteristico piegamento sulle ginocchia, seguiva una vera e propria fiondata che lo proiettava potentemente verso la rete, mentre la pallina veniva colpita non appena usciva dalla mano (un po’ come faceva Roscoe Tanner). Accompagnato dalla sua storica Kneissl White Star, Kevin divenne uno dei giocatori più temuti sul veloce, se non altro perché alla potenza dei servizi si affiancava l’impossibilità degli avversari a leggerne la traiettoria, tanto era rapido ed indecifrabile il movimento.

Non particolarmente mobile e tutt’altro che un capolavoro di estetica tennistica, Kevin continuò a macinare sorprese, liquidando Lendl in tre set negli ottavi dell’Australian Open del 1984 ed issandosi fino alla finale (dopo aver recuperato, in semifinale, uno svantaggio di due set a zero a Testerman), sconfitto però in quattro set da un Mats Wilander particolarmente ispirato in risposta.

Il vero capolavoro doveva però ancora arrivare: a Wimbledon ’85 il sudafricano partì come tds #5, e di certo non rientrava tra i favoriti. Tuttavia, dopo aver sconfitto Edberg in ottavi, il profilarsi di un quarto con McEnroe, massimo candidato, accese le fantasie di addetti e tifosi, se non altro per comprovare se le vittorie con Connors a Wimbledon ’83 e Lendl agli AO del 1984 fossero state un fuoco di paglia o fosse tutta farina del sacco del sudafricano. I meriti di Curren emersero con estrema chiarezza: 6-2/6-2/6-4 a McEnroe e 6-2/6-2/6-1 a Connors, un’opera di demolizione incredibile che incoronò il sudafricano (poi divenuto statunitense) come il primo tennista in grado di battere entrambi gli americani nello stesso Grande Slam.

Nessuno, tantomeno Curren, aveva però fatto i conti con uno spavaldo ragazzino di Leimen, un adolescente di nome Boris Becker che solo una settimana prima aveva vinto al Queen’s il suo primo torneo : dopo aver rischiato con Nyström (9-7 al quinto) e Mayotte (sotto 2-1 nei set e pericolante nel quarto, vinto 7-6) al terzo e quarto turno, e aver tremato con Järryd in semifinale, Becker raggiunse la finale, vincendola e cambiando per sempre la storia del tennis.

Quel giorno il sudafricano, fortuna adiuvante, avrebbe battuto chiunque (e rappresentato la più grande sorpresa sull’erba inglese in moltissimi anni), se solo il destino non avesse deciso che la storia era già stata scritta, e così doveva essere portata a termine. Curren non si riprese mai più del tutto, e l’anno successivo cadde al primo turno contro Eric Jelen, fido scudiero di Becker in Coppa Davis (quasi uno scherzo del destino…). Nel 1990 raggiunse i quarti a Wimbledon (sua ultima grande prestazione in uno Slam), sconfitto da Goran Ivanisevic e da quegli stessi servizi che qualche anno prima avevano demolito McEnroe, Connors e Lendl.

Il tennis, alle volte, ha anche un volto umano, e la storia di Kevin Curren ne è la più chiara testimonianza : probabilmente molti non lo avranno mai sentito nominare, altri lo conosceranno solo di nome (associato eternamente all’esplosione definitiva di Becker), altri ancora certamente sapranno tutto; in ogni caso è sempre emozionante ricordare la storia di un normale ragazzone sudafricano che, tra le calure del sole australiano e l’erba londinese di Wimbledon, prese letteralmente a schiaffi i primi tre giocatori del mondo (nonché tre tra i migliori di sempre), sognando per alcuni momenti di essere solo in cima al mondo. E forse è una storia talmente bella che, per una volta, conviene tralasciarne i malinconici finali e ricordarne solamente i pochi luminosissimi lampi, anche se il tennis purtroppo non è una fiaba dove ognuno può scrivere il finale che preferisce…

Daniele Camoni

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